Nell’Almanaccqq+ di oggi, parlerò… di nulla.
Avete letto bene. Quello di oggi, infatti, non sarà la mia solita dissertazione filosofica, ma una sorta di spiegazione di quello che succederà per un po’.
Nonostante sia gennaio – dovrebbe fare freddo, come imporrebbe l’inverno, stiamo affrontando un inverno anomalo. Potrei dire che anche l’Almanacco stia affrontando un suo personale inverno anomalo, fatto di gelo e assenza di ispirazione, perché io in primis sto affrontando un periodo di profondo inverno nel quale, ironicamente, potrei dire di avere la materia grigia così congelata da non riuscire a far attecchire alcun fiore. Non starò a spiegarvi il perché di ciò, vi basti sapere che per un po’ ritengo opportuno mandare l’Almanacco “in letargo”. In questi mesi, infatti, mi è richiesto di affrontare una lunga serie di prove, difficili, importanti, decisive per la mia vita personale e universitaria soprattutto, alle quali desidero e necessito di dedicare ogni briciolo della mia attenzione. Ormai, dopo un anno e qualche mese, avrete capito che mi piace dedicarmi al meglio alle cose che scrivo e decido di approfondire, per creare cortocircuiti di parole in grado di mettere in moto il ricircolo delle parole, e proprio perché mi rendo conto di non avere la giusta concentrazione per scrivere, ho deciso, almeno per un po’, di dare aria all’Almanacco e di farlo decantare il giusto necessario, come il migliore dei vini. Quanto tempo durerà questa pausa? Non troppo, seppur non quantificabile. Non pensiate di liberarvi così presto delle mie polemiche e delle mie dissertazioni, perché, come ho avuto modo di dire in più occasioni, questo spazio è stato ed è ancora un luogo che mi mette sempre alla prova e mi stimola a conoscere sempre qualcosa di nuovo, e di farlo conoscere anche a voi che mi leggete. Se c’è una cosa che ho imparato, anche e soprattutto dal mio amato Pavese, è che, per apprezzare al meglio la propria terra, è necessario, per un tempo più o meno lungo, prenderne le distanze. Sarà comunque una pausa relativamente breve, sia chiaro, il tempo necessario di superare la vetta e tornare ad un respiro più regolare. Sicuramente mi troverete, periodicamente, magari in qualche articolo più disteso o leggero, e tra un po’ mi vedrete tornare qui, il tempo di ricaricare la penna con nuovo inchiostro.
In fondo è solo un arrivederci.
A chi, ogni 10 del mese, ha speso qualche briciolo del suo tempo per queste mie dissertazioni, va il mio grazie.
Tornerò presto.
Vostra,
Marta
di Marta Urriani
Mi chiamo Marta Urriani, classe ’98, e studio Lettere Moderne all’Università La Sapienza di Roma. Ho una folta chioma di capelli ricci, tanto che tutti mi chiamano Mafalda, come la bambina dei fumetti di Quino, con la quale ho molto in comune (e non solo i capelli). Cercando di sopravvivere alla vita universitaria, con il caffè di giorno e la camomilla di sera, leggo e scrivo. Mi interesso soprattutto di letteratura italiana e temi femministi.