La mafia liquida: intervista a Marco Fraceti
Parlare di mafia, di infiltrazione mafiosa, di crimine organizzato (e chi più ne ha più ne metta) non solo è un compito dannatamente difficile, ma potenzialmente molto rischioso. Per questo motivo, bisognerebbe sempre ricorrere a pareri di persone più esperte nel settore che hanno approfondito la questione per loro curiosità e interesse, acquisendo al contempo l’abilità necessaria per muoversi fra le (innumerevoli, polverose e noiosissime) carte processuali delle varie inchieste e la giusta prudenza nel toccare tasti tanto dolenti, soprattutto quando il grado di importanza per l’attualità è tale da rendere quei tasti delle vere e proprie mine antiuomo pronte a esplodere al minimo passo falso.
Ecco perché ho deciso di intervistare Marco Fraceti, giornalista pubblicista dedicatosi a numerose inchieste sulle infiltrazioni mafiose in Lombardia, collaboratore di Radio Popolare dal 1990 al 1995 e direttore di brianza.com nel 2000. Ad oggi, è il direttore dell’Osservatorio Antimafie di Monza e Brianza intitolato a Peppino Impastato, una posizione di rilievo che gli ha fornito una vasta gamma di materiale poi riorganizzato in alcuni libri inchiesta, tra cui Briangheta. La ‘ndrangheta a “centopassi” dal Lambro (2010), Scacco alla ‘ndrangheta. I veri padroni del Nord (2013) e L’onda nera nel Lambro (2019).
Negli ultimi due anni, il dibattito sull’attualità ha visto l’assoluta egemonia del Covid e, più recentemente, della guerra in Ucraina. Altri problemi sono stati invece ampiamente trascurati. Fra questi mi pare si possa annoverare anche la lotta alla mafia, che pure è stata, in Italia, una imprescindibile parola d’ordine dalla fine degli anni Ottanta fino almeno al 2019. È quindi lecito pensare che il fenomeno sia sotto controllo?
Dipende dagli osservatori e dalle attività di contrasto messe in atto. Il sistema di potere basato sulla forza e sulla corruzione è conosciuto, benché molto lontano da essere sotto controllo. In piena pandemia si sono verificati dei fatti gravissimi, come la vicenda della fornitura di camici ospedalieri nel sistema sanitario lombardo, che ha visto coinvolta un’azienda il cui titolare è il cognato del presidente di regione Attilio Fontana. Peraltro, questa fornitura era stata inizialmente fatturata, salvo poi venire ridefinita come una donazione. Purtroppo, però, l’inchiesta è stata archiviata. Su un altro versante, la gestione delle forniture durante la pandemia ha portato a indagare l’ex commissario all’emergenza Domenico Arcuri per abuso d’ufficio e peculato nell’ambito dell’inchiesta sui primi stoccaggi di mascherine. Le indagini sono terminate e la Procura di Roma deve decidere se rinviare a giudizio Arcuri e altri, oppure archiviare il caso.
Si tratta di episodi di “malagestione” della cosa pubblica che, però, incoraggiano le attività illecite e devastanti del crimine organizzato. Al contempo, la Direzione Investigativa Antimafia ha consegnato alla Ministra Lamorgese una relazione nella quale si segnala che le eccessive semplificazioni, per accedere ai fondi del PNRR, permetterebbero di aumentare la capacità di penetrazione delle mafie proprio nel riscuotere questi fondi. Infine, grazie a un dispositivo quale la riforma Cartabia della Giustizia, vengono indebolite le attività giudiziarie per assicurare alla giustizia i corrotti e i corruttori. Sia rispetto alla “ragionevole durata” del processo che alla “improcedibilità”, vengono messe in atto delle procedure che complicano il già precario sistema giudiziario. In sostanza, rispetto a prima del Covid non è cambiato nulla se non in peggio.
Una volta si tendeva a identificare la mafia con il suo cosiddetto “braccio armato”, ma recenti inchieste hanno rivelato la complessa rete organizzativa della ‘ndrangheta, che si articola come una struttura tentacolare e veramente para-statale. Qual è, quindi, il grado di infiltrazione mafiosa nella società contemporanea?
Innanzitutto, si dovrebbe abbandonare anche il concetto di “infiltrazione mafiosa”, che risulta deviante e, almeno parzialmente, incorretto. Le mafie, in particolare quella calabrese, hanno colonizzato intere zone del paese, anche al Nord, come appunto è accaduto in Lombardia, nel Piemonte e in parte dell’Emilia. In questi contesti, le associazioni mafiose tendono ad occupare spazi economici di rilievo come il “movimento terra” (penso ad Expo 2015, al Tav, alle Pedemontane lombarda e veneta), cioè camion, ruspe e cave abusive utili alla movimentazione della terra nelle grandi opere. Oppure nella logistica e nei grandi mercati della filiera agroalimentare. In altri termini, la mafia esercita una continua e costante interferenza nell’economia reale, soprattutto grazie all’intervento dei broker malavitosi, quell’area grigia di faccendieri e manager senza scrupoli che agiscono ai massimi livelli delle strutture economiche italiane. Senza intaccare a fondo le capacità patrimoniali dei vertici criminali, con il denaro ormai ripulito riescono ad occupare legalmente ampie fette del mercato, pure quello esclusivamente finanziario. Non siamo in presenza di una organizzazione criminale “coppole e lupara”, ma nemmeno di quella dello spaccio e dell’usura. Oggi, le mafie sono capaci di coniugare la primordiale violenza estorsiva coercitiva, la diffusa rete di supermercati dello spaccio di vecchie e nuove droghe con la rete di ripulitura e di ricollocazione dei proventi illecitamente accumulati, attraverso figure insospettabili, reclutate con il sistema della corruzione a tutti i livelli, specie quelli politici e amministrativi.
Grazie al tuo impegno presso l’osservatorio antimafia Peppino Impastato, hai avuto una posizione privilegiata per l’approfondimento del caso lombardo e, nello specifico, brianzolo. In questo contesto, quali sono state le inchieste di maggior rilievo (specie negli ultimi vent’anni), e cosa ci dicono sulle strategie della mafia in Nord Italia?
A metà degli anni Ottanta, una branca dell’inchiesta statunitense “Pizza connection” approdò in Lombardia, scoperchiando gli affari degli uomini di “Cosa Nostra” al Nord – gli antesignani della presenza ‘ndranghetana attuale – e attirando le attenzioni sui fratelli Graviano. Costoro erano in diretto contatto con Silvio Berlusconi, il quale ad Arcore contava fra le sue maestranze il boss Vittorio Mangano in qualità di “Stalliere”. A seguire, vi furono molte altre inchieste con processi e condanne in via definitiva: fra le più importanti si annoverano “Infinito”, “Tenace”, “Bagliore” e “Redux caposaldo”. Questi processi hanno disvelato la fitta rete di “Locali” in Lombardia, in totale circa una quindicina, di cui cinque concentrate nella sola Brianza. Nell’arco di qualche anno sono state arrestate cento ottanta persone, successivamente condannate in via definitiva. Senza contare che i loro rapporti con la politica e l’imprenditoria sono stati solo parzialmente messi in luce, mentre, ancora oggi, rappresentanti pubblici e privati continuano a fare affari con questi signori. Sia la dottoressa Boccassini, sia la dottoressa Dolci – che le è succeduta alla DIA di Milano – hanno denunciato e continuano a denunciare questo atteggiamento eufemisticamente “disinibito” da parte dell’economia lombarda, che continua a fatturare senza preoccuparsi eccessivamente delle modalità con cui ottiene i propri risultati.
Fra le altre inchieste, ti sei recentemente dedicato al fenomeno delle ecomafie. Di che cosa si tratta e che impatto può avere sul territorio?
La questione delle ecomafie in Lombardia è molto complessa, giacché parte dall’accumulo illegale di rifiuti in aree dismesse, che prendono fuoco per incanto – garantendo, quindi, anche sgravi fiscali notevoli ai proprietari e agli imprenditori. A questo si aggiunga la gestione “allegra”, per non usare termini più diretti, dello smaltimento dei rifiuti, che è una vera e propria manna per le ecomafie. Questa procedura ha, generalmente, costi molto elevati se conferiti per via legale. Illegalmente, invece, possono costare fino al 50-70 percento in meno. Le autorità e le commissioni di controllo, purtroppo, molto spesso non svolgono il loro ruolo di monitoraggio e di verifica perché si trovano ad agire senza protocolli validi a livello nazionale, e senza il personale necessario. In questo vuoto, le ecomafie la fanno da padrone.
Concludiamo con un’apertura al futuro. Secondo te, quali sono le prospettive della lotta contro la mafia? Ti senti di concordare con la celebre massima di Falcone: “La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine”?
Il Dottor Falcone avrebbe potuto avere anche ragione, se però la mafia fosse rimasta un mero fattore quasi folcloristico, una sorta di fenomeno malavitoso di quartiere. Del resto, egli non poteva nemmeno prevedere lo sviluppo di una vera e propria holding del crimine. Quindi, la mafia si potrà sconfiggere solo se il nostro paese diventerà un paese normale e civile, dove prevalgono per davvero le leggi dello Stato su qualsiasi altra forma di organizzazione parastatale.
In altre parole, perché la mafia sia sradicata, deve prevalere la cultura dei diritti contro quella del favore – e del favoritismo.