Sensazioni e immagini dalla mostra di Bruce Nauman in Hangar Bicocca
È possibile, nella considerazione dei fenomeni artistici, assumere come scontata la libertà di esperire in maniera concreta l’opera d’arte. La stessa estetica, nel trattare l’arte in quanto disciplina centrale nello sviluppo della facoltà sensibile, fa del contatto diretto con l’oggetto d’arte una prerogativa fondamentale del rapporto che si instaura tra opera e visitatore, tra artista e spettatore. Il riferimento ai sensi e alla loro possibilità di cogliere la realtà esterna è dunque fondamentale; è in particolar modo la vista, nella storia del pensiero estetico, ad aver assunto un ruolo centrale nella valorizzazione – perlomeno nell’ambito del figurativo – della percezione sensoriale umana in quanto mezzo privilegiato verso la conoscenza artistica.
Lasciando però da parte per un momento la trattazione storica e immergendosi nel contesto contemporaneo, tuttavia, ci si trova a fare i conti con una realtà ben distinta e difficile da interpretare secondo il modello prima menzionato. Se dagli anni ‘60 in poi, con l’avvento delle tendenze di arte cinetica1 e concettuale2, i temi del visibile e dell’esperibile hanno in parte perso la propria centralità a seguito dell’intervento di altri elementi quali il movimento e il pensiero, va comunque affermato come negli ultimi anni si stia assistendo a una ulteriore radicalizzazione di questo passaggio. Ne sono un chiaro esempio le “Sculture Invisibili” di Salvatore Garau, chiaro indice dell’assoluta relatività del carattere di percezione sensibile, sia per quanto riguarda il valore artistico sia per la quotazione economica.
Ecco allora che, in un contesto dove la stessa presenza fisica dell’opera viene messa in dubbio, emerge l’esempio di Bruce Nauman, in questi mesi protagonista di una grande mostra allestita negli spazi dell’Hangar Bicocca a Milano. Artista del tutto particolare, egli gioca con le spinte verso la dematerializzazione dell’arte, affermando però l’esigenza di un’esperienza concreta e significativa. Quel che caratterizza Nauman come un caso peculiare, senza tempo e impossibile da circoscrivere entro limiti razionali, è la sua abilità di modellare lo spazio attraverso mezzi non convenzionali, con il preciso intento di creare una sorta di realtà parallela con la quale l’osservatore non può fare a meno di confrontarsi. Lo si intuisce già dal titolo della mostra, “Neons Corridors Rooms”, che ben riassume la lunga serie di opere presenti nell’allestimento, rappresentando in maniera ottima la varietà della produzione dell’artista statunitense. Concentrati tra il 1967 e il 2004, i lavori esposti spaziano attraverso un arco di tempo piuttosto ampio, pur mantenendo una modernità a tratti spiazzante.
La percezione e il rapporto diretto con l’opera sono posti al centro non solo del lavoro di Nauman, ma anche della stessa mostra che, non designando un percorso definito, lascia ampi margini di scelta e libertà al visitatore. Ad attrarre l’attenzione sono sicuramente i colori che l’artista utilizza in quelle che sono delle vere e proprie sculture di luce e spazio; il neon infatti, unico protagonista di opere quali “One Hundred Live and Die”, non è utilizzato esclusivamente in solitaria, ma crea suggestioni del tutto particolari nella sua relazione con lo sviluppo spaziale delle opere. Se infatti – in un susseguirsi di citazioni all’ambito Pop – alcune opere fanno della luce emessa dai tubi colorati un richiamo visivo simile a quello delle insegne pubblicitarie, è l’utilizzo del colore e dell’illuminazione nelle opere “architettoniche” a costituire forse l’elemento più interessante.
In “Green light corridor”, ad esempio, lo spettatore è invogliato ad attraversare uno strettissimo passaggio tra due pareti in legno rese verdi dalla presenza di una serie di tubi al neon, che danno all’angusto corridoio un aspetto solo apparentemente banale. È infatti la stessa esperienza del soggetto a contare davvero, nella misura in cui, facendosi avanti lentamente fissando una delle due pareti illuminate, esso può fare esperienza di uno spaesamento legato alla mancanza di riferimenti spaziali. Giocando con l’alterazione delle percezioni e con lo stravolgimento degli schemi logici e razionali, infatti, Nauman riesce a costruire un microcosmo dove la sensibilità acquista un ruolo di fondamentale importanza, forse ancora superiore a quello che essa riveste nell’esperienza quotidiana del reale.
Immediato è inoltre il passaggio a una lettura politica, o quantomeno retorica, della sensazione e dei cambiamenti a cui essa è sottoposta. Oltre al generale senso di disorientamento causato dalle fonti di luce colorate e dagli stimoli luminosi e sonori disseminati all’interno delle varie installazioni, vi sono infatti opere specificamente destinate a veicolare concetti meno immediati, ma comunque di grande rilevanza. Un esempio è senz’altro rappresentato da “Double Steel Cage Piece”, una doppia gabbia metallica costruita in modo da lasciare un esile spazio adibito al movimento del visitatore al suo interno. Una volta entrati nella struttura, a prevalere è la sensazione di ansia e costrizione dovuta alla vicinanza delle due pareti, facilmente leggibile come una rappresentazione della limitazione della libertà individuale. D’altro canto si scorge in questa sede un altro tema importante, ovvero la percezione di sé stessi, al quale Nauman dedica una serie di opere di grande interesse.
La declinazione di questa tematica, strettamente interconnessa con la riflessione generale sulla percezione (sensibile e non), si ritrova ad esempio in “Going Around the Corner Piece with Live and Taped Monitors”, opera tra le più interessanti e particolari scelte per la mostra.
L’installazione, costruita attorno ad un muro, comprende due televisori a tubo catodico e una telecamera di sicurezza; quello che si costituisce è dunque un parallelismo completo, che induce il soggetto a pensare di poter vedere nei rispettivi televisori ciò che è inquadrato dalla telecamera dalla parte opposta del muro. Seguendo però una logica imprevedibile e contraddittoria, Nauman ci illude di poterci vedere inquadrati nel televisore che abbiamo di fronte, quando in realtà sono coloro dall’altra parte del muro a poterci osservare. Una simile dinamica è inoltre ripresa in un’altra opera, “Corridor Installation”, che introduce un altro importante elemento, ovvero quello della relazione sociale. L’ampio spazio dell’Hangar permette infatti di osservare, superando la semplice percezione di sé, le reazioni e i comportamenti degli altri visitatori, che entrano ed escono dagli spazi fino a confondersi vicendevolmente, anche grazie all’utilizzo delle riprese video e degli specchi (come avviene in “Corridor Installation with Mirror”).
Nauman sperimenta poi in maniera ancor più audace attraverso il suono, come ben dimostrano le tre opere poste in chiusura del percorso. In “Mapping the Studio II with color shift, flip, flop & flip/flop”, ad esempio, l’artista si confronta con un tema di alta rilevanza istituzionale, ovvero la rappresentazione dello studio d’arte; dando però un tocco profondamente personale, egli “colora” i filmati di varie telecamere proiettandoli poi sulle pareti del Cubo (una delle sezioni dello spazio espositivo dell’Hangar). Quel che sorprende è l’apparente assenza totale di movimento nelle proiezioni, “risiginficata” però dalla presenza di un elenco di rumori di sottofondo (annotati in maniera maniacale su una lunga serie di fogli). Ciò mette l’osservatore all’erta e crea uno stimolo sonoro ambivalente, obbligandolo a una “ricerca” sonora che trova un ostacolo nella costante sovrapposizione di suoni e nell’incessante rumore prodotto dai proiettori. Suggestioni molto più evidenti – ma non per questo meno disorientanti – sono invece utilizzate in “Raw Material”, peculiare galleria sonora che cataloga decine di voci e rumori dando l’illusione di attraversare un luogo colmo di persone, fino ad arrivare alla stanza in cui è allestita “Anthro/Socio”, che costituisce una sorta di sintesi della stessa opera dell’artista.
In questa installazione, che combina la presenza di elementi visivi e sonori, egli espone su più schermi televisivi una sua performance; il movimento rotatorio che caratterizza le riprese si lega ai rumori prodotti dallo stesso Nauman, creando un effetto alienante e straniante che annulla e mescola le parole e i suoni che egli emette. È dunque il visitatore a dover attraversare lo spazio alla ricerca di elementi da comprendere, in un disordinato connubio di suono ed immagine che lo sovrasta, permettendogli unicamente di cogliere piccoli sprazzi di significato e mai di ricostruire una vera e propria struttura logica entro la quale comprendere l’opera. Si rimane quindi nuovamente stupiti dalla capacità del fotografo americano di elaborare un’arte per certi versi impossibile da concepire ed introiettare, ma che lascia la possibilità all’osservatore di relazionarsi in maniera totale con l’opera, fino a dissolversi in essa e perdersi nella sconfinata sfera della percezione sensibile.
Proprio in ciò risiede la vera e propria chiave di lettura del lavoro di Nauman. Grazie a uno straordinario uso della tecnica e a una comprensione approfondita dell’esperienza estetica, egli riesce infatti a superare l’esigenza di un significato distinto, rivelando al di sotto del contenuto razionale dell’opera un’attenta riflessione riguardante l’approccio della sensibilità all’arte stessa. Rovesciando su sé stessi i paradigmi che vedono l’arte contemporanea come esaltazione del concettuale e del razionale, egli propone un’arte leggibile in primis attraverso il contatto concreto, fino ad arrivare a un vero e proprio rapporto fisico tra oggetto d’arte e osservatore. La suggestione più importante lasciata dalla mostra milanese è dunque riscontrabile nella possibilità di rivedere le categorie sulle quali si basa tutt’oggi il modello di lettura dell’arte. Dal canto nostro, siamo spinti a considerare quanto la percezione e la sensibilità continuino a contare nel contemporaneo e se vi possano essere gli estremi per una profonda riflessione sul significato di quest’ultima etichetta.
Fotografie di Eleonora Rocco
Note
- L’arte cinetica (o programmata) trova la centralità della propria ricerca non tanto nella rappresentazione di un soggetto, quanto nell’analisi del movimento (biologico o meccanico). Si è configurata in un vero e proprio movimento artistico in Europa tra anni ‘60 e ‘70, con opere come le sculture “Mobile” di Alexander Calder.
- L’arte concettuale fa riferimento ad un movimento ampio e vario nelle sue declinazioni, sintetizzabile come una tendenza artistica che riconosce il prevalere del contenuto e del messaggio di un’opera rispetto alla tecnica e ai materiali. Ne consegue la perdita di rilevanza dell’esperienza dell’opera stessa, come dimostrano i lavori di maestri come Manzoni e Beuys.
di Matteo Capra
Nato a Concorezzo (andate pure a cercare su Google, vi giuro che esiste) nel 2002 e mai davvero cresciuto, mi divido tra mille interessi diversi senza mai saper scegliere. 24 ore al giorno con le cuffie nelle orecchie, salgo e scendo dal mio skateboard mentre scrivo poesie e cerco l’opera cinematografica definitiva. Mi diverto a fare l’esteta; colleziono qualsiasi oggetto o ricordo in cui io possa riconoscermi, vantandomi di possedere qualsiasi disco o libro che si possa ritenere “vecchio”. Emotivo al 200%, con la mia scrittura cerco di fissare la bellezza che trovo intorno a me. Ah, nel tempo libero studio Scienze Umanistiche per la Comunicazione alla Statale di Milano.