Il 26 settembre è uscito il nostro editoriale sulla scuola – cui non ho avuto il piacere di partecipare come articolista – e il 28 settembre, a soli due giorni di distanza, la Fondazione Agnelli, un ente di ricerca specializzato nello studio dell’educazione, ha pubblicato il suo Rapporto Scuola Media 2021.
Naturalmente, i responsabili della Fondazione hanno appositamente scelto la data per farci dispetto e per impedirci di commentare adeguatamente il loro rapporto, magari nell’articolo di Eugenia Gandini sul confronto fra due generazioni diverse di insegnanti di scuola media.
Quindi, giunge soltanto oggi, ed extra ordinem, il mio contributo al tema scolastico di questo settembre, che si concentra proprio sul momento più doloroso nel percorso scolastico italiano: quello intermedio, la vera pietra dello scandalo.
In realtà, non ho intenzione di riassumere o di commentare i risultati del vasto studio della Fondazione. Non solo perché penso si tratterebbe di uno sforzo inutile (conosciamo fin troppo bene cosa sia la scuola media…), ma anche perché sono già disponibili online gli appositi Bignami (come quello del Sole24Ore), oltre che il riassunto grafico creato dagli autori del rapporto. In breve: gli insegnanti sono scontenti, gli studenti sono scontenti e nessuno impara niente. Nel corso della mia analisi, toccherò punti più precisi della questione, indicando gli appropriati passaggi del rapporto.
Lo scopo è piuttosto quello di formulare una proposta audace e (spero) meritevole di attenzione.
Preferisco sempre esporre la mia tesi e poi argomentarla: la scuola media può essere abolita, almeno nella sua forma attuale. Gli scopi e gli obbiettivi della scuola media possono essere raggiunti in modo migliore e più efficace, eliminando nel frattempo uno dei molti rami secchi del nostro modello scolastico.
Innanzitutto, descriviamo la “nuova scuola media”: essa consta di un solo anno scolastico (presumibilmente, quello centrale). Durante quest’anno “speciale”, gli studenti non si dedicano ad attività didattiche tradizionali, ma entrano in contatto con tutte le materie che potrebbero affrontare negli anni successivi, dunque seguirebbero, nel corso di un solo anno, lezioni di greco e di fisica, di informatica e di tedesco, eccetera. Non sono presenti valutazioni o voti – e non sono possibili bocciature. La frequenza delle lezioni risulta più libera, e gli studenti hanno la possibilità, in forma crescente nel corso dell’anno, di plasmare il loro curriculum per includere le materie che più preferiscono, aumentando le ore in alcune aree piuttosto che in altre, per cercare di orientarsi nella variegata offerta liceale proposta. In questo percorso, i giovani alunni non sono lasciati a sé stessi. La presenza degli insegnanti è costante, non solo didatticamente: non dovendo più assegnare voti, fare verifiche o interrogazioni e, in generale, valutare gli alunni dal punto di vista nozionistico, essi possono recuperare un rapporto più umano con lo studente. La possibilità di scegliere parte del proprio orario e delle proprie lezioni permette di creare classi più piccole, in cui l’insegnante conosce personalmente i propri studenti ed è in grado di aiutarli più da vicino. Inoltre, gli insegnanti hanno la possibilità di sperimentare più liberamente tecniche educative nuove e possono approcciarsi in modo differente le prospettive degli alunni. Si potrebbe anche valutare, nonostante le difficoltà tecniche, la possibilità di introdurre figure professionali differenti, in grado di offrire un supporto psicologico agli studenti.
Questa prima esposizione sommaria risolve da sé alcuni problemi che il Rapporto evidenzia, e include anche alcune delle soluzioni proposte: la didattica a misura di adolescente, che si contrappone all’attuale didattica antiquata e poco partecipativa; la visione di una scuola media che sia orientata al futuro; il problema del ricambio degli insegnanti, che verrebbe risolto in automatico (visto che il percorso sarebbe lungo solamente un anno). Oltretutto, la proposta non modificherebbe in concreto l’attuale organizzazione delle scuole medie. Esse sono già un grande esperimento che dovrebbe aiutare i ragazzi a scegliere con consapevolezza la propria scuola superiore: lo dimostrano l’alto numero di insegnamenti proposti e il “consiglio orientativo” che il Consiglio di Classe consegna a ciascuno studente al termine del primo quadrimestre della terza media, che deve tener conto anche di “colloqui con lo studente e anche da questionari o test in ordine alle personali attitudini e agli interessi più manifesti”1. Questi stessi obbiettivi sarebbero raggiunti, con minore sforzo e maggiore rendimento, in un modello che li rendesse non solo prioritari, ma l’unico obbiettivo pratico della scuola media.
Inoltre, è mio parere che un anno di transizione vero e proprio (molto diverso nei riti e nel funzionamento sia dalla scuola elementare che dalla scuola superiore) aiuterebbe a rendere più chiaro allo studente il periodo di passaggio che lui stesso sta vivendo, sia al proprio interno sia per gli altri. Il rapporto della Fondazione Agnelli cita a più riprese gli studi neuroscientifici che affrontano queste tematiche, approfondendo i cambiamenti in atto nel cervello adolescente e il modo in cui è possibile affrontarli a livello didattico. Uno dei punti dolenti identificati è proprio il brusco passaggio dalla didattica personale e malleabile della scuola elementare a quella già rigida e fredda della scuola media. Un anno di transizione aiuterebbe a lenire queste difficoltà. Inoltre, da un punto di vista psicologico, verrebbe percepito come un vero e proprio rito di passaggio, e la scuola media, breve e completamente diversa, è uno spazio liminare, in cui lo studente abbandona il passato e si prepara per il futuro.
Infine, dal punto di vista dei docenti, la scuola media potrebbe diventare, ad un tempo, un centro di reclutamento ed una palestra di allenamento. I professori in divenire potrebbero, prima di passare all’insegnamento liceale, svolgere uno o due anni nella scuola media: avrebbero, così, la possibilità di iniziare la loro carriera in un ambiente rinnovato, professionalmente più stimolante, circondati da colleghi loro coetanei con cui condividere metodi di insegnamento e conoscenze, che possono essere prima esercitati sugli studenti e, poi, portati, con profitto, nelle scuole superiori. Eventuali modifiche di orari, carichi di lavoro differenti e distribuiti su varie scuole permetterebbero anche ai neoassunti di sperimentare classi e contesti differenti, confrontandosi con una grande varietà di studenti diversi e arricchendo il loro bagaglio didattico.
Dulcis in fundo, concludo su questa nota positiva: accorciando la scuola media sarebbe possibile “traslare” indietro di un anno la scuola superiore; si giungerebbe quindi al termine del proprio ciclo di studi pre-universitari nell’anno di compimento della maggiore età (e non nell’anno di compimento dei 19 anni), uniformandoci ad altri modelli scolastici europei, senza accorciare le scuole superiori (come si sta cercando di fare con apposite scuole quadriennali sperimentali).
Le proposte legislative e non legislative sull’istruzione nel nostro paese si sprecano – dall’abolizione degli scritti alla maturità all’insegnamento in tutte le scuole di diritto ed economia – ma trovano sempre poco spazio nelle patrie stanze per la diversità di vedute degli individui e per le tensioni politiche, che si addensano intorno alle questioni. A chi importa cambiare la scuola? Forse, come abbiamo ricordato nell’Editoriale, anche ad una nuova platea di adulti e ragazzi, che vedono il cambiamento come possibile dopo questi due anni di tempesta.
1Per chi avesse voglia di trovare un riscontro legislativo, oltre che empirico, a questa affermazione, nonché la fonte del virgolettato, si sconsiglia fortemente la lettura dell’Allegato C al D. Lgs. 59/2004.