15 febbraio 2022.
È appena passato un altro San Valentino, ma i postumi si fanno ancora sentire. La scatola con l’ultimo cioccolatino è lì sul bracciolo del divano, insieme ai sensi di colpa per i carboidrati del dolce e della bottiglia di vino rosso fermo, 15 gradi. L’hai finita ieri sera per evitare di pensare alla solitudine connaturata in una festa fatta per coppie, quando tu rimani sempre, inevitabilmente single.
Ora, mi devi spiegare come questo possa essere successo nell’epoca dei fuochi su Instagram: non lo sai? Nemmeno io.
Forse è arrivato il momento di passare ai fatti, di impegnarsi sul serio, perché, l’anno prossimo, un San Valentino trascorso a leggere frasi di Catullo e di Prévert sull’involucro dei Baci Perugina, tu proprio non lo vuoi. Perché, allora, non hai ancora scaricato Tinder?
Onestamente, non me la sento di darti consigli pratici su quest’app, perché la mia esperienza è stata breve e, sicuramente, non verrà ripetuta. L’insegnamento che ne ho potuto trarre è stato, comunque, di scappare subito se alla prima uscita ti dice che è innamoratǝ di te da quando ti ha vistǝ per la prima volta in discoteca anni fa. Ma si sa, in amore vince chi si becca per primo il messaggio di insulti su Tinder per essere scappatǝ. Io, di insulti, ne ho beccati parecchi: non mi hanno portata all’amore.
Mi hanno, però, portata a riflettere sul nostro modo di vivere le relazioni oggi: iniziano con una “reazione” ad una storia di Instagram o un “match” su Tinder e finiscono col “ghosting”. Abbiamo cura delle persone come abbiamo cura dei nostri vestiti di Zara, acquistati compulsivamente, indossati una volta e poi accumulati nell’armadio per essere dimenticati.
Nel 1867, Karl Marx scriveva nel primo capitolo de Il Capitale del valore della merce, derivato dal suo valore d’uso, in quanto soddisfa un bisogno, e di quello di scambio, derivato dal suo rapporto con le altre merci. Si potrebbe pensare ai nostri profili su Tinder come a merci che soddisfano un bisogno evidente (il sesso? L’amore? Una nuova amicizia? A te la scelta) e si trovano in rapporto ad altre merci (attraverso uno “swipe”, uno scambio).

A questo punto, mi chiedo se si possa davvero incontrare l’anima gemella su Tinder o se, in realtà, sia un modo per conoscerci meglio e capire come ci relazioniamo agli altri, nel momento in cui l’aut-aut di uno “swipe” a sinistra o a destra determina il fatidico “match”.
Con quale angoscia Kierkegaard avrebbe vissuto questa alternativa? Egli pensava che la vita implicasse una scelta continua, la quale determina un’infinità di possibilità a cui è connaturato l’errore della scelta stessa, nel momento in cui essa determina il non scegliere tutto il resto. Se tutto è possibile, allora è come se nulla lo fosse davvero, di conseguenza tutto ciò porta ad uno stato di angoscia strettamente legato alla vita dell’uomo. Ma non è forse lo stesso sentimento che alcunǝ provano di fronte alla home di Tinder? Quante possibilità ci stiamo precludendo nello scartare un profilo piuttosto che un altro?

Prima di tutto il travaglio psicologico determinato dagli swipes, ci si pone anche il problema di quali foto scegliere e con quale “bio” presentarsi. Un momento di introspezione fatidico, in cui unǝ si trova a dover trarre il meglio della propria personalità per riuscire a ottenere un match. Se Socrate fosse vissuto nel 2022, avrebbe sicuramente intrapreso questa strada per portare i propri “followers” alla conoscenza di se stessi. Nell’Atene di V secolo a.C., Socrate incalzava i giovani con le sue domande, cercando di mettere in crisi le loro convinzioni, in quanto se unǝ sa di non sapere, cercherà di sapere sempre qualcosa di nuovo. Questa è l’arte della maieutica: portare alla luce la conoscenza così come le levatrici facevano con i neonati. Tutto questo avviene attraverso la conoscenza di se stessǝ, ma non è forse quello che siamo costrettǝ noi a fare oggi, quando ci troviamo a scrivere la bio di Tinder?
Socrate avrebbe sicuramente scopato più di Kierkegaard se entrambi si fossero trovati a usare Tinder: mi immagino la bio del primo come “γνῶθι σεαυτόν” (conosci te stesso) e quella del secondo “no bio is already a bio” (“non avere una bio è già avere una bio”, sottinteso “perché non sono riuscito a sceglierne una”).

Il problema nella scelta delle foto e della bio per il nostro profilo sta nel fatto che cerchiamo di apparire come la versione migliore di noi stessǝ, ovvero quella più brillante e simpatica, ma con un velo di mistero che dovrebbe spingere l’altra persona a voler approfondire la conoscenza. Una differenza ontologica che è alla base del pensiero di Platone, allievo di Socrate: quella tra l’essere e la realtà.
Il suo pensiero filosofico è basato sulla contrapposizione tra mondo delle idee e realtà. L’idea è un’entità perfetta e immutabile (quella che sta al di sopra di tutte è l’idea di Bene), il modello della realtà imperfetta costituita dal mondo, che è solo copia dell’idea. Il filosofo è colui che riesce a mettersi sulla strada della vera conoscenza, arrivando ad una contemplazione pura del mondo delle idee. E se pensassimo al nostro profilo Tinder come al nostro iperuranio personale e a noi stessi come la sua realtà imperfetta? Il filosofo del 2022 sarebbe chi ha fatto match ed è riuscito a superare il velo dell’apparenza?
Andiamo oltre al velo dell’apparenza, facciamo questo swipe a destra, diciamo sì alla vita come avrebbe fatto il caro vecchio Nietzsche. Nella sua opera La nascita della tragedia del 1872, il filosofo tedesco distingue tra lo spirito dionisiaco e quello apollineo che animano la vita umana. Il primo comprende l’istinto e l’irrazionalità, contrapponendosi e compenetrando, allo stesso tempo, l’ordine e la razionalità del secondo. La società umana, a partire proprio da Socrate e Platone, ha fatto prevalere lo spirito apollineo, arrivando a soffocare quello dionisiaco. Quindi, come si può pensare di stare su Tinder se si intende reprimere questo istinto vitale? Una volta fatto swipe a destra e ottenuto il match, l’Übermensch, cioè il superuomo che ha saputo dire sì alla vita nella sua totalità, scrive anche quel messaggio che non tuttǝ hanno il coraggio di mandare.
Sicuramente, se Nietzsche avesse fatto il gradasso su Tinder, chi nemmeno si sarebbe azzardato a scaricare l’app sarebbe stato Schopenhauer, tutto intento a progredire nel suo percorso di ascesi per liberarsi dalla volontà di vita a cui l’umanità è inevitabilmente sottomessa.
La speculazione filosofica di Schopenhauer si colloca tra ‘700 e ‘800 ed è basata sulla distinzione tra “fenomeno” e “noumeno” (già teorizzata da Kant): il primo è la rappresentazione che deriva dal rapporto tra soggetto e oggetto, mentre il secondo è l’unica vera realtà che possiamo conoscere solo in parte. Un “velo di Maya” nasconde il vero volto della realtà, al di là della quale si trova la volontà. Nella sua opera Il mondo come volontà e rappresentazione (la cui prima edizione è del 1819), egli descrive questa volontà come inconscia, universale e unica, senza scopo né fine. Un bisogno che, in quanto tale, implica la mancanza e la mancanza è dolore: il piacere è solo una condizione momentanea e derivata dal dolore. A questo punto, subentra la volontà di volere, sempre insoddisfatta: questa è la condizione della noia e la vita oscilla proprio tra noia e dolore.
Interessi nella bio: “Netflix and chill”. Match creati: zero

In tutto ciò, io ho presupposto che si crei il match necessario per far nascere una possibile conversazione, mentre la vera tensione di Tinder sta in quel secondo prima dello swipe a destra, perché non è assolutamente detto che due persone si scelgano. Il problema del mostrare la migliore versione possibile di noi stessi – o almeno quella più accattivante – è dato dalla paura di non essere abbastanza per essere sceltǝ. E, nel momento in cui ciò accade, devi essere in grado di scrivere il messaggio giusto per i bisogni che intendi soddisfare usando l’app, evitando un eventuale ghosting dell’altrǝ.
L’avrai già capito: corri subito a prendere una scatola di cioccolatini e una bottiglia di vino da tenere in fresco per il prossimo San Valentino. Forse non scoperai o non avrai trovato l’anima gemella, ma potrai sempre aprire un libro di filosofia per cercare di scoprire con quale filosofo avresti potuto fare match se fosse vissuto nel 2022.


di Greta Beluffi
Studentessa di lettere classiche a Milano, scrittrice di poesie a Pavia: mi chiamo Greta e ho 21 anni. Vivo di arte e di Spritz ma, si sa, “mens sana in corpore sano”, e lungo i moltissimi km di corsa giornalieri amo pensare al marxismo, alla psicanalisi lacaniana e alle letture post strutturaliste delle opere d’arte, di cui spero di poter scrivere senza far storcere il naso a chi, come me, non si intende di filosofia.