7 luglio 2021
Partiamo dal presupposto che non volevo dire nulla a riguardo dell’etero pride andato in scena ieri notte, all’insegna del mantra «let people enjoy things». Però, il potere che ho di cambiare la realtà è alquanto limitato, in quanto individuo, e per giunta ancor più limitato in quanto omosessuale, quindi perché rinunciare al mio diritto di lamentarmi? Del resto si sopravvive borbottando e gli anziani, ben più saggi, lo sanno bene.
Analizziamo dunque ciò che è successo da varie prospettive.
Per i tifosi, o i solidali spettatori, i rumori e il circo a cui abbiamo assistito sono una reazione fisiologica, o tutt’al più comprensibile, mai condannabile.
Ci sono poi coloro a cui non interessa del gioco, che, se fortunati, hanno solo dovuto chiudere le finestre e accendere i condizionatori, se più sfortunati, hanno deciso di impiegare quelle due ore di baccano per fare qualcosa in casa – del resto i lavori della massaia non finiscono mai. Loro malgrado hanno sopportato, in quanto minoranza, il bordello.
Ci sono poi quei pochi con una capacità critica superiore alla media (dove la media sono le coppie che partecipano a Temptation Island) che hanno capito fino in fondo ciò che stava accadendo: l’infrazione, non solo delle leggi non scritte del decoro e dell’educazione, ma anche di quelle scritte della convivenza civile.
Devo subito fare un appunto: il Pride è appena passato, e noi della comunità LGBTQ+ DOBBIAMO chiedere il permesso di riunirci UN GIORNO ALL’ANNO per celebrare e dobbiamo chiederlo a quel potere di impronta e organizzazione fortemente patriarcale. Proseguendo dunque il sillogismo, l’osservazione banale sarebbe che gli uomini, perlopiù eterosessuali, non debbano chiedere alcun permesso per celebrare il loro orgoglio (sportivo e patriottico) perché esponenti del potere “maschio”. Giusto, ma si farebbe un torto alla propria intelligenza fermandosi qui col ragionamento. Se è vero, infatti, che l’organizzazione del potere è di stampo patriarcale, è vero anche che le strutture di questo potere soggiacciono ad un altro, quello economico, a cui il nostro genere interessa ben poco, se non per ciò che rappresenta nella dinamiche sociali.
Quindi cosa siamo noi froc* e cosa siete voi uomini tifosi per le corporations? Consumatori. Così, nel Pride si sono infiltrate ad ogni livello le sponsorizzazioni delle aziende e il suo potere di protesta (già pressoché nullo, visto che una protesta concordata con l’amministrazione della città non genera disagio – e una protesta che non genera disagio non è una protesta) è stato riassorbito e convertito in convertito in potere mediatico di fare pubblicità alle aziende sponsor. Resta di buono la capacità di unire e fare comunità della manifestazione, the gathering. Consolazione importante, ma magra.
Torniamo alla nostra riflessione lasciata in sospeso: perché è permesso ai tifosi di fare quello che vogliono? Il potere ha sempre bisogno di un’idea (da cui poi si sviluppi un’ideologia) che giustifichi la sua violenza e che assorba il dissenso dei sottoposti. A lungo è stata la religione, che tutt’ora, anche se con estensione minore, è presente. Dall’epoca fascista si sono infiltrati miti laici quali la romanità, la massaia genitrice, il gran lavoratore, lo sportivo simbolo di forza e virilità, etc., immagini che non hanno fatto altro che incarnare due grandi necessità del regime: la famiglia come unità produttrice e riproduttrice e il mantenimento della gerarchia patriarcale del potere.
I miti, gli eroi, le leggende, sospendono la capacità critica, se calati dall’alto (Die Religion ist das Opium des Volkes, celebre frase attribuita a Marx ma in realtà hegeliana, riferita non solo alla religione, ma a qualsiasi prospettiva trascendente strumentalizzata dai padroni.)
Cos’è il calcio se non una delle tante droghe dei popoli, che mantiene l’uomo allo stato critico di consumatore passivo? Non staremo qui a definire il perché esso si sia radicato così a fondo nella cultura del nostro Paese (possiamo accennare alla capacità del gioco di includere la volontà di potenza del singolo e di farla convivere con il gruppo, la squadra; gli stadi che ricalcano il modello delle arene dei gladiatori; la spettacolarizzazione della prestazione sportiva e dello scontro, etc.).
Esso dunque anestetizza le istanze violente e di protesta, proponendosi da un lato come divertissement che toglie tempo alla riflessione (banalmente se dopo otto ore di lavoro torni a casa e invece di leggere o parlare con la tua famiglia ti isoli a guardare la partita, il risultato non può che essere un solipsismo ignorante); dall’altro come divertimento istituzionalizzato in cui sfogare quelle istanze (basti vedere ciò che succede negli stadi, la violenza verbale e fisica, ma anche ciò che succede dopo le partite).
Vien da sé che un tale tipo di svago, così perfetto per mantenere le persone ad un livello di critica pressoché inesistente e sfogare la rabbia sociale, venga infiltrato e sfruttato: la consapevolezza o meno da parte del potere economico è irrilevante in un’ottica evoluzionistica di mantenimento di uno status quo favorevole al progresso del capitalismo, per cui è inutile concepire un ordine mondiale di pochi ricchi che decidono tutto; è invece interessante evidenziare i fenomeni che ‘emergono’ – nel senso emergentista del termine – da un sistema complesso come quello capitalistico post-industriale.
Per concludere, il fenomeno calcio, come il fenomeno social e tanti altri, sono da aborrire non tanto per ciò che rappresentano in sé, ma per la strumentalizzazione che se ne fa e per il ruolo che avrebbe di mantenere statiche le dinamiche del potere.
9 luglio 2021
Mi sono trovato a riflettere riguardo a ciò che ho scritto e alla struttura argomentativa. Piuttosto che riscrivere l’articolo daccapo, ho deciso, affinché fosse mimetico dell’evoluzione del mio pensiero, di integrare la prima parte con questa seconda.
Come si percepisce dalla lettura, i sentimenti che mi avevano portato a parlare del gioco del calcio sono la frustrazione e la rabbia. E, tuttavia, mi sono chiesto se essi fossero davvero diretti contro i tifosi o avessero un altro bersaglio.
Apro una parentesi: mentre i sentimenti come l’amore possono essere diffusi, quelli come la rabbia e l’odio richiedono sempre target specifici, che in genere vengono scelti tra le cose o le persone più prossime. Dopo averli vissuti (e consiglio di concedere di viverli piuttosto che sopprimerli), è bene indagare riguardo i bersagli designati.
Nel mio caso la vittima immanente è stata la figura del tifoso, per prossimità temporale e fisica; il sentimento negativo, tuttavia, era diretto verso tutti coloro che non esercitano la propria capacità critica. Insomma una misantropia scaturita dalla mal sopportazione della stupidità e della pigrizia dell’intelletto.
Dunque le persone che si riuniscono per festeggiare le vittorie calcistiche sono da condannare? No. La necessità di farsi massa è terribilmente umana. Come scrive Elias Canetti nel suo Massa e potere, nella fiumana di persone si perde la «paura di essere toccati». Per parafrase in gergo freudiano, si assiste ad un annullamento dell’io, piacevolissimo poiché la coscienza (da dove scaturisce il male di vivere) si azzera in una serie di risposte istintive, riflesse. Se volete un termine di paragone per questa sensazione, pensate a quando fate sesso (sperimentate anche in quel caso una sospensione della coscienza e di certo non avete paura di essere toccati).
Il problema dell’assenza di pensiero critico tuttavia permane. Ed è ciò che più mi preoccupa. I tifosi, se amanti del gioco del calcio, non possono ridursi allo stato di adorazione.
La risonanza mediatica che ha questo sport ne fa l’oggetto di uno sfruttamento profondo. Dai media, come giornali e televisione, che ne fanno un argomento sempre presente tra i loro contenuti, trasformandolo in un cliché, perché sanno che esso trova il consenso del pubblico in quanto argomento mai problematico (e invece dovrebbe essere riconosciuto come tale e la sua narrazione essere problematica di conseguenza), appiattendo la realtà del gioco del calcio ad un’immagine sempre positiva, alla finanza, che ha trovato in questo sport una delle molteplici occasioni di bolla speculativa in cui può proliferare (basti pensare alle recenti acquisizioni di magnati stranieri di molte società italiana, motivate da interessi sportivi pressoché nulli, che, dietro la conferma del paradigma riccone-squadra come status symbol, nascondono la volontà di spostare capitali in un’economia ancora presa troppo poco sul serio).
Siate tifosi, se volete, ma siate anche sempre critici verso ciò che amate. Perché l’amore non è conferma ma confronto.
di Nikolin Lasku
Studiavo medicina, mi sono perso e ritrovato a lettere moderne. Leggo di critica sociale da un iPhone lilla. Mi piace scrivere in stile advanced pop e ascoltare l’hyper-pop. Sono su Instagram @lsknkln