La Germania è da secoli il cuore della filosofia, uno fra i centri culturali più importanti d’Europa. Madrepatria di grandi menti quali Kant, Hegel, Nietzsche, Adorno, Arendt, e molti altri a seguire, ancora oggi ne plasma e influenza altrettanti, tra cui il pensatore Byung Chul Han. Sembra insolito trovare un teoreta così tanto contemporaneo, e poterne parlare al presente, in un campo di studi in cui siamo abituati a sentire nomi a noi lontani, persone morte da diverso tempo e facenti parte di epoche a noi sconosciute. Eppure Han è presente, attuale, e non ci parla di dottrine della filosofia, bensì ci spiega le basi della società in cui viviamo oggi offrendoci una nuova prospettiva di vita. Prima di addentrarci nella mente del filosofo mi piacerebbe delineare quel poco che si sa di questa figura misteriosa, molto privata.1

Han nasce in Corea del Sud nel 1959 e si sposta in Germania negli anni Ottanta proprio per coltivare i suoi studi filosofici, specializzandosi in ambito culturale, sociologico e antropologico. Non possiamo aggiungere molto altro sulla sua vita se non che tutt’oggi risiede a Berlino e che si tiene il più lontano possibile dai riflettori. Infatti sono molto rare le interviste concesse ai giornalisti e risulta persino inesistente la sua presenza online nel ventunesimo secolo rimanendo così fedele alla sua riflessione inerente al mondo della comunicazione digitale. A tal proposito possiamo iniziare a trattare degli argomenti protagonisti del suo pensiero, a partire proprio dai social media.
Han dice2 ‘I cellulari sono uno strumento di dominazione, agiscono come un rosario’ e tramite questa durissima affermazione ci fa addentrare nella complessità della comunicazione digitale.
Proviamo ad aprire Instagram, guardare il nostro profilo e poi cercare tra i nostri seguaci e seguiti: quante di queste pagine consistono in foto autocelebrative, oppure stories, magari messe in evidenza, che racchiudono momenti delle nostre vite in cui ci siamo sentitə protagonistə di una vicenda che tuttə vorrebbero vedere narrata?
Narcisismo è la parola chiave per interpretare il mondo mediatico. Tutto ruota intorno all’individuo e nel momento in cui accade questo, vediamo l’ossessione verso noi stessə annullare il mondo circostante. Si elimina qualsiasi cosa stia al di fuori del soggetto e quindi il mondo diventa semplice specchio dell’individuo narcisista. Ma perché ci ostiniamo ad alimentare questo circolo mediatico e quali conseguenze porta con sé? Ebbene, Han espone una riflessione in merito alla società contemporanea che gioisce di questa ossessione nei confronti delle informazioni, personali e non.
Tutto questo ‘processare informativo’ non fa altro che sovrastimolarci, rendendo da un lato i social media una sorta di confessionale in cui il soggetto si espone per scelta, cercando qualcuno che lo ascolti; dall’altro lato abbiamo un pubblico datasexual3 che gode di questa condivisione. Secondo questa prospettiva, entrambi i lati ottengono un certo livello di soddisfazione vedendo in parte una forma di appagamento personale ottenendo like e commenti, e in parte un compiacimento intimo nel sapersi portatori di tali informazioni. In questo preciso momento viene a crearsi uno stato di dominazione dove noi siamo sottomessi al cellulare, ai social, e tramite essi cerchiamo validazione personale.
Avviene il distacco verso il mondo circostante, perdiamo contatto con la realtà, con i riti4 della comunità che possono fornirci stabilità – a partire dal conversare informalmente mentre si aspetta il treno, fino al condividere attività quotidiane con altre persone. Noi ci isoliamo.
Come se non bastasse, si aggiunge una conseguenza inevitabile che risiede anche nella comparazione del singolo nei confronti degli altri proprio perché attraverso il consumo compulsivo di queste informazioni andiamo a minare la nostra psiche. A chi non è mai capitato?
Tuttə ci siamo trovatə almeno una volta di fronte a dei traguardi o momenti condivisi online da altre persone che ci hanno fatto riflettere su quanto ottenuto individualmente fino ad oggi; ‘Ci è riuscitə prima di me, ho sbagliato qualcosa’, potremmo aver pensato.
Per Han il problema non risiede solo nel mondo digitale ma è chiaramente un problema intrinseco nella società, ormai ‘società della stanchezza’. Viviamo in un contesto che basa il nostro valore umano sulla performance affiancata dai vari problemi psicologici sempre più presenti quali depressione, deficit di attenzione e iperattività, burnout, e la causa principale ha duplice origine.
Anzitutto, se stiamo in un ambiente entro cui siamo continuamente esposti all’Altro in modo ossessivo, come sopracitato, il Proprio viene eccessivamente contaminato. É impossibilitato dal negare la contaminazione esterna e si fa sopraffare da questa. Tuttavia, come tale eccesso di negatività ci distrugge, così anche l’eccesso di positività ha lo stesso effetto.

In una societá troppo permissiva e pacificata si sviluppa quella che Han definisce ‘violenza della positivitá’, dove l’essere liberi di fare si trasforma sempre piú in un dover necessariamente fare, che a sua volta si evolverá in un dover fare di piú. La prestazione sarà il metro di valutazione per i soggetti, che a questo punto diventano meri oggetti su cui investire il proprio tempo ed energie.
Questo fare produttivo è anche animato dal concetto di massimizzazione della produzione secondo il quale ci ritroviamo a produrre maggiormente e rapidamente, senza poterci dare un attimo di tregua; questo perché il ‘giorno del non-fare’ si configura in un intervallo senza lavoro, che però nella nostra societá viene visto negativamente. Eccoci stanchə, depressə, coltə da attacchi di ansia in un condimento di disagi fisici e psicologici.
Impossibile non ritrovarsi nelle dure parole di Byung Chul Han che trovano conferma nella nostra quotidianità. Si vedano gli studenti di tutte le età, vittime di un sistema che anziché venir loro incontro li fa sentire oppressi e senza vie di fuga, senza escludere poi il mondo adulto dove burnout e crolli nervosi sono all’ordine del giorno.
Sentiamo tuttə il peso di questa società e quindi sembra piú che lecito chiedersi cosa possiamo fare per alleggerire le nostre esistenze. Han propone di ‘vivere al contrario’ rientrando in contatto con sé, con gli altri, con la natura, senza pressioni e senza fretta; io invece concludo proponendo di svuotare la mente anche solo per qualche ora e concederci attimi per goderci il nulla. Perché con tutta la vita che abbiamo davanti, di tempo per produrre ce n’è in abbondanza.

Note
- Fonti biografiche: illibraio.it; Wikipedia; englishelpaís.com
- Fonti esposizione pensiero: englishelpaís.com; saggi ‘Societá della stanchezza’ Nottetempo; New edizione (4 giugno 2020), ‘Societá della trasparenza’ Nottetempo (12 giugno 2014), podcast Philosophize this! episodi 188–189
- Il termine datasexual indica individui che consumano e condividono ossessivamente informazioni online.
- Il concetto di riti approfondito in Byung Chul Han: Voegelin View

di Erika Pagliarini
Mi chiamo Erika, nata nel 2001 praticamente con la penna in mano. Attualmente studio
Filosofia a Pavia ma posso considerarmi da sempre appassionata di arte e scrittura, motivo
per il quale ho deciso di percorrere una strada affine ai miei interessi aggiungendoci un
tocco di trash e riflessioni personali. Spaziando tra cinefilia, disegno e lettura adoro sfruttare
i miei interessi e ricavarci storie personali che possano colpire gli altri e dare espressione ai
miei pensieri.