«Cogito ergo sum». Così pronunciò il grande filosofo razionalista Cartesio, che nel XVII secolo individuò, nel dubbio metodico, lo strumento necessario per liberarsi dalle opinioni comunemente ritenute vere e atto ad infirmarne i fondamenti, giungendo ad una nuova e più autentica conoscenza.
Di recente mi sono imbattuta nella seguente asserzione del filosofo Norberto Bobbio: «Cultura significa misura, ponderatezza, circospezione: valutare tutti gli argomenti prima di pronunciarsi, controllare tutte le testimonianze prima di decidere, e non pronunciarsi e non decidere mai a guisa di oracolo dal qual dipenda, in modo irrevocabile, una scelta perentoria e definitiva»[1].
Leggendo, parrebbe proprio che egli stia ripercorrendo il sentiero gnoseologico tracciato da Cartesio e ancora prima, per certi versi, da Socrate. I tre filosofi concordano infatti nel riconoscere i limiti della conoscenza umana e la preziosità del dubbio come strumento conoscitivo, nonché nel promuovere la figura del vero e onesto intellettuale.
Per Bobbio cultura non è sinonimo di tuttologia, mero «insieme delle nozioni organicamente apprese e dal sapere scientifico, letterario ed artistico», come potrebbe recitare un qualunque dizionario. Essere uomini di cultura non implica la sola padronanza di un sapere enciclopedico fine a se stesso. Definirsi veri uomini di cultura significa essere in grado di porre al vaglio qualunque nozione pervenga studiando o informandosi, riconoscendosi “ignoranti” in determinati ambiti, concedendosi una ricerca più approfondita a tal proposito e pronunciandosi solo dopo aver compiuto una rigorosa analisi qualitativa.
Ecco allora che, nelle parole di Bobbio, emerge con limpida chiarezza l’importanza del non dare tutto e subito per certo, ma di prestare un attento spirito di osservazione critica rispetto alle varie testimonianze o a ciò che si ritiene inizialmente esatto, procedendo quindi ad elaborare e prendere decisioni solo dopo aver compiuto una rigorosa e approfondita ricerca.
Il filosofo torinese dà inoltre prova di appoggiare la lezione fondamentale di Socrate: questi, infatti, pose come prima condizione della ricerca e del dialogo la coscienza della propria ignoranza. La celebre asserzione «so di non sapere» sottolinea come anche il filosofo ateniese invitasse chiunque ad una ricerca continua della propria verità, dal momento che anche chi crede di sapere, in realtà, non sa. Essere consapevoli che non si smette mai di imparare e di conoscere, si rivela quindi fondamentale. L’uomo colto, infatti, è proprio colui che valuta quanto più possibile, prima di pronunciarsi, senza mai fornire una soluzione inconfutabile, lasciando dunque aperta la discussione.
Si comprende pertanto come la misura, la ponderatezza e la circospezione siano fondamentali nella costruzione di una conoscenza che sia veritiera, rielaborata e personale. Per non subire la cultura ma partecipare attivamente alla sua edificazione, è essenziale una valutazione accurata dei vari argomenti e delle testimonianze in cui ci si imbatte, seguita da proferimenti lontani dall’essere “oracoli”, ma frutti di un’attenta ricerca e una continua messa in discussione di ciò che si considera certo.
Questo tipo di procedimento conoscitivo alla base, tra l’altro, del metodo scientifico, contribuisce poi, a mio parere, alla formazione di un approccio democratico e pluralista alle idee, e alle conoscenze altrui. Dubitare è indizio di maturità: significa essere disposti a mettersi in discussione e capaci di aprirsi potenzialmente anche a culture e valori diversi dai propri.
Ecco che, secondo me, vero uomo di cultura non è solo colui che sottopone a verifica ciò che apprende e pondera la veridicità di quanto va affermando, ma anche colui che non si arrocca su di un proprio sistema conoscitivo, considerandolo infallibile ed unicamente certo. Per me non si può dire di possedere, e quindi comunicare una propria cultura, se non si è prima preso in considerazione ed indagato i punti di vista e le tesi di chi non la pensa come noi. Come ben scrive Bobbio, è bene rinunciare alla volontà di pronunciarsi in favore di «una scelta perentoria e definitiva»[2], ma aprirsi democraticamente a tutte le strade percorribili, analizzandole ed indagandole con accuratezza e ponderatezza, senza pretendere di avere la verità in tasca. In sostanza, occorre abbandonare ogni pretesa di assolutizzazione, ma abituarsi ad un approccio flessibile e pluralista alla realtà, in grado di cogliere e valorizzare la relatività di ogni singola cultura e ideologia.
Questo ragionamento mi ricorda quello che viene convenzionalmente definito il “relativismo pirandelliano”: proprio perché il reale è multiforme, non esistendo una prospettiva privilegiata da cui osservarlo, le prospettive sono infinite. Non esiste una verità oggettiva, ognuno ha le sue verità, che nascono dal proprio modo soggettivo di guardare alla realtà.
Informarsi con accuratezza, esaminare le fonti e le testimonianze, nonché pronunciarsi con ponderatezza, presuppongono un approccio per l’appunto “relativistico”, il che significa fare un passo indietro, riconoscere che non si possiede mai la verità, ma solo una conoscenza in fieri. Come aveva ben affermato Gramsci, «comprendere e valutare realisticamente la posizione e le ragioni dell’avversario (e talvolta è avversario tutto il pensiero passato) significa essersi liberati dalla prigione delle ideologie (nel senso deteriore, di cieco fanatismo ideologico), cioè porsi da un punto di vista “critico”, l’unico fecondo nella ricerca scientifica»[3]. Il dubbio ha sempre avuto un ruolo fondamentale nella storia e nello sviluppo del pensiero e delle relazioni umane, divenendo, con il mutare delle circostanze storiche e culturali, uno strumento interpretativo e conoscitivo assai fecondo, promotore di un sapere attivo, rielaborato e non acritico. Ecco perché ritengo che un approccio conoscitivo ponderato, diffidente di postulati e dogmi, sempre disposto a mettersi in discussione e votato al dubbio, costituisca la miglior modalità di informarsi, conoscere e costruire la propria cultura, per evitare di arroccarsi su di una conoscenza fallibile e autocratica.
[1]N. Bobbio, Politica e cultura, Einaudi, Torino, 1955
[2]Ibidem p.1
[3]A. Gramsci, Quaderni dal carcere: il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, Einaudi, Torino, 2014