I topoi del folk lombardo in Davide Van De Sfroos
I dialetti sono vere e proprie lingue spesso ricondotte a esigenze espressive viscerali, dato che hanno una forte caratterizzazione identitaria che li pone su un piano parallelo rispetto alla realtà quotidiana. Citando il poeta spagnolo Juan Ramón Jiménez, “Radici e ali. Ma che le ali mettano radici e le radici volino”, ovvero le radici, la nostra parte identitaria più originaria, sono un modo di esprimersi e vivere parallelo alla realtà, che, legandosi alla fantasia (le ali), creano un nuovo e più complesso sistema di vita. In questo caso, a farle volare è il dialetto nella musica.
Il dialetto può essere utilizzato quotidianamente o meno a seconda del contesto familiare. Nel mio caso, in famiglia il dialetto sopravvive veicolando tradizioni e ricordi altrimenti in pericolo di scomparire.
Conserverò sempre la memoria dei viaggi in auto per le vacanze in Romagna, che sembravano eterni, alleviati dal karaoke di famiglia con i cd nell’autoradio. Il più amato da me e mio padre era …E Sèmm Partii di Davide Van de Sfroos, che ha stimolato la mia conoscenza del dialetto e mi ha fatto scoprire un mondo completamente nuovo di musica dialettale.
Davide Van De Sfroos (“vanno di contrabbando”, in ricordo dei contrabbandieri tra il confine svizzero e quello italiano) è il nome d’arte di Davide Bernasconi, un cantautore laghée (ovvero originario del Lago di Como) che durante la sua trentennale carriera nelle fila del folk lombardo ha affrontato temi tipici e non del folk con punte d’ironia, contaminando questo genere con rock, blues e country, interiorizzati nei suoi lunghi viaggi tra le valli e il Lago della sua terra, la Sardegna e il Sud Italia, alla ricerca dell’anima ancestrale di questi luoghi. Dopo una breve esperienza col complesso punk dei Potage, il cantante co-fonda i De Sfroos, insieme ai quali, nel 1995, ebbe finalmente successo grazie al terzo album Manicomi, fortunato grammelot di inglese, italiano e dialetto laghée. La sua carriera musicale, solista dal 1998, prosegue accostandosi a quella di scrittore. Primo album da solista è Brèva e Tivàn (1999), con la Van De Sfroos Band che segue idealmente i De Sfroos, incontrando vari successi e con cui pubblica album ancora oggi.
Dunque, …E Sèmm Partii viene pubblicato nel 2001, vincendo la Targa Tenco come miglior disco in dialetto l’anno successivo. L’album è molto variegato, pur dedicando una particolare attenzione agli emarginati della società. Van De Sfroos ne dipinge la condizione con toni vividi ed evidente simpatia per i nomadi, dai migranti verso l’America di inizio ‘900 (…E Sèmm Partii) ai perenni sradicati (L’Omm de la Tempesta).
In …E Sèmm Partii, le sensazioni di un migrante spossato e speranzoso costituiscono il fil rouge della canzone, viaggio ideale dalla partenza dal porto italiano (“Come figli/salutati a mano/da questa gente che non riesci più a vedere,/fazzoletti bianchi che non san volare,/non ci seguiranno e resteranno là”) all’arrivo a New York (“Come figli raccattati al volo/da questa statua che nasconde il cielo,/ha una faccia dura e ci guarda strano,/sarem poi simpatici alla Libertà?”). La figura/maschera del migrante esprime il distacco lacerante dalle proprie radici e lo straniamento dovuto a un mondo radicalmente diverso dal paesino del nord Italia, aggravati dalla scarsità di competenze linguistiche e di mezzi economici, sebbene il Sogno Americano rappresenti l’unica possibilità per l’intero nucleo famigliare (“E sèmm partii e sèmm partii,/per questa America sugnàda in prèssa,/la fàcia dùpia cumè una munéda/e una valisa che gh’è deent nagòtt/E sèmm partii e sèmm partii,/cumè tòcch de vedru de un büceer a tòcch,/una vita noeva quaand finìss el maar/mentre quèla vègia la te pica i spàll”, “E siamo partiti e siamo partiti/Per questa America sognata in fretta,/la faccia doppia come una moneta/e un valigia con dentro niente./E siamo partiti e siamo partiti/Come pezzi di vetro di un bicchiere in pezzi,/una vita nuova quando finisce il mare/mentre quella vecchia ti picchia le spalle”). Questo brano evoca una malinconia del nido quasi pascoliana (affine alle prime scene nel libretto del melodramma di Puccini La Fanciulla del West, in cui si evidenzia la malinconia dei pionieri tramite lo struggente canto di Jack Wallace), a fronte di una novità spaventosa ma che, inevitabilmente, attrae e incuriosisce. Porre la questione in una prospettiva di sopravvivenza, sia individuale che collettiva, fa riflettere sugli ostacoli superati da questi migranti per assicurare ai discendenti una vita migliore, spostandosi in America o, più vicino, in Svizzera.
L’Omm de la Tempesta riprende il tema del viaggio, che ha connotati quasi autobiografici in Van De Sfroos, amante della Sardegna e in generale dei luoghi ricchi di storia e tradizioni. Nel brano il protagonista, uno sconosciuto soprannominato “l’Uomo della Tempesta”, è un oscuro frequentatore dei porti europei (qui citato il porto di Marsiglia), che tenta di scappare dalla dimora e dalla patria (“quaand seet a cà gh’è quaicòss che te sutèra/E suta el tècc gh’è mea la Stèla Pulaar”, “quando sei a casa c’è qualcosa che ti sotterra/e sotto al tetto non c’è la Stella Polare”) per un bisogno viscerale di libertà dalle costrizioni materiali (“Amò una volta senza strada né valiis/Cumè una pianta che la ne va senza i radiis”, “Ancora una volta senza strada né valigie/Come una pianta che se ne va senza le radici”). Compare nuovamente in filigrana l’attrazione verso l’ignoto, un sentimento dialettico che forse molti potrebbero condividere.
Insomma, Van De Sfroos meriterebbe un ascolto più attento e capillare, perché sa tratteggiare quadri unici e pieni di realtà vissuta e “sudata”, quella quotidianità che spesso ignoriamo più o meno volutamente, inseguendo i nostri ritmi frenetici.
di Michele Carenini
Nato nel giorno del pi greco (14/3) di un anno palindromo (2002), ma, ironicamente, profondamente ignorante in materia, mi chiamo Michele Carenini, vivo nelle vicinanze di “quel ramo del lago di Como” e frequento la facoltà di Scienze della Comunicazione all’Università di Bergamo. Divoratore ossessivo-compulsivo di musica, specialmente metal e dintorni, amo la sensazione di caos in una vita apparentemente ordinata e tranquilla, che mi porta sempre, seppur introverso, a voler conoscere persone, leggere ed informarmi. Scrivo interviste, parlo di musica, ma posso anche reinventarmi: citando un capolavoro degli Iron Maiden, The Prisoner, “I’m not a number, I’m a free man/Live my life where I want to”.