Marzo, di pesci e pioggia,
naviga da giorni in cattive acque;
una nuova guerra la terra spoglia.
L’Almanacco, questo mese, avrebbe dovuto parlare di tutt’altro. Per la precisione del valore simbolico del pesce. Sì, del pesce, approfittando di Nata sotto il segno dei pesci di Venditti e Come è profondo il mare di Lucio Dalla. Oppure della pioggia, perché come dice il proverbio della nostra infanzia, “marzo pazzerello, guarda il sole e porta l’ombrello”, e di come Strade di Parigi, Giorno di pioggia (1877) di Gustave Caillebotte sia stata la suggestione di Murubutu per il suo ultimo album, Storie d’amore con pioggia e altri racconti di rovesci e temporali, rilasciato lo scorso gennaio.
Non parlerò di nessuna di queste cose. Torneranno i tempi per parlare più tranquillamente, e anche con quel pizzico di ironia, ma ora come ora credo che non sia il tempo dell’ironia.
In questo marzo, mese che prende il nome da Mars, Marte, dio della guerra, il mondo si è svegliato con una nuova guerra. Di lotte di cui parlare, in questi anni, ce ne sono state tante, a cominciare da quella che, da due anni a questa parte, stiamo combattendo contro un nemico invisibile e che ci ha toccato tutti da vicino: il coronavirus. Per tutti noi studenti il 4 aprile 2020 ha segnato una sorta di nuovo anno zero: continuiamo a contare il tempo secondo il metodo A.C. e D.C., ma quella “C”, ormai, non sta più per Christi, bensì per “Covid”.
Nell’incertezza della pandemia, proprio quando sembrava andare – almeno per ora – tutto mediamente per il verso giusto e ci avviavamo verso l’agognata fine dello stato di emergenza, ecco scattare un nuovo stato di emergenza: quello per la guerra. Quella in Ucraina ci sta coinvolgendo tuttə. Forse perché l’Ucraina è terribilmente vicina al nostro Paese, forse perché, più di altre, ha preso le sembianze di un conflitto mediatico fatto di un coinvolgimento che poco si era visto, in questi anni. E proprio a proposito di rimbalzo mediatico, sui social soprattutto sono fioccati tantissimi post, come quello di qualche giorno fa di Michela Murgia che, su Instagram, ha scritto a caldo queste parole, che io stessa condivido:
Io non so cos’è la guerra. Come tutte le persone cresciute in tempo di pace, l’ho vista solo alla televisione, dove ciò che è vero e ciò che è reale non sono quasi mai la stessa cosa. Quello che sta avvenendo in Ucraina mi lascia dunque incredula e oppressa da un senso di totale impotenza, perché non c’è niente che possa dire o fare per influire su un evento di questa dimensione. Davanti a questa catastrofe - chi può prevederne le conseguenze? - la tentazione sarebbe quella di congelare il futuro e restare incollata tutto il giorno ai notiziari, nutrendo l’ansia e declassando il resto a inezia, che sia leggere un libro, incontrare qualcuno a cena e persino preoccuparsi degli effetti di una cura. Si può continuare a vivere mentre bombardano Kiev?1
La guerra, vista da fuori, genera sensazioni contrastanti: da un lato un senso di impotenza, dall’altro di indignazione, da un altro ancora di empatia, soprattutto verso chi, la guerra, è costretta a subirla sulla propria pelle, a scappare con solamente una valigia, pochi effetti e affetti. Si continua a vivere la propria esistenza, a fare le solite attività, ma sempre con quella sensazione interiore di incertezza.
Che conseguenze avrà sul futuro? Cosa cambierà? Che ripercussioni avrà personalmente sulla mia vita? Sono domande che mi pongo spesso, in questi giorni, e che mi sono posta spesso anche nel corso di questi due anni di pandemia. Così ho cercato risposte, come sono solita fare quando le domande sono più grandi di me.
E così ho pensato all’arte, in tutte le sue espressioni, perché l’arte, come ci insegna Foscolo, sublima e rende ogni cosa immortale, nel bene e nel male. Proprio l’Arte è stato lo strumento con cui l’essere umano ha cercato di dare una risposta a sé stesso. L’Arte ha permesso di trovare la chiave di lettura della guerra e delle guerre, permettendo a noi contemporanei di empatizzare quella situazione attraverso il più intimo sentire. L’arte di guerra è quella che più di tutte comunica per metafore e simboli forti. L’esempio più lampante che mi sovviene è di certo il Guernica di Picasso, un quadro che, solo a guardarlo, urla da sé, come qualunque opera che ha cercato di raccontare la guerra civile spagnola del ’37.
E se parliamo di immagini evocative che segnano interiormente, parliamo di Neruda, ovviamente, che alla guerra civile spagnola dedicò proprio un’opera, La Spagna nel cuore, che contiene liriche volte a narrare il coraggio di un popolo oppresso, quello degli spagnoli, dalla dittatura franchista. In Madrid 1937, i versi di Neruda mi portano, con la mente, alle tante foto degli scenari a cui assistiamo ormai da giorni:
[…] Città a lutto, scavata, ferita, rotta, battuta, bucherellata, piena di sangue e vetri rotti, città senza notte, tutta notte e silenzio, e scoppi ed eroi, ora un nuovo inverno più nudo e più solo, ora senza farina, senza passi, con la tua luna di soldati. 2
Nello scenario catastrofico descritto da Neruda, l’unico punto che sembra dare un barlume di speranza e di luce è quell’immagine finale della luna fatta di soldati; e anche se, anche in questo caso, la notte porta silenzio, è un silenzio senza pace o ristoro. La notte e la luna, che sono elementi di per sé positivi e a loro modo rasserenanti nella poesia, nelle narrazioni della guerra diventano il momento della sofferenza, dello strazio, dato dall’incertezza e dell’agonia.
Basti pensare alle tante pagine che autori e autrici della Resistenza ci hanno lasciato in cui dedicano spazio al silenzio della notte. Renata Viganò, ne L’Agnese va a morire, racconta delle veglie fatte dai soldati nel canneto dove si erano nascosti per proteggere, oltre che Agnese (che poco aveva da essere protetta), la giovane Rina; mentre Beppe Fenoglio, in Una questione privata, descrive la paura del giovane soldato Milton che si guarda le spalle, durante la notte, mentre attraversa, in una lotta contro il tempo, le Langhe. Ungaretti, invece, che della guerra è stato il più crudo e al contempo umano narratore, in Veglia evoca proprio quello strazio «del compagno massacrato con la sua bocca digrignata volta al plenilunio». E forse proprio in quel verso finale, «non sono mai stato così tanto attaccato alla vita»4, nel quale Ungaretti esprime il senso delle emozioni forti provate in quei frangenti e che, solo attraverso quella sensazione, provava così forti per la prima volta, io riesco a trarne un solo aspetto bello: i tanti neonati che in queste ore hanno deciso di venire alla luce, anche in Ucraina, perché non c’è guerra che regge nei confronti della vita che ha brama di vita.
Certo, non tutte le vite sopravvivono. Ho visto proprio i versi di Veglia, l’altro giorno, nello sguardo di quei due genitori di Mariupol straziati dalla morte di Kirill, il loro figlio di diciotto mesi venuto a mancare in quell’ospedale di fortuna – per uno strano gioco del destino la donna, riversa sul figlio, ricorda proprio la donna raffigurata da Picasso sempre su Guernica. Perché la guerra fa diventare soldato chiunque, volente o nolente, anche una madre costretta a veder morire il proprio figlio davanti ai suoi occhi.
De Andrè ce lo dice bene, ne La guerra di Piero, narrando di due uomini che hanno imbracciato i fucili senza averlo mai fatto e senza quasi sapere per quale motivo stanno combattendo, o di Ninetta, che vive con la consapevolezza che il suo amato non sopravviverà.
Continuerò a seguire, come tutti noi , le vicende di guerra; continuerò a guardare servizi, reportage, foto, certo, continuandomi a chiedere quale sia il senso e perché l’essere umano, sempre, perda la testa di fronte all’immenso potere.
Per quel che mi riguarda, alla guerra, come dice Caparezza…
Preferisco ammazzare il tempo Preferisco sparare cazzate, Preferisco fare esplodere una moda Preferisco morire d'amore Preferisco caricare la sveglia Preferisco puntare alla roulette Preferisco il fuoco di un obiettivo Preferisco che tu rimanga vivo. 5
…parlo tanto, non mi dire,
tra versi e canzoni,
tra emozioni e riflessioni;
al prossimo mese, tutto da sentire.
1 Post del 25 febbraio 2022, dal profilo Instagram di Michela Murgia (@michimurgia), in https://www.instagram.com/p/CaZmGcmtDGs/
2 Neruda, P., La Spagna nel cuore, a cura di Giuseppe Bellini, Passigli Editore, 2006, p. 37.
3 Vv. 3-7, Ungaretti, G., Veglia, in Guida al Novecento, a cura di Salvatore Guglielmino, Principato Editore Milano, p. 903.
4 Ibidem, vv. 14-16.
5 Caparezza, Follie preferenziali, 2003
di Marta Urriani
Mi chiamo Marta Urriani, classe ’98, e studio Lettere Moderne all’Università La Sapienza di Roma. Ho una folta chioma di capelli ricci, tanto che tutti mi chiamano Mafalda, come la bambina dei fumetti di Quino, con la quale ho molto in comune (e non solo i capelli). Cercando di sopravvivere alla vita universitaria, con il caffè di giorno e la camomilla di sera, leggo e scrivo. Mi interesso soprattutto di letteratura italiana e temi femministi.