Luci abbassate, schermi spenti, “per noi va bene così”; è sempre stato lo stesso, interminabile, provino. Così si chiude la puntata finale di Una Pezza di Lundini, andata in onda il 29 giugno scorso; una degna (e tradizionalmente surreale) conclusione per una trasmissione che, contro ogni previsione, ha polarizzato l’attenzione del pubblico per più di due anni, tra orde di spettatori disorientati ed elogi sui social. Eppure, complice l’annuncio dell’assenza di una nuova stagione, a prevalere è l’amarezza di aver assistito a un esperimento, a tratti mal considerato, e dai risultati non adeguatamente considerati dai vertici Rai: per analizzare a fondo il “Lundini gate” è però necessario fare un passo indietro, tornando con la mente alle prime puntate di uno show così “diversamente bello”.
Il programma, apparso per la prima volta sui teleschermi a inizio settembre 2020, inizia il proprio percorso in sordina. Con uno share piuttosto basso e un target ancora non chiaramente individuabile, la trasmissione, condotta dal comico Valerio Lundini e dall’attrice Emanuela Fanelli, si dimostra fin dal suo esordio un prodotto underground: simulando una condizione di “vuoto” nel palinsesto a cui Valerio e la sua compagine mettono letteralmente una “pezza”, le prime puntate vanno in onda in seconda serata senza un’apparente programmazione prestabilita.
Proprio in questo dettaglio si rivela una delle pecche che hanno riguardato la messa in onda della trasmissione; a causa della mancanza di uno schema fisso e di un preciso appuntamento, il programma ha infatti finito per perdere buona parte di telespettatori che – semplicemente – non erano consci della data della successiva puntata. Del resto, lo stesso orario della trasmissione ha lasciato più volte a desiderare, a causa di una seconda serata spesso ritagliata in maniera sommaria e accorciata dalle precedenti trasmissioni, che regolarmente finivano per superare abbondantemente i limiti di tempo; la diretta conseguenza è stata lo spostamento di masse di spettatori verso la visione sulla piattaforma online RaiPlay, che ha ulteriormente affossato lo share del programma.
A salvare la situazione, mantenendo alto l’interesse del pubblico, sono stati gli espedienti comici di Lundini e dei suoi comprimari, nonché la sequela di ospiti, del tutto privi di correlazione tra loro, e la band dei Vazzanikki: fondando il tutto su un umorismo nonsense e su situazioni imbarazzanti (per usare un neologismo, al limite del cringe), le puntate scorrono velocemente, tra interviste fuori da ogni logica e sketch comici semplici ma efficaci. Con il passare del tempo, il programma viene notato non solo dal pubblico, che inizia a seguirlo spinto dalla curiosità di comprendere quel che si trova di fronte, ma anche dalla stampa, che inizia man mano a rivolgere parte della propria attenzione a un prodotto così particolare e, a prima vista, impossibile da catalogare.
E’ a questo punto che inizia ad emergere un problema che affliggerà la trasmissione per tutta la sua prima fase: di che genere di prodotto televisivo si parla, quando si parla di “Una Pezza di Lundini”? Tale questione, di non indifferente rilevanza, finisce ben presto per innescare un dibattito che si dipana tra le varie piattaforme, passando dalla stampa ai social network e alle “piazze” dell’opinione pubblica; tra coloro che sostengono l’estrema (talvolta anche eccessiva) novità di un prodotto simile e coloro che invece confrontano la Pezza con i più noti late show all’americana (uno tra tutti, il Jimmy Fallon show), si finisce ben presto per allontanarsi dal punto focale della discussione, perdendo di vista interamente la stessa trasmissione.
E’ infatti da notare come, al di là di ogni categorizzazione, il programma scritto da Giovanni Benincasa rappresenti un caso indiscutibilmente raro (seppur non unico) , quantomeno per quanto riguarda la sponda Rai; in un palinsesto – purtroppo – ancora dominato da trasmissioni con un target di età media piuttosto alta e da prodotti talvolta scadenti e privi di spirito innovativo, l’esperimento di Lundini si caratterizza per la capacità di mettere nuovamente carne al fuoco e appassionare un campione di pubblico decisamente più vasto (dal punto di vista qualitativo). Ne si trova una perfetta rappresentazione nella fidelizzazione di cui Lundini è stato capace: dalla partecipazione alla serata delle cover del festival di Sanremo 2021 al fianco del cantautore Fulminacci, a quella in occasione del concerto del Primo Maggio 2022, fino al grande successo dello spettacolo comico Il mansplaining spiegato a mia figlia, il comico (ormai trasformatosi in showman a tutto tondo) è stato capace di inserirsi in un contesto ben più ampio della sola televisione. Il risultato è una popolarità non indifferente proveniente da un enorme bacino di pubblico, quello dei social, che è stato in grado di coglierne la novità e la freschezza forse ancor di più di quanto fatto dalla dirigenza Rai.
Qual è dunque l’eredità che Una pezza di Lundini lascia dietro di sé?
Quel che è certo è che la strampalata compagine del programma ha lasciato un segno indelebile nei ricordi di molti telespettatori, stupiti e sorpresi (nel bene e nel male) da una trasmissione che sfugge a ogni definizione e categoria. D’altro canto, sono stati però i non-telespettatori a rappresentare la vera fanbase del programma. Il miglior pregio del progetto di Giovanni Benincasa è stato, infatti, quello di aver saputo attirare verso il medium televisivo una larga fetta di popolazione (perlopiù composta da giovani), in precedenza del tutto disinteressati a un palinsesto che, da una prospettiva esterna, appare senz’altro poco interessante per una buona parte del pubblico giovanile; come conseguenza, l’approdo alla Pezza può senz’altro essere stato visto da molti come la possibilità di approccio con un “nuovo” mezzo di comunicazione, precedentemente snobbato o utilizzato solo in corrispettiva delle immancabili cerimonie dell’opinione pubblica, dalla finale dei mondiali di calcio a quella del festival di Sanremo.
Con il “termine naturale” del programma (come sottolineato dall’autore) e una volta superata la bufera social che in un primo momento aveva indicato i vertici Rai come i colpevoli di una supposta cancellazione dai palinsesti, resta da chiedersi a chi spetti il compito di riprendere da dove Lundini ha lasciato: separato da Emanuela Fanelli e prossimamente impegnato in un nuovo progetto destinato a RaiPlay (Conferenza stampa, che si inserirà nel prossimo palinsesto autunnale), non possiamo infatti aspettarci che sia sempre il solito Valerio a tornare alla ribalta stupendo tutti per una seconda volta. Una valida alternativa potrebbe senz’altro essere rappresentata da Alessandro Cattelan, protagonista (secondo quanto trapelato dalle conferenze dei vertici Rai) di una trasmissione che pare già delinearsi come un continuo del suo primo grande successo, E Poi C’è Cattelan: con l’approdo in seconda serata Rai per tre giorni a settimana, c’è senz’altro da aspettarsi una grande attenzione da parte del pubblico, specialmente da coloro che rimpiangono la Pezza.
In ogni caso, non resta altro da fare se non attendere, alla ricerca della next big thing della televisione italiana, mentre forse il degno erede del sommo Valerio si aggira già nei meandri degli studi di Cinecittà.
di Matteo Capra
Nato a Concorezzo (andate pure a cercare su Google, vi giuro che esiste) nel 2002 e mai davvero cresciuto, mi divido tra mille interessi diversi senza mai saper scegliere. 24 ore al giorno con le cuffie nelle orecchie, salgo e scendo dal mio skateboard mentre scrivo poesie e cerco l’opera cinematografica definitiva. Mi diverto a fare l’esteta; colleziono qualsiasi oggetto o ricordo in cui io possa riconoscermi, vantandomi di possedere qualsiasi disco o libro che si possa ritenere “vecchio”. Emotivo al 200%, con la mia scrittura cerco di fissare la bellezza che trovo intorno a me. Ah, nel tempo libero studio Scienze Umanistiche per la comunicazione alla Statale di Milano.