La mamma cattiva delle fiabe
Specchio specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?»
Penso che ogni lettore conosca la fiaba dalla quale ho estrapolato questa celebre battuta: si tratta ovviamente di Biancaneve e i sette nani. La favola narra della povera Biancaneve che, dopo la morte della madre, trascorre l’infanzia con la matrigna, una donna cattiva, altera ed invidiosa della bellezza della giovane fanciulla. Ma non è solo Biancaneve a trascorrere un’infanzia difficile e triste a causa della perfida belle-mère: ricordiamo Cenerentola, che ha vissuto nelle grinfie della matrigna e delle sorellastre fino al magico incontro con il principe, che la salva dal destino infelice; Hansel e Gretel, abbandonati nel bosco per volere della nuova moglie del padre; ma anche Raperonzolo, cresciuta dalla vecchia megera Dama Goethe in una torre senza porte nascosta nel bosco.
Insomma, numerose fiabe della tradizione orale e scritta sono caratterizzate dal personaggio della matrigna, una donna cattiva che si sostituisce alla mamma biologica, quasi sempre morta nel dare alla luce la figlia. La matrigna è l’antagonista per antonomasia: il sostantivo stesso contribuisce a darne un’idea negativa, a causa del digramma gn; ma sono soprattutto le fiabe e i cartoni animati ad esse ispirate, come i celeberrimi classici Disney, a presentare la matrigna come “l’ostacolo” da superare per poter raggiungere il lieto fine.
Da bambina amavo la fiaba di Biancaneve. Mi ricordo che avevo un libro in cui c’erano tanti disegni che rappresentavano la storia ed io, terrorizzata dalla regina cattiva, avevo coperto con uno spesso pennarello nero tutte le illustrazioni che la ritraevano.
Perché, se le fiabe sono destinate ai bambini, presentano spesso la figura della matrigna, che incute nei piccoli più paura e terrore rispetto ad un orco o ad un cacciatore?
Attraverso questa analisi emerge chiaramente che matrigna e mamma biologica (che nelle fiabe muore prematuramente o è assente, come nel caso della Bella Addormentata nel bosco) sono in realtà un tutt’uno, le due facce della stessa medaglia. La matrigna, dunque, è l’alternativa che permette al bambino di confrontarsi con la parte cattiva della mamma, in quanto sarebbe troppo complicato per lui riunire sia il bene, sia il male nella stessa persona.
Ad essere sinceri, pensare ad una madre “cattiva” che esercita violenza sui propri figli è destabilizzante non solo per il bambino, ma anche per l’adulto, nonostante egli sia conscio della polivalenza dell’animo umano.
A tal proposito mi viene in mente un esempio estremo, che tuttavia trovo decisamente calzante: Medea. Nella tragedia di Euripide, è proprio la madre, Medea, ad essere matrigna: la donna infatti, tradita ed umiliata dall’amato Giasone che ha accettato di sposare la giovane Glauce, dopo un’angosciosa incertezza, permette all’istinto di vendetta nei confronti dell’uomo di vincere l’amore che prova per i due bambini da lui avuti. Fuori di sé, sopprime la sua natura di madre e uccide i piccoli figli, macchiandosi del crimine più orribile: l’infanticidio.
«Se una sola uccisione potesse saziare questa mano, non ne avrei perpetrata nessuna. Anche uccidendone due è un numero troppo piccolo per il mio odio. Se qualche creatura si nasconde ancora nel mio grembo, mi frugherò le viscere con la spada e la estrarrò col ferro».
In realtà, il mito di Medea andrebbe contestualizzato per poter essere compreso: sarebbe scorretto limitarsi a definirla un’assassina, una madre colpevole che uccide i figli solo per vendetta. Medea, infatti, rispecchia la condizione della donna nella Grecia del II secolo a.C., che viveva in funzione dell’uomo, doveva sottostare ad un coniuge, anche ipocrita e ingrato.
Ad analizzare la psicologia di Medea fu anche il grande regista, sceneggiatore e scrittore Pier Paolo Pasolini, che nel film Medea si sofferma in particolare sulle differenze tra la donna e Giasone: «Medea è l’eroina di un mondo sottoproletario, arcaico, religioso. Giasone è invece l’eroe di un mondo razionale, laico, moderno. E il loro amore rappresenta il conflitto tra questi due mondi.» Come ci mostra Pasolini, Giasone proviene sì da un mondo civilizzato, ma alla fine molto più corrotto rispetto alla straordinaria “purezza” di quel mondo barbaro da cui proviene Medea.
Per sapere qualcosa in più riguardo a Medea, rimando ad un articolo uscito i primi di maggio sul National Geographic. Per i più interessati, è disponibile su YouTube il film diretto da Pier Paolo Pasolini.
Concludendo, vista la recente messa in discussione delle fiabe, mi sento di suggerire un ripensamento del ruolo della “matrigna” nella società: quante volte abbiamo sentito questo termine usato in modo dispregiativo, proprio per il paragone con la Regina Cattiva o con Lady Tremaine?
Abbiamo visto che questa figura è utile alla crescita e all’apprendimento dei bambini, ma, in quanto adulti, cerchiamo di spingerci oltre gli stereotipi. Ormai, sono tante le famiglie in cui i bimbi si ritrovano ad avere una “matrigna”, un “patrigno”, dei “fratellastri” o delle “sorellastre” e, per fortuna, non sono tutti perfidi! Propongo quindi di abbandonare questi termini intrinsecamente dispregiativi, poiché «madre è chi la madre fa»: non per forza (o non solo) chi dona la vita, ma soprattutto chi cresce il figlio e si interessa del suo benessere. Sia essa biologicamente legata a lui o meno.
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