Anch’io sono lo Stato: la vicenda di Pietro Nava
Considerando il grande e complesso fenomeno della criminalità organizzata, spesso racchiuso nell’entità della Mafia siciliana, si puntano frequentemente i riflettori verso i pentiti, individui “redenti” che rinnegano il loro passato criminale e i loro legami familiari e sociali per rendere testimonianza alla comunità delle operazioni più segrete della malavita, oppure fingono di farlo per un tornaconto di qualsiasi tipo; l’altra faccia dei cosiddetti testimoni di giustizia, ovvero quella senza un passato criminale e formata molto spesso da civili, rei solo di essersi trovati in situazioni sbagliate al momento sbagliato, è certamente meno esplorata e conosciuta, ma degna di riconoscimento per le sue azioni vitali nella lotta alla malavita.

Il primo di questa folta schiera di invisibili componenti dello Stato fu il lecchese Pietro Nava: nato a Sesto San Giovanni e, all’epoca dei fatti, residente a Monte Marenzo, in provincia di Lecco, lavorava come agente di commercio per una ditta di serramenti. Il 21 settembre 1990, mentre si stava recando ad Agrigento per lavoro con uno pneumatico forato, assistette ai momenti che precedettero il brutale assassinio di Rosario Livatino, un giovane magistrato che, in quel momento, stava viaggiando davanti a lui nella sua Ford Fiesta amaranto, privo di scorta. L’auto venne speronata dalla moto con targa coperta dai giovani killer della Stidda, organizzazione mafiosa rivale di Cosa Nostra, che, incuranti della macchina di Nava dietro di loro, finirono senza pietà il giovane giudice in una scarpata. Il lecchese vide il conducente della Ford saltare il guard-rail e uno dei suoi inseguitori con una pistola in mano e provò subito ad avvisare le autorità, ma non ci riuscì per mancanza di segnale in quella zona; arrivato a destinazione, andò subito a denunciare il fatto in commissariato e venne trattenuto, per poi essere interrogato direttamente da Giovanni Falcone, inizialmente scettico per una scelta a quel tempo assolutamente inaspettata: quella di testimoniare anche per i killer.
Nava fu una figura decisiva, assieme anche al pentito Gioacchino Schembri (che collaborò con Paolo Borsellino), per l’arresto e il riconoscimento a Colonia di due dei quattro esecutori materiali (Paolo Amico e Domenico Pace) e, nel corso dei tre processi iniziati nel novembre 1991 e conclusi nell’ottobre 2001, furono condannati gli altri due esecutori materiali (Gaetano Puzzangaro e Giovanni Avarello) e i mandanti, Antonio Gallea, Salvatore Calafato, Salvatore Parla e Giuseppe Montanti, capi delle Stidde di Canicattì e Palma di Montechiaro, i quali “credevano che il giudice favorisse il boss di Cosa Nostra Giuseppe Di Caro, suo vicino di casa, e perseguisse invece la loro organizzazione con l’applicazione di pesanti misure di prevenzione e condanne”, grazie alla testimonianza dei pentiti Giuseppe Croce Benvenuto e Giovanni Calafato.
La sua scelta coraggiosa ha dunque condotto all’arresto e alla condanna dei mandanti e degli esecutori materiali dell’omicidio, ma ha anche sconvolto la sua tranquilla vita nella provincia lecchese come padre di due figli, marito e lavoratore: la sua identità è stata praticamente cancellata da ogni tipo di fonte reperibile, le sue foto di famiglia e i suoi ricordi sono stati eliminati e Pietro Nava è stato sostituito con un’identità completamente nuova, insieme a quella di sua moglie e dei suoi figli. A quarant’anni, si è ritrovato con una vita da ricominciare, riuscendo a trovare un lavoro solo molti anni dopo e vivendo in clandestinità tra vari paesi, oltre ad aver divorziato. La sua situazione era dovuta alle carenze normative per i testimoni – fino a quel momento solo pentiti – e le prime tutele furono create da una sua collaborazione con Rosy Bindi, all’epoca presidente della commissione antimafia del Parlamento.

Su Pietro Nava è stato girato un film: Testimone a Rischio, del 1997, per la regia di Pasquale Pozzessere e con la partecipazione di Fabrizio Bentivoglio, Claudio Amendola e Margherita Buy, tratto dal primo libro scritto sulla sua vicenda da Pietro Calderoni nel 1995, L’avventura di un uomo tranquillo.

Un’altra opera che ricorda la sua importante testimonianza è Io sono Nessuno, del 2020, un libro in cui lui stesso, tramite le penne dei giovani giornalisti lecchesi Lorenzo Bonini, Stefano Scaccabarozzi e Paolo Valsecchi, si racconta. In particolare, un aneddoto che ci fa capire quanto effettivamente fosse difficile la vita di Pietro Nava e le precauzioni a cui si è dovuto sottoporre è il primo incontro con i giornalisti, raccontato da loro in una conferenza per la presentazione del libro a Lecco: «Il primo incontro si è tenuto presso il bar di un aeroporto europeo, dove ci siamo messi ad attendere il passaggio di un uomo che non avremmo mai potuto riconoscere, tenendo in mano un giornale come segno distintivo. Si è avvicinato dicendoci “sono io”: da lì è iniziato il processo di conoscenza, fiducia e racconto».

In conclusione, Nava lascia ai giovani un importante messaggio: «Sconfiggete l’indifferenza. Non siate ignavi. L’ignavia ammazza tutti, lo Stato e anche me. Quindi, non dovete essere indifferenti rispetto alle ingiustizie che vedete».
L’altro Stato
Editoriale · L’Eclisse
Anno 2 · N° 4 · Luglio 2022
Copertina di Laura Maroccia.
Hanno partecipato alla realizzazione di questo editoriale: Greta Beluffi, Matteo Capra, Michele Carenini, Anna Cosentini, Joanna Dema, Clara Femia, Eugenia Gandini, Marta Gatti, Chiara Gianfreda, Alessandro Girardin, Nikolin Lasku, Rosamaria Losito, Matteo Mallia, Laura Maroccia, Marcello Monti, Valentina Oger, Alessandro Orlandi, Matteo Paguri, Luca Ruffini, Arianna Savelli, Tommaso Strada, Vittoria Tosatto, Marta Tucci, Marta Urriani, Francesco Vecchi, Adriano Zonta.