Quando dico che non ho mai avuto una relazione sentimentale, la reazione principale del mio interlocutore è principalmente di sorpresa, indipendentemente dalla persona con cui sto parlando.
Mi è successo con un signore sulla sessantina così come con persone della mia età: gli occhi si spalancano, la fronte si increspa e la bocca fa una piccola smorfietta indecisa e, spesso, si apre dicendo “Ma come, una ragazza come te!”.
Ora, la “ragazza come me” che scrive non ha niente di straordinario: ho un aspetto normalissimo e il mio Q.I. si attesta sui 100 punti di media e non oltre, altrimenti avrei avuto dei voti molto più alti in matematica. Potrei dire di avere un modo di esprimermi che è stato definito “particolare” (anche strano) negli ultimi vent’anni, ma il “particolare” è relativo dal punto di vista di chi ci guarda, dipende da circostanze più fortuite che oggettive. “Particolare” può avere una duplice accezione: positiva, se troviamo una persona interessante, o negativa, se invece ci sembra stramba, magari fuori dal comune – nel senso che la lasceremmo fuori, però. Personalmente, posso assicurare che avere una discreta proprietà di linguaggio non è essenziale in un curriculum vitae sentimentale: l’importante è non scrivere ‘qual’è’.
La domanda che mi viene rivolta dai più temerari – o sfacciati – è di tipo cronologico: “Non ti è mai successo?”, che sottintende: “non c’è mai stato nessuno che ti facesse il filo, che ti piacesse?”. Qui è necessario dividere quella che viene considerata come una frase unica, ma, al contrario, composta da due punti interrogativi distinti. Non è scontato, infatti, ricambiare i sentimenti di una persona a cui piacciamo, né che la persona che ci piace lo faccia con noi. Mai sentito parlare di amore non corrisposto? Arriva a tormentare tutti prima o poi (inclusa la sottoscritta), anche se, a onor del vero, ‘amore’ è una parola troppo pesante in molti casi, per cui sarebbe molto più onesto parlare di ‘interesse’ non corrisposto – il che non significa che faccia meno male, detto da una a cui hanno dedicato una canzone per respingerla: altro che serenata…
Conoscere l’emozione negativa suscitata da un rifiuto o, comunque, da un fallimento sul piano sentimentale è un’esperienza che riguarda tutti noi. Molti, però, danno per scontato che sia altrettanto diffuso il contrario, cioè innamorarsi e, per una volta, “avere una gioia”. Ecco spiegata la sorpresa a cui facevo riferimento.
Una volta appurata la dura verità, è praticamente automatico sentirsi chiedere “perché non hai mai incontrato nessuno?” o, peggio, “perché delle persone che hai incontrato non te ne è piaciuta nessuna?”, sottolineato anche da un certo affanno, dato che deve esserci per forza una ragione. Deve essere colpa delle persone sbagliate, o delle stelle. Confermo che la ragione esiste, ma è veramente una colpa non essersi mai innamorati? O è qualcosa che viene concepita più come una delle tappe fondamentali di un percorso – non tanto una gara quanto un normalissimo confronto tra persone che vivono nello stesso ambiente sociale?
È normale, d’altronde, guardare a quello che fanno gli altri: il paragone diventa problematico quando è costante e negativo, non solo in merito alla nostra relazione con gli altri, ma anche con noi stessi. E per chiunque abbia intenzione di spacciare pillole di autostima non richieste o il famigerato “devi amare prima te stesso per amare gli altri”, l’unica risposta al limite dell’educazione è un sorrisetto falso come Giuda, seguito da pianti solitari nel cuore della notte.
Permettetemi di dissentire: non è dividendo tutto in fasi o in compartimenti quasi stagni, che il problema si risolve. Avete presente la Bestia della fiaba? La Bestia inizia a migliorare, ad “umanizzarsi” esclusivamente quando ha l’occasione di rapportarsi all’Altro, non quando rimane sola nel suo maniero gotico a disperarsi per ogni petalo caduto. Non conoscere l’amore per ragioni indipendenti dalla propria volontà è un dolore bestiale per durata e intensità, come una goccia che scava nella pietra. Ogni occasione è buona per ricordare qual è il problema, perché l’amore sentimentale è pressoché ovunque: nelle canzoni, nei film, nelle pubblicità, nei romanzi, nei saggi filosofici e anche nelle relazioni di chi ci sta vicino.
L’amore è ovunque, tranne che in noi creature tristi e solitarie. Quando non è la pressione esterna a ferirci, ci pensa il semplice desiderio di condividere qualcosa o di provare un’emozione. Nessuno pretende le farfalle nello stomaco, ci si accontenterebbe di una buona flora batterica intestinale. Per chi non ha mai amato e/o non è mai stato amato, però, è come essere allergici al lattosio e dover correre in bagno ogni volta che si beve un cappuccino al bar: non abbiamo gli enzimi per digerire certe cose, metaforicamente parlando, perché non siamo mai riusciti a svilupparli.
Immaginate, quindi, che il mondo esterno sia un’enorme latteria – che mal di pancia, e non per le risate! Immaginate di non poter mangiare o bere nulla e di crescere denutriti, storti, rachitici. Non sono un’esperta di psiche umana, ma, alla luce della mia non-esperienza di vita, questa condizione di immaturità emotiva dovuta ad una mancanza potrebbe chiamarsi “rachitismo emotivo”, che non si risolve uscendo dalla propria comfort zone per fare qualcosa che non abbiamo mai fatto, o meglio, che non faremmo mai. Tradire la propria natura, intesa come insieme di passioni e desideri, non significa crescere o guarire, anzi, rischia di tramutarsi in una maschera lontanissima da noi. A me è capitato di rifiutare una persona perché non ricambiavo i suoi sentimenti, ma per quanto disperata e quasi, ormai, disillusa, non mi pento affatto della scelta che ho preso: fare il contrario sarebbe equivalso a mentire e usare una persona innocente con l’errata convinzione di crescere.
Il rachitismo emotivo non colpisce ogni nostro aspetto allo stesso modo, altrimenti la “ragazza come me” non sarebbe stata in grado di sviluppare questa riflessione al limite dell’autoanalisi. Il nodo centrale di questa condizione, se così può essere chiamata, sta nella consapevolezza dei propri limiti. Vi faccio un esempio concreto: il non voler usare le dating-app perché non si ricerca un tipo di attenzione che, è innegabile, si basa spesso sulla prima impressione. Per la cronaca, non c’è nulla di sbagliato nelle app, ma non sono adatte a tutti, sicuramente non a chi non ha mai avuto un appuntamento o un primo bacio, a meno che la persona in questione non decida che è così che vuole approcciarsi agli altri.
Non c’è spazio né per i giudizi né per le soluzioni in larga scala quando i sentimenti sono così personali. Essere consapevoli dei propri limiti è un passo verso la meta, ma, per superarli in modo costruttivo, bisogna guardare attentamente dove mettere i piedi. Per quanto mi riguarda, i miei piedi sono fermi al momento, e non per mia volontà, ma, se non altro, mi sono allacciata le scarpe. È difficile essere positivi, ma l’importante è non smettere di essere realisti, ovvero onesti con se stessi – almeno quello ce lo conquistiamo da soli.
Lucifero
Illustrazioni di Maria Traversa
“L’altra faccia della Luna” è la nuova rubrica de L’Eclisse, una rubrica personale, in cui vogliamo mettere a nudo le ansie e la vita quotidiana di noi giovani.