Il 2023 è stato segnato da diverse guerre: la continuazione dell’avanzata russa in Ucraina, il conflitto tra Israele e Palestina, le nuove tensioni in Kosovo e l’invasione del Nagorno Karabakh da parte dell’Azerbaigian – e questi sono solo alcuni dei conflitti in corso nella zona del Mediterraneo e Medio Oriente. La guerra in Yemen – iniziata formalmente più di otto anni fa – sembra però essere stata dimenticata da tutti, giornalismo mainstream compreso. In questo articolo proverò a fare chiarezza sulle cause della guerra, sui suoi sviluppi e sulle maggiori potenze che si contrappongono.
L’inizio del conflitto in Yemen viene spesso datato al 26 marzo 2015, quando l’Arabia Saudita, a capo di una coalizione militare, iniziò a bombardare i territori che erano stati occupati dagli Houthi, gruppo di ribelli sostenuti dall’Iran. In realtà, la guerra civile ha radici ben più lontane. L’origine più vicina a noi temporalmente possiamo forse trovarla nei moti della Primavera araba del 2011, i quali hanno portato alla nascita del movimento dei ribelli yemeniti. L’anno seguente, infatti, il Presidente Saleh fu costretto a dimettersi e fu sostituito dal suo vice Abdrabbuh Mansour Hadi. Il conflitto vero e proprio, però, iniziò nel settembre 2014 tra le diverse fazioni che reclamavano il potere insieme ai loro alleati.
Ad oggi, i principali attori nel territorio nazionale sono gli Houthi, il governo riconosciuto internazionalmente (con Presidente Rashad al-Alimi dal 2022) e il Consiglio di Transizione del Sud (Stc). Gli Houthi sono miliziani di Sa’da (al nord dello Yemen), un gruppo armato principalmente di sciiti zayditi2 fondato da Husayn Al Houthi. Gli Houthi, formati principalmente da un’elite religiosa, si sono sempre opposti all’influenza saudita e salafita3 nella zona e rivendicano una discendenza da Maometto. Attualmente sono sostenuti dall’Iran, il quale li ha trasformati da semplici insorti a governanti de facto in controllo di tutto il nord-ovest. Le istituzioni riconosciute dalla comunità internazionale sono quelle delle forze del governo del Presidente Hadi, le quali però agli occhi del popolo yemenita sono delegittimate. Questo perché dal 2012 non riescono a fornire sicurezza, stipendi solidi e servizi al popolo dello Yemen. Il governo, a causa della guerra civile, spesso risiede a Riyadh in Arabia Saudita, il che lo rende ancor più deboli agli occhi degli yemeniti.
Il Consiglio di Transizione del Sud (Stc) è nato nel 2017 come continuazione del Movimento meridionale fondato dieci anni prima, nel 2007. Esso raggruppa i governatori del sud-ovest e ha come obiettivo l’autogoverno del sud dello Yemen. È inoltre sostenuto informalmente dagli Emirati Arabi Uniti e da tre anni detiene anche il controllo di Socotra, l’isola nell’Oceano Indiano. Stc controlla la seconda provincia più importante del Paese, Aden, considerata la capitale economica del Paese fino a prima della guerra.
Le altre grandi forze nel conflitto sono Al-Qaeda nella Penisola Arabica (Aqap) e lo Stato Islamico (IS). Aqap si è formata dalla fusione di cellule yemenite e saudite, le quali sono riuscite nel tempo a sfruttare i vuoti di potere a proprio favore per occupare città e territori. Dal 2017 non è più presente nelle città più strategiche e ha dovuto stabilirsi nell’entroterra: ciononostante le loro violenze verso la popolazione civile non si sono fermate. Lo Stato Islamico, invece, è nato nel 2014 a seguito di una scissione da Aqap ed è caratterizzato da una forte retorica e violenza anti-sciita: ricordiamo l’attentato kamikaze contro due moschee a Sana’a che causò oltre 130 morti tra i fedeli5.
Il 19 marzo 2015 le forze degli Houthi presero il controllo della capitale Sana’a e il Presidente Hadi fu costretto a dimettersi. Come conseguenza, gli Houthi iniziarono la loro offensiva verso il Sud. Il 25 marzo dello stesso anno arrivarono ad Aden, dove Hadi si era stabilito con il suo governo, e questi quindi decise di scappare in Arabia Saudita dai suoi alleati7. Il giorno seguente, i sauditi lanciarono una controffensiva con una coalizione militare contro i ribelli per cercare di restaurare il governo di Hadi. L’Arabia Saudita iniziò quindi a bombardare i territori occupati dagli Houthi incessantemente, ma dopo più di otto anni il conflitto non ha ancora trovato una soluzione. Nell’aprile 2015, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (UNSC) votò a favore dell’imposizione di un embargo sulla vendita e fornitura di armi agli Houthi e ai loro alleati: tale decisione provocò il bombardamento di infrastrutture strategiche da parte dei ribelli.
Il conflitto, che va avanti da quasi dieci anni, è stato definito nel 2017 dalle Nazioni Unite la “peggiore crisi umanitaria nel mondo”9. I combattimenti non si sono mai fermati e il Paese è stato colpito anche dal Covid-19, il quale ha aggravato la situazione del sistema sanitario nazionale, il quale si trovava già in pessime condizioni. Save the Children stima che dall’inizio del conflitto sono morti circa 20.000 civili e che più di 4,5 milioni di persone (di cui due milioni di bambini) hanno dovuto abbandonare le proprie case10. Quasi 22 milioni di persone hanno bisogno di assistenza sanitaria: la metà (11 milioni) sono bambini. Questo perché, oltre alla lunga e logorante guerra civile, lo Yemen era già uno dei Paesi più poveri del Medio Oriente, se non del mondo. La guerra ha acuito le carestie, epidemie e il crollo economico. Ciò ha causato la perdita dei mezzi di sussistenza e l’aumento del costo delle materie prime. Ad oggi, chi è rimasto in Yemen si trova in una situazione in cui vi è una forte carenza di cibo, acqua potabile, servizi igienici e assistenza sanitaria, oltre che alla diffusione di epidemie come il colera e la difterite11. Inoltre, i bambini vivono in condizioni precarie: oltre al fatto che essi potrebbero imbattersi da un momento all’altro in mine e residui bellici mentre giocano, vengono spesso reclutati, rapiti e sottoposti a violenze sessuali. Tutto ciò in un clima di violenza più assoluta: spesso viene loro negato l’accesso ad aiuti umanitari offerti da organizzazioni internazionali e vivono in luoghi costantemente sotto attacco (soprattutto scuole e ospedali). Anche secondo l’UNICEF quasi 4.000 minori sono stati reclutati per i combattimenti, mentre 2,2 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta, la quale li rende in pericolo di vita.
Cosa sta succedendo adesso? Due anni fa, il 5 settembre 2021, Hans Grundberg è stato nominato il nuovo inviato speciale delle Nazioni Unite in Yemen: anche lui sostiene che ottenere un governo di intesa nazionale con il cessate fuoco non sia un’impresa semplice. Egli infatti ha dichiarato dal Consiglio di Sicurezza che “anche se tutte le parti in conflitto mi confermano di desiderare la pace, la loro attenzione rimane focalizzata sull’opzione militare”13. Negli ultimi anni, le aree di maggior combattimento sono quelle di Taiz, Hodeida, Marib e nei governatorati di al-Bayda d di Shabwa: Marib in particolare è una città ricca di petrolio e gas, materie prime necessarie per la crescita (o meglio, sopravvivenza) economica del Paese. Le Nazioni Unite stimano che dal 2015 siano morte circa 370.000 persone a causa del conflitto: il 60% però sarebbe morto per cause secondarie come epidemie, carestie e povertà. Da un punto di vista economico, secondo l’ISPI, il riyal (la valuta nazionale) “ha perso il 25% del suo valore nel 2020, deprezzandosi del 70% al valore pre-conflitto”14.
La tensione tra le varie fazioni rimane ovviamente molto alta anche dopo quasi dieci anni di guerra soprattutto perché il conflitto non è locale, ma si è espanso a diversi attori regionali e internazionali. Tra i principali troviamo l’Arabia Saudita, la quale inizialmente credeva che questa sarebbe stata una guerra lampo mentre ora si ritrova incastrata nel conflitto da quasi un decennio e sta disperatamente cercando una via d’uscita. La delegazione dell’Arabia Saudita è infatti stata accompagnata dai mediatori omaniti a Sana’a per incontrare Mohammed Ali Al Houthi. In questo incontro, tenutosi ad aprile del 2023, non sono stati però invitati i rappresentanti del governo riconosciuto. I sauditi, dovendo ridimensionare i propri obiettivi nel Paese, sono riusciti ad ottenere un prolungamento di altri sei mesi della tregua (stabilita dall’ONU e scaduta ad ottobre del 2022), oltre che a un temporaneo cessate il fuoco per poter riuscire a porre le basi per una fase biennale di transizione verso la fine del conflitto. Infatti, tra il 14 e il 17 aprile, grazie anche al sostegno della Croce Rossa Internazionale, sono stati liberati più di 900 prigionieri di guerra15.
La guerra in Yemen ci restituisce anche un’immagine delle dinamiche regionali tra le potenze più forti. L’Arabia Saudita sta appunto cercando una soluzione per poter uscire dal conflitto: già nel 2021 ha ritirato i suoi militari da alcune postazioni strategiche nella zona meridionale. La Repubblica Islamica di Iran è l’altra grande potenza in gioco nell’area: da sempre si è alleata con gli Houthi e così facendo è riuscita ad avere un accesso strategico al mar Rosso attraverso il porto di Hodeida. Secondo l’analisi dell’ISPI, la differenza ideologica tra Iran e Yemen è che gli iraniani (sciiti duodecimani16) hanno un’agenda transnazionale volta all’esportazione della rivoluzione islamica rispetto all’agenda locale degli Houthi (sciiti zayditi). L’alleanza tra Iran e ribelli yemeniti viene usata come strumento di rafforzamento reciproco, soprattutto in contrasto alla potenza regionale dell’Arabia Saudita. Anche gli Emirati Arabi Uniti giocano un ruolo minore, soprattutto sulla costa meridionale dello Yemen e sulle isole. Ufficialmente si sono ritirati nel 2019, ma esercitano formalmente una grande influenza, soprattutto per quanto riguarda l’addestramento delle milizie. L’Oman ha appunto giocato il ruolo di mediatore tra ribelli e Arabia Saudita e ha ospitato colloqui riservati tra sauditi, Houthi, ONU e USA.
Da un punto di vista extraregionale, gli USA hanno sempre contrastato le formazioni jihadiste: il gruppo jihadista dello Yemen viene infatti considerato una delle maggiori minacce alla sicurezza del Paese. Nel 2015, infatti, gli Stati Uniti (sotto la presidenza di Barack Obama) hanno appoggiato l’Arabia Saudita nella sua Campagna contro gli Houthi, aiutandoli sia con l’intelligence che con appoggi logistici. L’Unione Europa si è concentrata soprattutto su una diplomazia “umanitaria” attraverso l’aiuto allo sviluppo. Il Regno Unito (che allo scoppiare della guerra civile era ancora all’interno dell’Unione) è stato il Paese più attivo proprio a causa dei legami storici con la zona, che risalgono al periodo coloniale fino a seguito della Seconda guerra mondiale. Nel 2019, Italia, Germania, Portogallo, Spagna, Danimarca, Svezia e Norvegia hanno partecipato alla missione civile di monitoraggio del cessate il fuoco a Hodeida, una città sulla costa ovest dello Yemen. Per ultimo, la Cina ha sempre cercato di mantenere una posizione di equilibrio tra le parti: infatti detiene rapporti sia di natura economica che politica con Emirati Arabi Uniti, Iran e Arabia Saudita.
La guerra civile iniziata ormai quasi dieci anni fa non sembra trovare una vera conclusione, soprattutto agli occhi dei civili yemeniti. Bambini, donne e anziani sono, come spesso accade in terreni di guerra, i più fragili e i più colpiti. L’infanzia è qualcosa che questa generazione non ha potuto conoscere e non ha alcun tipo di speranza per il proprio futuro: anche se la guerra dovesse finire domani, ci sarebbe un intero Paese da ricostruire, che si reggeva già su basi poco solide. È sicuramente necessario mantenere alta l’attenzione verso questo conflitto: dopo quasi dieci anni dall’inizio del conflitto, di questa guerra in stallo non ne parla quasi più nessuno e spesso le informazioni reperibili sono parziali o non sempre corrette e aggiornate.
Note
- Fonte immagine 1: https://www.britannica.com/place/Yemen#/media/1/652831/223482
- Lo zaydismo è la variante di Sciismo islamico presente in Yemen.
- Il salafismo era in origine un movimento che si batteva per la purezza dell’Islam e identifica le prime generazioni di musulmani. Dal ventesimo secolo, il salafismo viene spesso associato al fondamentalismo islamico poiché diversi gruppi estremisti vi si rifanno.
- Fonte immagine 2: https://www.tpi.it/esteri/guerra-yemen-trump-usa-20181002177296/
- https://www.unicef.it/media/decine-di-bambini-vittime-degli-attentati-nelle-moschee-in-yemen/
- Fonte immagine 3: https://www.aa.com.tr/en/africa/after-9-years-of-war-control-of-yemen-remains-divided-among-3-sides/2870283#
- https://documents-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/N15/103/72/PDF/N1510372.pdf?OpenElement
- Fonte immagine 4: https://www.internazionale.it/notizie/2016/03/10/yemen-guerra
- https://www.medicisenzafrontiere.it/news-e-storie/news/guerra-in-yemen-storia-e-motivi-del-conflitto-pluriennale/
- https://www.savethechildren.it/blog-notizie/guerra-yemen-origini-ed-evoluzioni-di-un-conflitto-che-dura-da-anni
- https://www.savethechildren.it/blog-notizie/guerra-yemen-origini-ed-evoluzioni-di-un-conflitto-che-dura-da-anni
- https://www.unicef.it/emergenze/yemen/
- Fonte immagine 5: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/yemen-sette-anni-di-conflitto-attori-strategie-implicazioni-33121
- https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/yemen-sette-anni-di-conflitto-attori-strategie-implicazioni-33121
- https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/yemen-lo-strano-caso-della-pace-saudita-126377
- I Duodecimani sono il gruppo maggioritario tra gli sciiti
- Fonte immagine copertina: https://www.learnliberty.org/blog/end-american-involvement-in-yemen/

di Bianca Beretta
Mi chiamo Bianca e frequento International Politics, Law and Economic all’Università degli Studi di Milano. Mi interesso in particolare di geopolitica e diritti. Nel tempo libero amo leggere, fotografare e fare canottaggio.