Che cosa stavi facendo il 24 Febbraio 2022, quando hai scoperto che l’esercito russo aveva invaso il territorio ucraino? Cosa hai provato all’ascolto della notizia?
Credo di poter parlare a nome di moltə se dico che non sono state necessarie chissà quali competenze geopolitiche per farci sentire stupitə e spaventatə. Non è stata neppure necessaria la conoscenza personale con qualche coetaneə ucrainə affinché emergesse la componente umana dentro ciascunə di noi, quella che ci fa provare empatia verso i simili.
Immagina, invece, di essere innamoratə di una persona che vive proprio lì, nel paese che è appena stato attaccato. Mentre ascolti le notizie, non ti è dato sapere se tra le case distrutte di cui parlano ci sia anche quella dove, solo qualche mese prima, avevi cenato con lei e la sua famiglia.
Questo è proprio ciò che è successo a Francesco, un ragazzo di 22 anni originario di Palermo, studente dell’università di Gorizia, e fidanzato di Ilona, anche lei 22 anni, laureata in Economia e abitante di Obukhiv, città a 45 km da Kiev.
“Quando è scoppiata la guerra, il mio unico pensiero è diventato: devo trovare un modo per farla venire in Italia il prima possibile”, mi racconta Francesco. E così, si è messo in viaggio, guidando verso il confine rumeno con un amico, Giuseppe, spinto dalla speranza di ricongiungersi con lei. Oggi Francesco e Ilona sono insieme in Italia. Li ho contattati per raccontare la loro storia e provare a dar spazio ad una prospettiva non italo-centrica sul conflitto (ancora) in corso.
Io, il 24 febbraio, mi trovavo a Vilnius, capitale della Lituania. In una nazione geograficamente molto vicina al confine del conflitto, la percezione che ho avuto delle vicende tra Russia e Ucraina è stata sicuramente diversa da quella dei concittadinə rimastə in Italia.
Quel pomeriggio mi ero recata nella biblioteca del centro città con un amico per studiare. Quando siamo usciti, la piazza davanti all’edificio, vuota al nostro arrivo alle quattro del pomeriggio, era gremita di gente. I lampioni illuminavano sconosciuti di diverse età avvolti in bandiere dell’Ucraina e della Lituania, mentre esibivano cartelli con scritte di condanna. Tra gli altri, ne ricordo uno in particolare: “Putin = Hitler“, tenuto in mano da una coppia di ottantenni. Ci siamo uniti alla folla, che camminava per le strade buie di Vilnius in un rispettoso silenzio (così strano per noi, abituati al chiasso delle manifestazioni italiane!), e abbiamo partecipato a questa preziosa esperienza collettiva, scendendo lungo Gedimino Gatve (n.d.r.: Corso Gedimino) e arrivando al ponte Baltasis. Davanti a noi, un grattacielo che già due giorni dopo mostrava appesa la scritta “Putin, The Hague is waiting for you”.
Proprio in quelle stesse strade, Francesco e Ilona si erano conosciuti mesi prima. Erano due giovani studenti in Erasmus, poi c’è stato il cosiddetto “colpo di fulmine” e, poco dopo, si sono messi insieme.
“Abbiamo iniziato una relazione a distanza, ormai ci sono molte coppie internazionali e non è difficile muoversi tra una nazione e l’altra”. Tra un’estate in Sicilia a casa di lui e un inverno in Ucraina da lei, entrambi erano convinti che la loro storia sarebbe continuata così, in una maniera estremamente gestibile nell’epoca della globalizzazione.
La situazione tra Russia e Ucraina, però, aveva già momenti di altissima tensione ben prima del 24 febbraio e chiedo, a questo punto, se anche per loro, che vivevano tutto quanto più da vicino, la notizia dell’invasione sia stata inaspettata. La maggior parte delle persone italiane vicine a me, infatti, non si aspettava minimamente questo gesto estremo. Tuttavia, non bisogna dare per scontato che la percezione del pericolo sia stata la stessa nelle diverse nazioni europee: infatti, ogni volta che nel mondo scoppia un conflitto, la narrazione prodotta dai media non è mai unitaria, in quanto la percezione del pubblico cambia a seconda di come il giornale locale, il tg delle 12.30 o il divulgatore di cui non perdo neanche una Instagram story parla della guerra in corso. Spesso, la narrazione della realtà viene deviata, perché entrano in gioco interessi strategici e politici. L’esempio più eclatante è, ovviamente, la propaganda attuale del Cremlino, che, tra le diverse regole imposte, ha vietato di utilizzare la parola “guerra” – si deve parlare di “operazione speciale” – quando si discute del conflitto in corso.
Inoltre, dobbiamo sempre tenere conto del background di ciascunə di noi, che ha inevitabilmente un certo ruolo nel determinare come accogliamo una determinata notizia. La visione che unə giornalista italianə ha del mondo è influenzata dalla nazione nella quale è natə e cresciutə, che ha una posizione geografica e una storia molto diversa, ad esempio, di quella di un paese dell’Est Europa. Possiamo riprendere l’esempio della Lituania di prima: in questo caso, la Russia è la vicina di casa. La ferita per le deportazioni sovietiche di migliaia di lituani nei campi di lavoro in Siberia degli anni ‘40 è ancora aperta; inoltre fino al 1990 l’egemonia dell’URSS comandava il paese e, ancora oggi, la Lituania è uno dei target preferiti della propaganda del Cremlino, che cerca di screditarne la legittimità come nazione, dipingendo i governi baltici – parallelamente a quello di Zelensky – come la “reincarnazione di quelli nazisti”1.
Sia Francesco che Ilona, comunque, mi rispondono che erano convinti che non sarebbe successo nulla. “Da un’analisi a freddo, fare una guerra è un dispendio impressionante di risorse e sangue; la Russia non è uno stato che se lo può permettere: lo sta facendo per una questione di avidità”, mi dice lui.
Continuando, quindi, a parlare di come questo conflitto viene narrato – argomento che mi interessa particolarmente – ero curiosa di sapere un loro parere sulla narrazione che i media italiani hanno fatto e stanno facendo della guerra Russia-Ucraina. Francesco la definisce troppo giustificazionista. Lamenta delle troppe bugie in televisione, dello spazio riservato a personalità che mantengono rapporti con il Cremlino e che, quindi, portano inevitabilmente avanti l’orientamento filorusso. “Raccontare un punto di vista diverso non significa che devo arrivare a giustificarlo”, continua. È certamente un aspetto importante capire oggettivamente che cosa vogliono i Russi, ma in Italia, purtroppo, l’obiettivo tende a non essere questo: l’intento, spesso, è quello di creare una certa empatia con le decisioni e le motivazioni di Putin.
Personalmente, memore, ad esempio, dell’intervento “aberrante” del ministro degli affari esteri russo Sergej Viktorovic Lavrov su Rete 4, non posso che trovarmi d’accordo.
“Abbiamo buttato nel cesso tre anni di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali; quello che sta facendo Putin è controproducente, significa schierarsi il mondo contro. È un gioco che non vale la candela”, si sono detti Francesco e un suo amico, cercando forse di sdrammatizzare.
Dunque, non solo gli amici italiani della coppia, ma anche quelli ucraini, polacchi e lituani non si aspettavano questo gesto. C’è stata, infatti, un’impreparazione generale della popolazione ucraina. Non era pronta Ilona, non era pronta sua madre, non erano pronti i suoi nonni.
L’attacco d’ansia che ha provato Francesco subito dopo la notizia è stato, però, funzionale alla decisione che mi ha fatta incuriosire a questa vicenda: prendere la macchina e guidare per giorni insieme ad un amico, fino al confine con la Romania. Obiettivo finale: recuperare la fidanzata e la sua famiglia.
I due ragazzi, partendo da Gorizia su una Rover nera “mezza rotta e tutta vecchia”, hanno attraversato l’Ungheria passando da Budapest, per poi entrare in Romania e risalire infine nella parte di territorio che confina con la Moldavia. Da Kiev, infatti, quella zona era la più vicina per ricongiungersi con Ilona (in più, la nonna di Ilona vive proprio nella regione di Bucovina.)
Non era però scontato che il piano funzionasse: Ilona, infatti, si è dovuta organizzare per passare il confine e i due ragazzi l’hanno aspettata per giorni. Sono rimasti quarantotto ore a Cluj-Napoca e altri cinque giorni a Sibiu, grazie all’ offerta di un alloggio da parte del padre di un’amica, che stava seguendo da Instagram le vicende di Francesco. Si sono potuti riabbracciare solo dopo parecchio tempo, provando una sensazione che mi domando se mai sperimenterò. Successivamente, quando hanno recuperato anche la famiglia di Ilona, sono stati un paio di giorni nella città di Suceava, dove abita un’altra collega di università di Francesco.
Francesco mi racconta, però, delle differenze culturali che ha dovuto affrontare nel tentativo di convincere la famiglia di Ilona a seguirlo in Italia (il loro piano era quello di far partire solo Ilona e restare a casa della nonna). Mi spiega che per ragioni, appunto, culturali, per molti ucraini non è semplicissimo accettare di farsi aiutare. È un aspetto fondamentale da capire per mettersi nei panni dell’altro e comprendere la sua paura nel passare i confini nazionali, andando in un paese dove non si è mai stati prima. La mamma e la zia di Ilona, alla fine, si sono convinte ad unirsi al viaggio verso Gorizia: solo il papà è restato a casa per continuare a lavorare e aiutare il paese.
Una volta arrivati, mi raccontano di un’accoglienza positiva da parte di noi Italiani. In Friuli-Venezia Giulia c’è stata una famiglia che ha ospitato e voluto bene alla mamma e alla zia di Ilona, ma, chiaramente, il trasferimento non è stato un processo semplice. Essere profughi significa vivere in casa di estranei, in una città dove non hai impiantato le tue radici e dove ti senti incompleto. Un mese e mezzo fa, infatti, la mamma, la zia e la sorella hanno deciso di tornare nel paese natale. Per certi versi, la situazione a Kiev e dintorni ha iniziato a migliorare e appena hanno potuto hanno deciso di tornare a casa.
“Il livello di aiuto da parte dello stato italiano – soprattutto se comparato ad altre crisi come quella siriana o libica – è stato molto buono”, mi dicono i due, con la speranza che, in futuro, ci siano altri casi di sostegno di questo tipo. Per quanto osservato da Francesco e Ilona, la gente di qui si è mostrata interessata alla situazione, seppur non sempre in maniera consapevole, poiché c’è chi è molto disinformato e chi, al contrario, mostra una tendenza a vedere tutto in un’ottica semplicistica.
“Mia nonna non capirà il contesto geopolitico” mi racconta Francesco “ma conosce la differenza tra giusto e sbagliato e ha un altissimo livello di empatia”. C’è poi chi, secondo lui, fa discorsi troppo ideologici: qualcunə si esprime in modo ingenuo, qualcun altrə strumentalizza la situazione, andando dritto alle emozioni delle persone.
Gli chiedo, quindi, se sono in contatto con chi è rimasto lì. Mi parlano di un amico di Vinnycja, città di 370.000 abitanti situata nell’Ucraina centrale: potreste averla sentita nominare perché il 14 luglio scorso ha subito dei bombardamenti in cui sono morte almeno ventidue persone. Francesco aveva visitato quella città solo qualche mese fa, me ne parla come un posto piacevole, ma strategicamente inutile. Un attacco, dunque, fatto con malizia, rappresentativo dell’esasperazione della mentalità russa.
Infine, concludiamo parlando di futuro. Lui, dopo la laurea magistrale, vorrebbe lavorare nella cooperazione internazionale e investire il suo tempo in Ucraina per ricostruire il paese dopo la guerra. Lei si sta per iscrivere ad un Master, è indecisa tra Milano e Budapest. Certo, non è semplice pensare al futuro, soprattutto in una situazione così drammatica, ma ci tengo ad augurare loro di realizzare i progetti che hanno in mente, sia come coppia che come singoli.
Nel frattempo, posso solo ringraziare ancora Francesco e Ilona per il tempo dedicatomi.
Note
- E. Lucas, P. Pomeranzev, Winning the Information War – techniques and counter-strategies to Russian propaganda in Central and Eastern Europe. A report by CEPA’s information warfare project in partnership with the Legatum institute, 2016, pg.10.
di Eugenia Gandini
Nata a Milano, cresciuta a Pavia, mi sono trasferita a Torino per frequentare un corso di laurea di cui nessuno ricorda il nome (Scienze strategiche e della sicurezza, nel caso ve lo steste chiedendo). Uso l’autoironia come arma di difesa e mi credo più simpatica di quello che sono in realtà: se le mie battute non sono divertenti, vi prego, non ditemelo, ché mi offendo facilmente. Cerco sempre di vedere il lato positivo in tutto, fino a sfiorare (dicono alcuni) la positività tossica, e mi contraddico facilmente. Un esempio? Ho sempre detto di non volermi sposare, ma su Notion ho già progettato il mio matrimonio e su Pinterest ho una cartella dedicata che aggiorno settimanalmente. Mi piacciono tante (troppe) cose, ma sul podio metterei: la pianificazione e l’organizzazione (anche di questa rivista), Nanni Moretti e le mele gialle (se nella vita i miei progetti falliranno, mi troverete a coltivarle sulle Alpi orientali).