Il silenzio delle Innocenti – Cronache di un canone maschiocentrico
Il mese di novembre si apre con un anniversario interessante, vale a dire la morte della poetessa Alda Merini, scomparsa il 1° novembre 2009 a seguito di un tumore osseo. Quando pensiamo ad Alda Merini, ancor prima che alla sua poesia, il nostro pensiero va alla sua vita, fatta di dolore, internamento in manicomio per ben dieci anni e altrettanti di silenzio, un silenzio rotto solo alle porte degli anni ’80, anni nei quali il suo successo prese il volo e non venne fermato da nulla, se non dalla morte per malattia. Mi rattrista pensare come questa autrice sia stata consegnata alla Memoria solo per quello che potremmo definire un fattore di “eccentricità”: probabilmente, se Alda Merini non fosse stata la folle, la dolorosa, nessuno l’avrebbe degnata di attenzioni, nessuno si sarebbe soffermato sulla potenza stilistica della sua poesia, una poesia fatta, oltre che di dolore – come è ovvio- anche di un profondo amore per la vita, per l’amore stesso, per un certo misticismo. Aveva sete di narrazione, Alda Merini, e un bisogno fortissimo di portare alla luce la propria esigenza di esistenza, una forza propulsiva che accompagna tutte le esperienze scrittorie, soprattutto delle scrittrici. Scriveva:
Mi sono innamorata delle mie stesse ali d’angelo, delle mie nari che succhiano la notte, mi sono innamorata di me e dei miei tormenti. Un erpice che scava dentro le cose, o forse fatta donzella ho perso le mie sembianze. Come sei nudo, amore, nudo e senza difesa: io sono la vera cetra che ti colpisce nel petto e ti dà larga resa.1
«[…] mi sono innamorata di me e dei miei tormenti»; «io sono la vera cetra […]»: una dichiarazione fortissima di poesia, o meglio, di se stessa come soggetto narrante e vivente di e nella poesia stessa. È inaccettabile che dire Alda Merini significhi solo parlare di follia, manicomi e dolore. Di scrittrici ce ne sono state tante, e tante opere hanno scritto, tanti premi hanno vinto, ma hanno subìto una sorte triste, molto triste: essere ricordate per la loro eccentricità o per essere state “mogli/compagne di”; o, peggio ancora, essere dimenticate perché nessuno parla di loro, perché ritenute poco interessanti, perché hanno “solo scritto”. Così, ho pensato di stilare un breve catalogo delle donne, un mio personalissimo canone di anniversari di scrittrici del mese di novembre:
11 novembre 1906: nasce Lalla Romano, scrittrice, giornalista, attivista da sempre impegnata sul fronte della lotta femminista. Fu elogiata da Pier Paolo Pasolini per il suo romanzo Le parole tra noi leggere, con il quale vinse il Premio Strega nel 1969, opera dal carattere anticonformista nel quale ribalta, in modo quasi disturbante, il ruolo tradizionale della madre amorevole, e per le tematiche estremamente attuali per il tempo, come le rivolte giovanili.
13 novembre 1936: nasce Dacia Maraini, scrittrice e giornalista. La sua scrittura è da sempre a favore delle donne e da sempre orientata al confronto tra generazioni. Il suo talento e i suoi temi le hanno fatto vincere il il premio Campiello nel ’90 con La lunga vita di Marianna Ucria, e il Premio Strega nel ’99 con la raccolta di racconti Buio. Quest’anno, Mondadori ha riconosciuto il suo talento, raccogliendo la sua opera in toto nella prestigiosa collana de I Meridiani.
14 novembre 1997: muore Alba de Cespedes, scrittrice, sceneggiatrice e partigiana, erroneamente etichettata come scrittrice di letteratura rosa. I suoi romanzi affrontano i mille volti dell’essere donna, soprattutto Quaderno proibito (1952, opera, a oggi, difficilmente trovabile in libreria), la presa di coscienza di una donna e il rifiuto graduale dei suoi ruoli convenzionali, e Nessuno torna indietro, il confronto tra ragazze di diversa estrazione sociale e ideali, che le fece vincere, in ex-aequo con Cardarelli, il Premio Viareggio nel 1938.
25 novembre 1985: muore Elsa Morante, scrittrice e saggista che vinse il Premio Strega nel ’57, con L’isola di Arturo. A lungo considerata solo come “la compagna di Moravia”, ha raggiunto il suo massimo successo con quello che, a oggi, è da considerarsi non solo il suo lavoro migliore e il più complesso per corposità, tematiche e una visione del femminismo controcorrente, ma anche l’unico libro scritto da un’italiana inserito nella lista dei “100 libri più letti di sempre”, stilata dal Club Norvegese del Libro nel 20022, ovvero La Storia (sebbene lei sia l’unica italiana, nella lista troviamo invece moltissime opere di scrittrici inglesi e americane, ad esempio le Poesie di Emily Dickinson, Orgoglio e pregiudizio di Jane Austin e le principali opere di Virginia Woolf).
29 novembre 1898: nasce Fausta Cialente, scrittrice, traduttrice e giornalista radiofonica. È ricordata, oltre che per la sua opera più celebre, Le quattro ragazze Wieselberger, che le valse il Premio Strega del ’76, anche e soprattutto per la sua esperienza cosmopolita di “inviata” di guerra, raccontata nei suoi Diari e come speaker a Radio Cairo, l’emittente radiofonica di Alessandria d’Egitto di ideali antifascisti.
30 novembre 1902: nasce Maria Villavecchia, che i più conosceranno per il cognome da sposata, Bellonci. Scrittrice e traduttrice, è nota per essere stata fondatrice ed ideatrice, insieme all’attore Guido Alberti, del Premio Strega, nato nel ‘47 con l’intento di ricostruire un panorama letterario italiano, sempre stato vivo e pacifico, che aveva dovuto fare i conti con l’esperienza di guerra e partigiana. Nell’anno della sua morte, nell’86, per omaggiarla, il Premio di quell’anno fu assegnato alla sua opera Rinascimento privato. Ci tengo a fare una piccola precisazione: al 2022, su settantacinque edizioni del premio, solo undici donne lo hanno vinto. Tante sono arrivate in finale, ma ad averlo vinto, in questi anni, sono stati perlopiù uomini. Chiusa parentesi.
Visto così, potrebbe sembrare un mero e sterile elenco di nomi, date e titoli, ma dietro questo elenco ci sono anni spesi, da queste donne, ad affermarsi in un panorama letterario fatto di uomini, spesso non illuminati come possono essere stati invece Pasolini o Calvino o Asor Rosa. Molte delle autrici in questa lista (purtroppo c’è da riconoscerlo) sono pressoché sconosciute, al di fuori di limitate élite accademiche e circoli di lettura. Abbiamo di certo le eccezioni, come Elsa Morante, Alda Merini e magari Dacia Maraini, che spesso è una presenza in alcuni talk del servizio pubblico nazionale, ma già se ci rifacciamo a Fausta Cialente, Alba de Cespedes, Lalla Romano, la nebbia dell’ignoto si fa avanti. O anche il mare sotto l’iceberg, se vi piace di più l’immagine, che non cito a caso.
È così infatti che, le ragazze di Mi(s)conosciute – Scrittrici tra parentesi – hanno deciso, in modo provocatorio, di rappresentare il mare delle scrittrici che la cultura letteraria (patriarcale) ha dimenticato… o ha lasciato indietro. Più o meno consapevolmente, non lo sapremo mai, per quanto la risposta sia piuttosto ovvia. Mi(s)conosciute – Scrittrici tra parentesi è un progetto che, attraverso i social, ma soprattutto un podcast, attua un recupero sistematico di scrittrici sconosciute, non solo italiane; consiglio vivamente di farci un salto, ndA, Tornando all’iceberg (che riprende palesemente il modello dell’iceberg teorizzato da Freud), nella parte visibile, quella in superficie, troviamo i nomi di quelle scrittrici note quasi a chiunque, per la maggior parte del secolo scorso (con la sola eccezione di Elena Ferrante); autrici entrate, se non per merito, almeno per qualche fatto “di costume”, nel canone. Nel mare sottostante troviamo, invece, una distesa di nomi lunghissima che, come scrivono anche loro
«non è una rappresentazione esaustiva del sommerso di scrittrici italiane contemporanee, non è assolutamente una classifica di qualità, di importanza o di merito delle autrici menzionate, non è un monolite, ma si arricchisce costantemente, come ha fatto in questi mesi […] rappresenta un controcanone, un canone-ombra di scrittrici imprescindibili per comprendere la storia letteraria del ‘900[…]»3.
Nel mio piccolo, come ho detto in precedenza, quell’elenco che ho stilato è una sorta di “controcanone”, in quanto da un lato, comprende scrittrici che sono entrate a far parte, in modo quasi quotidiano, della mia vita e della mia esperienza di donna, dall’altro perché, come loro stesso hanno scritto, il canone classico è qualcosa di fisso, monolitico, statico e che poco implica un possibile cambiamento, evoluzione, ampliamento.
A tal proposito, permettetemi di raccontarvi un aneddoto. Nel corso degli anni liceali, ho sempre amato l’ora di letteratura italiana. La nostra produzione scrittoria ci ha lasciato, nei secoli, prodotti inestimabili, preziosi, che sono stati in grado di raccontare la microstoria, una controstoria fatta di umano sentire ed esperienze diverse, e non solo di guerre, saccheggi e giochi di potere. Dante, Ariosto, Manzoni, Verga, Leopardi, Pascoli, Pirandello, Gozzano, Montale, Saba, Caproni, La Capria, hanno saputo raccontare ciò a cui l’essere umano comune non pone troppo caso, o, ancora, hanno saputo raccontare, con parole altre, ciò che l’essere umano comune vive ogni giorno. Un giorno, sfogliando la mia vecchia antologia di letteratura italiana, ad un certo punto mi posi una domanda a suo modo ovvia, infantile quasi: “Possibile che, tra tutta questa poesia, tra tutti questi autori, non ci sia neanche un’autrice, una poetessa, una storica, una sociologa, una filosofa? Dove sono le donne?”.
Questa domanda, da quando mi sorse, non ha fatto altro che perseguitarmi per tutto il corso del liceo. All’università, finalmente, qualcuno, vale a dire le tante docenti incontrate durante il mio percorso, ha saputo rispondere alla mia domanda, mostrandomi dove si trovano davvero le scrittrici. La risposta è, purtroppo, scontata: fuori dal canone. È una sorta di gatto che si morde la coda: le scrittrici non sono nei programmi scolastici di letteratura perché non sono nel canone, e proprio perché escluse dal canone, i programmi ministeriali, che dettano legge, rispettano il pensiero unico, la visione imperante, continuano a proporre manuali di antologia assolutamente maschiocentrici. Per bene che vada, l’unica autrice proposta è proprio Elsa Morante, e le questioni riguardanti le donne vengono poste nei box, tra un Leopardi e un D’Annunzio, con titoli che marcano, ancora una volta, il fattore eccentricità, atipicità (il famoso “Natalia e le altre”, per fare un esempio, visto che in questo ultimo periodo sembra essere in voga, anche nelle aule politiche, parlare per nomi tralasciando i cognomi, ottenendo un’opera di spersonalizzazione molto forte… ma questa è un’altra storia, tanto da noi mica succede, no…?).
Di preciso, però, che cosa intendiamo per canone, e perché è così importante ai fini della letteratura? Dal greco κανών, «regola», Ceserani ne fornisce tre accezioni diverse:
« I. criteri o norme di valutazione critica dotati di valore esemplare e tendenzialmente universale: per es. “i canoni del gusto”; II. una lista delle opere di un singolo autore: per es. The Shakespeare Canon; III. una lista di testi culturalmente centrali e fondanti in una determinata società e tradizione letteraria, considerati come modelli da seguire ed esempi da imitare: i classici»4.
Nell’esaustiva definizione del buon Ceserani mi soffermerei su un punto in particolare: il primo, quello che concerne i criteri di valutazione critica di un’opera. Questi criteri di valutazione, e possiamo affermarlo con certezza, sono «il prodotto di una lettura a posteriori, che a poco a poco si stratifica e diventa normativa»5. Quello che qui intende Asor Rosa è che un’opera qualsiasi non nasce canonizzata, bensì entra nel canone perché in grado di suscitare, ad esempio, un moto interiore in chi la legge, un certo quale pathos,6 oppure perché in grado di rielaborare, in modo nuovo e originale, le strutture narrative correnti. Proprio perché il canone è un processo in divenire ed è delineato dalla scrittura stessa, e dal momento che, per secoli, chi ha scritto e letto è sempre stato un pubblico maschile, bisogna sottolineare come, questo discorso, valga principalmente per le opere di autori maschi, soprattutto sapendo a priori che, cultura e sapere, a lungo, sono stati negati alle donne. «Sono citata nelle enciclopedie, sono presente nelle antologie. Ma una scrittrice, anche di successo, è comunque emarginata. La diranno grande fra le altre scrittrici, ma non la equipareranno agli scrittori. È usanza diffusa»7, diceva infatti Anna Banti che, con una frase, mette in luce la questione fondamentale: quella del merito, della bravura e della capacità. Virginia Woolf afferma a più riprese nella sua produzione, e in particolar modo in Una stanza tutta per sé, ma anche ne Le tre ghinee, proprio come le scrittrici, soprattutto in passato, non abbiano avuto un metro di paragone se non la scrittura maschile. Ciò significa che una donna che decidesse di scrivere e ricercasse quindi dei modelli da fare propri e dai quali apprendere le strutture, non riuscirebbe a costruire la propria genealogia, perché il canone non prevedeva scrittrici (e possiamo notare che la situazione, a oggi, non risulta molto migliorata). Di conseguenza, una scrittrice che avesse voluto presentare un proprio lavoro alla comunità letteraria (qualora fosse riuscita ad arrivarci) sarebbe stata messa sempre a confronto con la scrittura maschile. Laura Brogi definisce questo meccanismo cultura dello scoraggiamento sistemico, traducibile con “la paura di essere brava”, che esprime proprio l’idea di sviluppare, nella scrivente, il pensiero per il quale, per emergere, per affermarsi, possa farlo solo ponendosi, come metro di paragone, le opere degli scriventi, e quindi, legittimamente, aspettarsi risposte del tipo “Avrai il tuo posto quando te lo meriterai”8.
La domanda che mi sono posta, più e più volte, e alla quale piano piano sto trovando una risposta è: c’è una soluzione a questo annoso problema? I fatti farebbero supporre di no, ma, in realtà, un vento di cambiamento c’è (bisognerà vedere se l’attuale presente chiuderà la finestra). In molte scuole, ad esempio, molte e molti docenti decidono di dedicare lezioni, soprattutto di Storia, a mostrare come le donne siano esistite, come non siano state mere comparse, ma protagoniste a tutti gli effetti, e non solo regnanti, ma anche politiche, partigiane, rivoluzionarie. Unendo al meglio micro e macro storia, delineano finalmente anche le tappe fondamentali della storia delle donne: non più solo le tappe delle guerre, i grandi tavoli di dibattito per decidere le sorti dei Paesi in gioco, non più solo il ’46, anno nel quale le donne hanno potuto votare, in Italia, per la prima volta, ma anche il 1975, il 1978, il 1996 (rispettivamente la riforma del diritto di famiglia, l’approvazione della legge 194 in materia di IVG, e la dichiarazione dello stupro come delitto contro la persona e non più contro la morale pubblica). Il panorama contemporaneo sta dando molto più spazio di un tempo alle scrittrici, molte delle quali sono autrici di saggi che stanno delineando gli strumenti teorici e pratici per fare sì che il controcanone soggettivo, quello che varia da donna a donna, da lettrice a lettrice, diventi, se non parte integrante del canone, almeno parallelo ad esso. La già citata Laura Brogi, ma anche Nadia Terranova, Giulia Caminito, Elena Biagini (che, con le sue ricerche, porta alla luce le esperienze scrittorie delle lesbiche), Igiaba Scego (che porta anche la sua esperienza per quel che concerne la scrittura delle minoranze etniche), studiano per un recupero sistematico della scrittrici, per creare una genealogia per tutte e tutti. E ancora, abbiamo anche linee editoriali in proposito: Rina Edizioni, una piccola casa editrice romana, fin dall’inizio della sua attività, si è posta, come obiettivo, il recupero di tutte le scrittrici dimenticate o considerate “inadatte” per il canone. Oppure, proprio quest’anno, Loescher ha pubblicato un’antologia, specifica per le scuole superiori di secondo grado, dal titolo Controcanone. La letteratura delle donne dalle origini a oggi, scritta e curata dal professor Johnny L. Bertolio (Normale di Pisa e University of Toronto), che viene concepita come un nuovo approccio alla letteratura italiana, con lo scopo di dare valore e senso alle scrittrici. Voglio lasciarvi con una poesia di Sibilla Aleramo, penna caposaldo del femminismo, che per tutta la sua vita lottò affinché le donne non fossero in secondo piano: un inno, a mio parere, e uno sprone affinché la scrittura delle donne non debba più passare il vaglio dell’ipotetico “merito” stabilito dal pensiero imperante:
Sono tanto brava lungo il giorno. Comprendo, accetto, non piango. Quasi imparo ad aver orgoglio quasi fossi un uomo. Ma, al primo brivido di viola in cielo ogni diurno sostegno dispare. Tu mi sospiri lontano: Sera, sera dolce e mia! Sembrami d'aver fra le dita la stanchezza di tutta la terra. Non son più che sguardo, sguardo sperduto, e vene.9
1 Merini, A., Folle, folle, folle di amore per te, Salani Editore, 2002, p. 60.
2 https://thegreatestbooks.org/
3 https://missconosciute.wordpress.com/2022/06/27/liceberg-delle-scrittrici-italiane-del-900/
4 Ceserani, R., Guida allo studio della letteratura, Laterza, Roma, 1999, p. 459
5 Asor Rosa, A., Il canone della letteratura italiana, da La scrittura femminile e il canone, in Storini, M. C., Il secchio di Duchamp, Usi e riusi della scrittura femminile in Italia dalla fine dell’ottocento al terzo Millennio, Pacini Editore, Pisa, 2016
6 p. 29, da op. cit. di Storini
7 La sfortuna di essere seri, da Petrignani, S., Le signore della scrittura, da op. cit. di Storini.
8 p. 99, La paura di essere brava, in Brogi, L., Lo spazio delle donne, Einaudi, Torino, 2022
9Sono tanto brava, in Aleramo, S., Momenti, Bemporad R. & Figlio, 1921.
Marta Urriani
Mi chiamo Marta Urriani, classe ’98, e studio Lettere Moderne all’Università La Sapienza di Roma. Ho una folta chioma di capelli ricci, tanto che tutti mi chiamano Mafalda, come la bambina dei fumetti di Quino, con la quale ho molto in comune (e non solo i capelli). Cercando di sopravvivere alla vita universitaria, con il caffè di giorno e la camomilla di sera, leggo e scrivo. Mi interesso soprattutto di letteratura italiana e temi femministi.