Rassicurazione e godimento
Ci pare naturale razionalizzare il tempo in compartimenti stagni, in narrative autoconclusive dotate di una durata prestabilita, invariabile; tuttavia, nella maggior parte dei casi, questo non è possibile. Il capodanno del 2024 ci ha proiettato in una nuova serie di episodi della nostra vita, una serie tanto intersecata con quella appena conclusasi che sarebbe impossibile decifrarla senza avere compreso a fondo ciò che ci ha coinvolto nelle puntate precedenti.
Permettetemi, allora, di riavvolgere il nastro, di scorrere il feed dai toni trionfalistici e tornare a quel 26 ottobre 2023 per chiederci: come è successo?
Debutto alla regia di una diva dello spettacolo italiano, una commedia amara su una donna abusata dal marito, a cavallo tra secondo conflitto mondiale e Prima Repubblica, approda nella sala che già nell’estate aveva visto le sue poltrone accogliere numerosi ospiti. Ma quando lo schermo in bianco e nero di C’è ancora domani illumina il pubblico di quel 26 ottobre, non mostra quel fenomeno inaspettato, o quell’accoglienza ampia, anzi amplissima, che avrebbe avuto nei mesi a venire. Il successo al botteghino della pellicola di Cortellesi non si esaurisce in una campagna di marketing meticolosamente studiata, né nel richiamo divistico di una superstar in grado di attirare un pubblico disomogeneo per età, genere ed estrazione sociale. L’anno trascorso abbiamo visto al botteghino domestico un fenomeno sorprendente e inspiegato che, sentenzia La Stampa1, riesce ad accendere i riflettori su tematiche molto attuali quali la violenza di genere.
Ma proprio l’insensatezza di tale fenomeno, non risolta dalle numerose pagine di giornale che, allo stesso tempo, affermano la rivoluzionarietà della pellicola, ci impone di fare un passo indietro e analizzarlo, affinché si possa dare fondatezza critica a tali asserzioni.
Innanzitutto, io credo che sia appropriato distinguere il pubblico di C’è ancora domani in due fette, separate da un differente movente. La prima porzione di pubblico, quella che giunge in sala il 26 ottobre, è attratta principalmente da un effetto divistico. La scarsa promozione del film, caratteristica del cinema italiano in genere, punta principalmente sul debutto alla regia di una comica conosciuta a livello nazionale, Paola Cortellesi. Certo, altri elementi di interesse potrebbero essere individuati all’interno del trailer che lascia intravedere alcune delle caratteristiche fondamentali del film, come la scelta del bianco e nero, la disposizione spazio-temporale, il registro tragicomico e i riferimenti cinematico-culturali; tuttavia, viene da pensare che questi non influiscano massicciamente sul richiamo in sala come piacerebbe pensare ai critici.
La mia breve indagine, basata principalmente sulle reazioni social di testate giornalistiche e singoli individui, rileva che la fetta di pubblico ‘ho visto il film della Cortellesi’ si reca nei cinema nella prima, massimo seconda, settimana di proiezione e determina l’accensione della miccia.
L’esplosione del vero e proprio fenomeno giunge solo dalla seconda settimana dopo l’uscita in sala ed è il risultato di una serie di amplificazioni e intersezioni mediatiche che collegano strettamente la pellicola all’opinione pubblica. Questo movimento ‘dal basso’, grassroot, di valorizzazione e messa al centro del film nella narrazione popolare, ha appiglio grazie a un anno pregno di un discorso social femminista e sulla violenza di genere, oltre che alla propensione del film a rendersi attuale all’interno di questo discorso. Se, infatti, la prima fetta di pubblico viene attratta da un effetto divistico, la seconda inizia a esserlo grazie a una raccomandazione collettiva, a una riproposizione della pellicola all’interno del discorso quotidiano.
Ma cosa rende C’è ancora domani tanto attraente? Sarà, come dice La Stampa2, che questo film ha fatto aprire gli occhi a una grossa parte del pubblico che non si era interessato a temi quali la violenza di genere?
Io credo siano due gli elementi fondamentali che rendono questo film tanto raccomandabile: il conforto e l’autoerotismo. Entrambi questi elementi si imperniano sulla capacità di usare il discorso mediatico all’interno dell’opera, di mettere in scena ciò con cui si è più familiari per restituire una narrativa sicura e confortante, in quanto dalla morale rigida e pre-assializzata sul web. La dogmaticità di una realtà organizzata secondo termini oppositivi in quanto epurata delle sue contingenze e la riproposizione del già noto che fa sì che, a slogan come ‘il Barbie italiano’ o ‘il film sulla violenza di genere’, si rispettino le sfumature e le caratterizzazioni con cui l’utente dell’internet viene a contatto quotidianamente, assicurano che lo spettatore non venga disorientato durante la visione e, soprattutto, si avvii una sorta di processo autoerotico in cui la vettorialità dell’etica spettatoriale viene validata dalla pellicola.
C’è ancora domani opera in questo modo. È facile riconoscere, fin dal primo sguardo, i buoni e i cattivi, incontrovertibilmente. Se prendiamo per esempio in analisi Ivano e Giulio, il marito della protagonista e il fidanzato della figlia, questi appaiono come antieroi classici: sono degli uomini pericolosi, violenti e manipolatori. Certo, ci viene mostrato che non si sono sempre comportati così, ma mai il perché. Appaiono mutati per magia, come se durante il matrimonio o la relazione avessero deciso di mostrarsi senza veli, per quello che sono realmente: d’altronde ‘tutti gli uomini sono così’.
David Simon fa una differenza3: distingue l’arte dei fatti e l’arte della realtà. Quest’ultima deve riportare i fatti certamente ma deve anche inserirli all’interno della più grande e complessa rete fattuale che è il reale, per permettere al fruitore di contestualizzarli e comprenderli appieno. Perché uno spettatore poco informato possa trarne autoaccrescimento, oltre all’autocompiacimento.
Cosa si può, quindi, affermare dopo un successo di questo tipo? Un successo di un film sulla violenza di genere ma scarso di una coscienza di genere? Credo tale fenomeno, che nell’anno appena passato ha visto coinvolto non solo il nostro paese con C’è ancora domani ma l’intero globo con il successo planetario di Barbie, non debba essere interpretato come un momento di divulgazione, un momento di avvicinamento collettivo al femminismo.
Piuttosto il femminismo pop, distillato e privo di sfumature, domina il mercato con prodotti che credo debbano essere utilizzati come cartina di tornasole rispecchiante la profondità di indagine che la cultura popolare riserba per gli studi di genere. C’è ancora domani non avvicina o non allontana; non sensibilizza perché il suo successo non si erge sull’educazione. C’è ancora domani regala una coscienza collettiva, quella di un’Italia che si confronta con il femminismo.
Sarà un femminismo semplificato, pop, denaturato, ma rimane un segnale importante per sperare in un paese in cui è sempre più difficile credere.
Note
- Vedi: https://www.open.online/2023/12/08/c-e-ancora-domani-cortellesi-new-york-times/
- Gli articoli sulle potenzialità di sensibilizzazione del film sono veramente tanti o forse troppi. Emblematico, è l’esempio di uso didattico da parte di enti, professionisti o scuole che ritengono la visione del film illuminante sulla condizione delle donne. A tal proposito, si veda: https://www.fanpage.it/milano/anonimo-regala-400-biglietti-di-ce-ancora-domani-di-paola-cortellesi-ai-ragazzi-di-una-scuola/ e https://www.genova24.it/2023/12/ce-ancora-domani-gli-psicologi-al-cinema-per-sensibilizzare-sulla-violenza-di-genere-366975/
- Vedi Brett Martin, Difficult Man, Minimum Fax, Roma, 2013, pp. 213: “se rimani fedele unicamente ai fatti, non concludi nulla di buono”.
di Matteo Paguri
Matteo Paguri, 10 settembre 1998. Vergine ma, ve ne prego, non chiedetemi l’ascendente perché non me lo ricordo: già troppe volte l’ho “calcolato”, “cercato” e già troppe volte me lo sono scordato. Profondo amante dell’astrologia, come si può dedurre. In realtà non amo troppo descrivermi, quindi che dire? Studio l’arte del cinema all’Università di Padova: in particolare frequento il corso di Scienze dello Spettacolo e Produzione Multimediale. Laureato al DAMS di Bologna, il motto della mia vita è “sarà quel che sarà”.