Su Tinder la bio è superflua. Almeno, io la leggo di rado. E poi ci si ritrova con il cazzo di uno sconosciuto in gola senza sapere nulla di lui e, forse per dare senso all’atto, un senso sentimentale, per giustificarlo a se stessi, perché è ancora socialmente inaccettabile condividere la propria intimità con qualcuno di cui non si sa nulla, si desidera avere letto quelle tre righe e cinque emoji.
Per gli esseri umani è molto importante avere l’illusione del controllo. Ma non è questo il punto. Anzi è proprio questo.
Come siamo arrivati a perdere il controllo? Ad agire rinnegando il senso comune?
Un’unica responsabile: la bellezza. Strisciante, vischiosa, inebriante. Sarei e sono disposto a tutto pur di averla attorno. Così lo sconosciuto mi viene in bocca e io non ho ricevuto altro che una sega mal fatta. Non è il caso di continuare a battere la mia carne, gli dico. È inutile. Vengo nella tazza del cesso dopo un’ora di ricerca del porno adeguato, begli attori, peni armoniosi. Vorrei essere come quell’attore del Decameron di Pasolini che finge di essere sordomuto e viene accolto in un convento di suore, finendo per soddisfarle una dopo l’altra in una rimessa. Vorrei essere come quelle suore. Vorrei essere capace di quell’egoismo carnale, di parlare e chiedere piacere.
Mi chiedo come sono arrivato ad accettare questa disparità di godimento. Ho davvero messo il mio piacere da parte per un’ora con un bel viso? Il sacrificio non è per nulla eccitante e servire il piacere degli altri dura il tempo del loro orgasmo. Al mio non arrivo mai. E dunque desideravo, volevo questo come tanti altri amplessi? Forse stavo solo cercando sollievo, normalità, felicità, secondo una ricetta introiettata passivamente.
In un podcast che ho sentito oggi Statovci, scrittore finlandese, diceva: «la maledizione delle basse aspettative mista alla paura di vivere dei periodi vuoti, in cui non si desidera nulla, ci distrugge». Mi ha molto colpito l’ultima parte, anche perché credo di avere la maledizione opposta, quella delle aspettative troppo alte.
Cosa si prova a non desiderare nulla, a vivere dei periodi in cui non si è in balia delle pulsioni e di desideri indotti? Nulla. Quanto del nostro tempo è riempito dalla ricerca di cose che nemmeno vogliamo? Tornando alla situazione dell’inizio: volevo davvero del sesso con un ragazzo bellissimo, e poi perché proprio bellissimo? Perché non dolce o comprensivo? La bellezza è davvero un valore? Ma soprattutto diamo troppo valore ad essa?
Noto, dal canto mio, che le persone mi sorridono spesso, mi fanno saltare la fila, il mio bell’aspetto induce loro ad una dolcezza che contraddice qualsiasi egoismo. È quello che chiamano beauty priviledge. Mi comporto anche io così, inebetito dalla bellezza? Credo di sì.
Non sono capace di dire di no alla carne non kosher come Primo Levi racconta di aver fatto nel lager. Levi sa che non è la fame, non è l’animale, è il taglio, è la preparazione, è il rispetto di valori e di riti durante la macellazione che dà valore al cibo; sono gli stessi valori identitari che costituiscono la base per rispettare se stessi. È là conformità a ciò che si sceglie liberamente. Invece io ho scelto la carne che desiderano tutti e per giunta non in una situazione di fame, e quindi di vita o di morte, ma di noia.
Gli ho fatto saltare la fila, dei miei bisogni, delle mie priorità, mi dico. Lui dice che non mi comprende, che emano energie contrastanti, mi chiede a cosa penso, perché non parlo. Sorrido e rispondo: “niente”. Ancora una volta evito la verità, ancora una volta sacrifico me stesso per una bugia. Ho paura di perdere ciò che c’è tra noi anche se è nulla. Cos’è che abbiamo fatto? Un’esperienza di comunione a metà, la mia metà è solo performance e la sua metà ferale eccitazione. Ho mangiato maiale che ho procurato io stesso al mio aguzzino. Mando un messaggio al mio amico Francesco dicendogli che vorrei scrivere nella bio Instagram che sono demisessuale. Mi risponde con il mio body count. Mi sento ridicolo.
1993. Tra Millennials e Gen Z, sono cresciuto con gli esempi culturali di Mediaset. Rory Gilmore mangiava gelato ogni sera con la madre ma non ingrassavano. E io, mentre le guardavo in tv, mangiavo a cucchiaiate dalla vaschetta al gusto bacio. Inutile dire che fossi sovrappeso. Poi Marissa Cooper anoressica ed eterea in OC; e Seth emaciato coi ricci; e Ryan muscoloso. Io non avevo niente di tutto ciò, non potevo pagare con la valuta della bellezza. Non avevo potere di scambio che non fosse la sottomissione, compiacere gli altri.
E poi l’avvento dei social network, e le pressioni ancora più forti per cambiare se stessi e plasmarsi per piacere. I disturbi alimentari, l’allenamento forzato ogni giorno. La cura dei capelli, della pelle. Finalmente ho iniziato a piacere. A provare quel privilegio che tanto agognavo. Ma la scala dei brutti e dei belli è infinita, e ogni volta che sei tu quello sullo scalino più basso, sei anche quello che mendica per un po’ di amore proveniente da qualcuno di più bello.
Sono scalini di vampirismo. Chi è sotto di te vuole succhiartene un po’, di bellezza, e chi è sopra è in guardia, consapevole di doversi preservare dando il meno e prendendo il più possibile. Non c’è premio, non c’è punizione, è una guerra di posizione.
Non ho molti amici o amiche brutte. Il polpo della bellezza spiega i suoi tentacoli attorno a tutte le mie conoscenze. Ci sono delle tier list, mai espresse verbalmente, ma certamente impresse nella mia testa. E in cima sono sempre le persone che coniugano il bell’aspetto con l’intelligenza.
È una rete neurale crudele quella del polpo della bellezza, una coscienza diffusa che fonda l’architettura delle mie relazioni sugli stessi stereotipi, gli stessi pregiudizi. C’è sempre la possibilità di scartare qualcuno perché c’è sempre qualcuno di meglio da trovare durante la risalita della scala – dagli abissi verso la luce. Chiunque può rappresentare una delle tappe intermedie. La promessa di una maggiore completezza è sempre meglio di una perfetta mediocre certezza: essere, starci, stare in una situazione è una delusione, meglio ubriacarsi di tensione verso il cambiamento.
Gli dico che possiamo riprovare a fare sesso, che ci è mancata la comunicazione, non la chimica. Che poi che cazzo è la chimica? Cosa sarebbe questa scintilla che deve scattare? Gli dico che non cerco nulla di serio come lui, che mi va benissimo un’amicizia con benefits, dobbiamo giusto lavorare un poco sulla sinergia durante questi benefici. La pratica rende perfetti. Ancora una volta sto facendo della bellezza di un ragazzo la mia Chiesa, e di ogni giorno domenica, per assecondare il mio desiderio di vederlo; sono le liturgie di chi non sa vedere la sua di bellezza, nello specchio, e spera di ricevere la grazia con la vicinanza ad un piccolo dio.
La mia cena di stasera è stata salsiccia di maiale al forno.
“Sei molto bello” gli ho scritto; “Sei molto carino anche tu” mi ha risposto. Nell’asimmetria tra le due affermazioni sta la verità del privilegio.
Ci si può sottrarre alla maledizione della bellezza? Ad un gioco di potere che vede qualcuno posto sempre più in alto rispetto a sé?
Non vedo l’ora di rivederlo, di farmi scaldare dai raggi di quel sole freddo; e sia che io brilli anche solo di luce riflessa.
Illustrazioni di Maria Traversa
“L’altra faccia della Luna” è la nuova rubrica de L’Eclisse, una rubrica personale, in cui vogliamo mettere a nudo le ansie e la vita quotidiana di noi giovani.