Gli ultimi mesi dell’anno appena trascorso sono stati senz’altro interessanti per il cinema italiano: nel giro di tre settimane sono usciti ben due lungometraggi legati al mondo del fumetto, Dampyr e Diabolik – Ginko all’attacco!. Il primo è un fantasy soprannaturale che segna il debutto dell’Universo Cinematografico Bonelli (abbreviato in UCB), cioè l’insieme degli adattamenti dei fumetti pubblicati dall’omonima casa editrice; il secondo è il nuovo capitolo della trilogia avviata da Diabolik (2021), film realizzato dai Manetti Bros. e co-prodotto da Mompracem e Rai Cinema.
Un doppio appuntamento che sembrava essere un evento più unico che raro per le nostre sale, abituate agli eroi targati Marvel e DC, e attesissimo da critica e appassionati (spoiler: non è andata proprio benissimo…).
Considerazioni profane su Dampyr
Il 28 ottobre usciva Dampyr, opera prima di Riccardo Chemello, basata sul fumetto creato da Mauro Boselli e Maurizio Colombo nel 2000. Mi verrebbe da dire che un qualunque venerdì 17 sarebbe stato sicuramente più fausto, visto il risultato al botteghino: 352 mila euro nelle prime cinque settimane, un po’ poco anche per le sale italiane, nonostante la presentazione al Lucca Comics e il responso tutto sommato favorevole da parte di critica e pubblico. Eppure non è un brutto film, ma, anzi, è ricco di elementi promettenti se ci concentriamo sulla trama, che adatta i primi albi.
Il protagonista è Harlan, un dampyr (o “dampiro”, in quanto figlio di padre vampiro e madre umana), ossia un mezzosangue dotato di poteri soprannaturali che, secondo il folklore balcanico, può stanare e uccidere con facilità i vampiri. Ed è proprio così che Harlan, accompagnato dall’amico e agente Yuri, si guadagna da vivere, girovagando per i villaggi di una non meglio precisata zona dei Balcani e “fingendosi” dampyr: quando un defunto viene tacciato di vampirismo dagli abitanti, essi si rivolgono ad Harlan, il quale, per eliminare questa maledizione, trafigge il cuore con il classico paletto di frassino. La situazione nella regione, già compromessa dalla guerra in Jugoslavia, precipita quando un plotone militare viene attaccato dalle creature della notte. In questo frangente, vengono introdotti i due comprimari di Harlan, il veterano Emil Kurjak e la vampira Tesla Dubcek. Tra rivelazioni drammatiche e doppi giochi, i tre arriveranno a costituire un vero e proprio trio contro il malvagio Gorka , uno dei vertici della gerarchia vampiresca, i Maestri della Notte, nonché “padrone” di Tesla.
Le premesse sembravano buone, c’erano tutti gli ingredienti per un film che, per quanto di nicchia, potesse riuscire a ottenere un discreto successo. Che cosa non ha funzionato, allora?
In primis, la sceneggiatura: il ruolo dei personaggi principali risulta affrettato, come se non fosse possibile esprimere con chiarezza il loro pieno potenziale, ad eccezione di Kurjak che si distingue positivamente. Ma i personaggi secondari, così come gli antagonisti, sono trattati anche peggio, finendo col diventare delle macchiette, quasi dei cattivi da cartone animato (Gorka, mi ha ricordato una specie di Bowser dal look goth), mentre Yuri, che dovrebbe essere un personaggio chiave per lo sviluppo di Harlan, trasmette meno pathos della madre di Bambi. Considerando che il minutaggio complessivo del film tocca i 110 minuti, forse bastava prolungare la durata con qualche scena più esplicativa, in modo da facilitare la visione anche ad una spettatrice profana come me. I dialoghi, probabilmente a causa della caratterizzazione un po’ spiccia dei personaggi, risultano spesso banali, anche nei momenti salienti.

In secondo luogo manca proprio l’elemento horror, ad eccezione di un paio di jumpscares che, comunque, non avrebbero nessun effetto su un appassionato del genere – su di me sì, ma questa è un’altra storia. Credo che sarebbe più corretto definire Dampyr come un film fantasy dalle tinte soprannaturali, con una buona colonna sonora (ho apprezzato l’accenno a Walk On the Wild Side di Lou Reed) e un cast di tutto rispetto che, tuttavia, non è stato pienamente valorizzato, a partire dai costumi: se Harlan ricorda una specie di Chris Cornell con la permanente liscia, il trucco di Tesla risulta artificiale addirittura fin dalla locandina. Forse, la fedeltà al fumetto non è stata dosata in maniera corretta tra il comparto tecnico e quello narrativo, per cui la mia impressione generale è quella di guardare un film indipendente vecchio di trent’anni. Sicuramente, uno degli errori più datati è il graffito “Welcome to Hell” scritto in inglese su un muro nel bel mezzo della Jugoslavia, che non aggiunge credibilità al prodotto finale.
Insomma, per essere il primo progetto ufficiale dell’UCB, Dampyr si è rivelato una mezza delusione sia per i lettori affezionati che per gli spettatori neofiti, ma non esclude margini di miglioramento. Voci di corridoio parlano, eventualmente, di una futura serie a cui il film farebbe da prequel – anche se bisognerà vedere come si evolve la distribuzione estera e, magari, il passaggio su qualche piattaforma di streaming. Forse un adattamento seriale sarebbe stato più azzeccato fin dall’inizio? Io, eventualmente, lo guarderei; se, invece, volessi riguardarmi Dampyr da casa mia, dovrei attendere ancora un po’: al momento, non è presente su nessuna piattaforma streaming.
Diabolik: Marcello all’attacco
Eccomi qui, pronto a continuare il discorso sui cinefumetti da una diversa prospettiva (verso il basso).
Dicembre 2021. Esce nelle sale, dopo anni di produzioni e ritardi, Diabolik, pellicola diretta dai fratelli-registi Manetti che, dopo anni di produzioni indipendenti, hanno la possibilità di farsi conoscere al grande pubblico con la trasposizione del personaggio fumettistico creato dalle sorelle Giussani nel 1962, diventato in poco tempo uno dei pilastri del fumetto nostrano. Nonostante la scelta sciagurata di far uscire il film nello stesso giorno dell’attesissimo Spider-Man: No Way Home, nel corso delle festività, Diabolik ha riempito le sale e convinto parzialmente critica e pubblico, in quanto la lentezza, l’atmosfera e i toni vintage non hanno convinto. Sostanzialmente, il film si salva grazie alla regia, agli attori (fra tutti, Miriam Leone nei panni di Eva Kant, l’amante e complice di Diabolik) e alla colonna sonora.
Usciti dalla sala, gli spettatori potevano attendere il secondo capitolo della trilogia con relativa speranza. Io stesso uscivo dalla sala colmo di interesse per il nuovo film in arrivo.
Novembre 2022. Undici mesi separano il primo e il secondo film e, purtroppo, in questo lasso di tempo, il budget cala, Marinelli (l’attore che aveva interpretato il ladro nel primo film) lascia il ruolo e viene sostituito dal semi-sconosciuto italo-canadese Giacomo Giannotti e, insieme a lui, viene annunciato il titolo del secondo capitolo: Ginko all’attacco!.
Nella maggior parte dei casi, provenire dagli ambienti del cinema indipendente è un ottimo aspetto lo era anche nel caso dei Manetti, finché Ginko all’attacco! non è sbarcato nelle sale italiane, mostrandosi in tutto il suo orrore.
Il secondo film della saga è incentrato specificamente sul personaggio di Ginko, l’ispettore della fittizia cittadina di Clerville e l’arcinemico di Diabolik, interpretato da Valerio Mastandrea, forse l’unico che si salva nel secondo capitolo.
Eva e Diabolik, impegnati in nuovi colpi, si dividono dopo che quest’ultimo abbandona Eva alla polizia durante un inseguimento. Da questo punto in poi, Ginko è l’assoluto protagonista del film che, lungo quasi due ore, ripercorre l’investigazione alla ricerca del temuto ladro.
Il calo di budget si nota subito dopo la canzone di apertura cantata da Diodato, reso anche dalla poca computer grafica del film, che risulta posticcia e fasulla. Se nel primo film lo spettatore doveva abituarsi alle particolari interpretazioni sopra le righe, figlie dei fumetti delle sorelle Giussani, qui è praticamente impossibile: i personaggi sono macchiette senza senso, eccentriche e grottesche che, invece di far sorridere lo spettatore, lo imbarazzano fino alla vergogna. Esteticamente, Giannotti è uguale alla controparte fumettistica, ma, quando apre bocca, crolla qualsiasi sospensione dell’incredulità. Inoltre, il suo accento inglese, misto ad un’espressività da androide e il poco tempo che gli offre il minutaggio sullo schermo, rendono il personaggio di Diabolik il punto più basso del film. Il grande killer è smorto e muto come se fosse un semplice comprimario e non il protagonista di una saga. Giannotti non viene soccorso neanche da Leone che qui è spompata, senza più quel fascino che nel primo film era riuscita a trasmettere.
I Manetti Bros. tentano di rendere la pellicola più veloce grazie alle scene d’azione, ma il marchio di fabbrica da indipendenti si nota in ogni inquadratura e scelta stilistica. La noia smorza lo spettatore nella visione del film: il ladro di Clerville appare pochissimo, come se avessero avuto il timore di mostrare Giannotti recitare. Le situazioni e la sceneggiatura prendono una piega estremamente camp e grottesca, mentre la macchina da presa sembra indecisa se impegnarsi in ogni inquadratura oppure fare il minimo sforzo.
L’universo delle Giussani è fascinoso, sopra le righe e di vecchio stampo, ma non è una parodia dell’assurdo: il film diviene un susseguirsi di nonsense, dialoghi stereotipati e silenzi, quest’ultimi più accostabili a quelli di The Office che ai classici della suspense.
Forse vi sembrerò eccessivamente veemente verso questo film, ma, per chiarire ulteriormente il perché di questa asprezza, voglio sottolineare l’elemento che rende Diabolik – Ginko all’attacco! pessimo: si prende troppo sul serio. Se in alcune scene sembra che i registi vogliano mostrare Diabolik senza troppa serietà, quasi al limite della parodia, in altre scene l’eccessiva austerità, condita di imbarazzo, grottesco e pessima recitazione, crea un miscuglio terribile che fa crollare la poca sospensione dell’incredulità chiesta allo spettatore.
Non spenderò troppe righe nel parlare di Bellucci, qui nei panni dell’amante dell’ispettore Ginko. Credo sia giusto solo ribadire che, ancora una volta, la lodata Bellucci non ha di certo dimostrato il livello alto di recitazione che tanti dicono lei abbia.
Nell’autunno di quest’anno uscirà il terzo e ultimo capitolo della saga, che avrà la possibilità di redimere la trilogia o affossarla completamente. Personalmente, vedo questa produzione come una grande occasione mancata per il nostro Paese: al contrario, una produzione più fresca, al passo coi tempi e avente come protagonista un Diabolik contemporaneo, avrebbe sicuramente avuto altri effetti.
Chissà, magari questa trilogia diventerà un “guilty pleasure” oppure cadrà nel dimenticatoio delle innumerevoli produzioni italiane senza futuro.
Adattare un fumetto non è mai un lavoro facile, nemmeno quando si tratta del proprio (anti)eroe preferito. L’eccessiva fedeltà alla storia originale, come abbiamo visto, può rivelarsi controproducente nella stesura dei dialoghi, o nella realizzazione delle inquadrature. Servono quindi il giusto equilibrio tra passione e tecnica, e una buona dose di creatività – e permetteteci di sottolineare che un budget decente non guasta mai, se ben impiegato! La buona notizia è che l’ampia varietà del fumetto italiano consente di pensare in grande e, dunque, in positivo: le idee ci sono, basta saperle usare.

di Joanna Dema
Sono Joanna, senz’acca e con la J di Just Dance, per quanto sia un pezzo di legno. Non sono molto brava a parlare di me seriamente, perciò preferisco che lo facciano gli altri. Essendo nata nel ’98, dovrei avere più di vent’anni, ma ho iniziato a contarli al contrario perché la gente non me ne dà più di quindici. Pare che a quaranta sia una bella cosa. Si spera di arrivarci, apocalisse permettendo. Spero anche di finire la magistrale in traduzione prima che sia lei a finire me, ma ride bene chi ride ultimo…
Non fiori, ma cioccolatini (a un primo appuntamento)

di Marcello Monti
Studente all’Università di Bologna, romagnolo di nascita, da anni coltivo le mie passioni (letteratura e cinema in primis). Dal 2016 faccio parte di una radio bolognese dove dal 2019 presento un programma dedicato alla letteratura indipendente. Tra un film, un libro e (ahimè!) un esame scrivo per L’Eclisse. Cari lettori vi aspetto tra le righe!