Negli ultimi anni sta riaffiorando molto la retorica dei giovani “nullafacenti”, senza senso del dovere e delle regole, privi di alcuna morale.
Alcuni esponenti politici di destra hanno proposto una soluzione: re-introdurre la leva militare obbligatoria.
Anche il presidente del Senato Ignazio Benito La Russa appoggia questa idea, anzi, vorrebbe proporre un disegno di legge per introdurre una “mini naja volontaria” di 40 giorni, che consentirebbe ai partecipanti di ottenere crediti scolastici e punteggi per salire nelle graduatorie automaticamente.
Il fatto che si proponga la leva militare come soluzione alla presunta mancanza di morale delle nuove generazioni è (a mio parere) assolutamente paradossale: basti pensare che storicamente, in Italia e nel mondo, gli obiettori di coscienza venivano incarcerati perché si rifiutavano di aderirne in quanto nonviolenti, o che l’obiezione di coscienza è diventata un diritto solo nel 1998.
Ma facciamo un passo indietro.
Ultimamente, quando si parla di obiezione di coscienza, il primo pensiero che affiora di solito riguarda i medici antiabortisti che si rifiutano di esercitare operazioni sulle donne incinte, a volte mettendone anche a repentaglio la salute fisica (oltre a quella mentale). Il concetto di obiezione di coscienza, però, è molto più ampio e affonda le sue radici nei principi della nonviolenza (quella scritta tutta attaccata e su cui si basano moltissimi movimenti climatici moderni): è un metodo di lotta politica che si basa sul rifiutare ogni forma di violenza, fisica, psicologica o verbale, e che ha come tattiche di azione la disobbedienza civile (come blocchi stradali e imbrattamenti) i boicottaggi e la non collaborazione. Viene anche detta “resistenza nonviolenta”: pensate a quando il 14 gennaio di quest’anno Greta Thunberg ha fatto peso morto mentre la sgomberavano da Lutzerath, il villaggio occupato dagli attivisti ambientalisti per cercare di fermare la distruzione di esso a causa delle estrazioni di carbone. Questi principi sono stati inizialmente teorizzati da Gandhi negli anni ‘20 del Novecento e poi utilizzati da moltissimi movimenti pacifisti, ecologisti e per i diritti civili, come quello per i diritti degli afroamericani negli Stati Uniti degli anni ‘60; Martin Luther King studiò a lungo le tattiche di Gandhi e si professò sempre nonviolento.
L’Enciclopedia Treccani sotto alla voce “obiezione di coscienza” dice: “Rifiuto di sottostare a una norma dell’ordinamento giuridico, ritenuta ingiusta, perché in contrasto inconciliabile con un’altra legge fondamentale della vita umana, così come percepita dalla coscienza, che vieta di tenere il comportamento prescritto” e poi specifica “al servizio militare: è una forma non violenta di rifiuto del servizio militare della guerra. Con essa l’obiettore non contesta il dovere costituzionale della difesa dello Stato, ma oppone a esso un’alternativa: il servizio civile (l. 772/1972), che promuove la difesa non violenta e la solidarietà, invece della difesa militare armata”.
Quindi il servizio civile è, per definizione, la difesa nonviolenta e non armata della patria, attraverso l’educazione e la promozione della pace fra i popoli e dei valori fondativi della Repubblica Italiana attraverso attività per le comunità ed i territori.
Oggi, scegliere il servizio civile è un diritto: tuttavia, non è sempre stato così.
Il primo obiettore di cui esiste documentazione si chiamava Remigio Cuminetti: era un Testimone di Geova che, durante la Prima Guerra Mondiale, si rifiutò di arruolarsi per motivi religiosi e per questo fu processato dal Tribunale Militare di Alessandria e condannato a 3 anni di carcere per “infedeltà al Re”. Dopo di lui altri Testimoni di Geova e cristiani non cattolici finirono sotto processo (26 di loro furono processati dal Tribunale Fascista).
Fino alla fine degli anni ‘40, comunque, tutti gli obiettori di cui si ha traccia menzionavano la religione come principale motivazione della loro scelta.
In quel periodo, però, in Italia, si iniziava a cogliere e teorizzare il pensiero nonviolento. Uno dei primi e più importanti esponenti fu Aldo Capitini, filosofo, poeta, antifascista ed educatore nato nel 1899, soprannominato “il Gandhi italiano”.
È proprio il pensiero di Capitini che influenzò Pietro Pinna, che nel 1949 si rifiutò di indossare la divisa militare per motivi morali non legati alla religione: semplice principio di nonviolenza.
Pinna aveva iniziato il servizio militare nel 1948 per motivi puramente economici (la sua famiglia era stata fortemente colpita dalle conseguenze della Seconda Guerra Mondiale) e presto si rese conto che la cultura militare andava completamente contro i suoi principi morali. Quindi, il giorno in cui avrebbe dovuto fare il giuramento, decise di rifiutare il servizio militare.
Scrisse nella sua dichiarazione:
“Faccio noto a codesto comando di essere venuto nella determinazione di disertare la vita militare per ragioni di coscienza. Trascurando qui di prendere in considerazione nei dettagli le convinzioni dettatemi da ragioni di fede, storiche, sociali e altro, dico che le mie obiezioni nascono essenzialmente dall’impegno totale assunto sin dalla fanciullezza ad una apertura ideale e pratica a tutte le creature umane. Modi capitali indispensabili di essa apertura: nonviolenza e nonmenzogna, mai limitabili e per nessun motivo. Logica e naturale è così la mia spontanea reazione anzi impossibilità a collaborare con l’Istituzione militare, le cui evidenti manifestazioni prime sono in antitesi con tali mie più profonde ragioni di vita. Mi dichiaro pienamente consapevole del mio atto di rottura con la legge attuale e resto in attesa d’una pronta decisione al riguardo“
Processato per disobbedienza e condannato ad un totale di 18 mesi di carcere, divenne un caso mediatico internazionale, a tal punto che 23 parlamentari laburisti inglesi firmarono una lettera indirizzata al Presidente del Consiglio De Gasperi per intercedere a suo favore e Tatiana Tolstoj, attivista russa figlia dello scrittore Lev, espresse la sua ammirazione e supporto.
Pinna fu poi riformato come non idoneo per “nevrosi cardiaca”, probabilmente per cercare di limitare le polemiche e le critiche mosse contro il governo e i militari. Insieme a Capitini fu uno degli organizzatori della Marcia Per La Pace Perugia-Assisi, dopo la quale nacque il Movimento Nonviolento italiano in cui Pietro Pinna militò fino alla sua morte, avvenuta nel 2016.
Tra gli anni ‘50 e gli anni ‘60 gli obiettori aumentarono, e si videro i primi processi ai laici cattolici, come Giuseppe Gozzini e Fabrizio Fabbrini. Questo portò a delle forti prese di posizione anche da parte di uomini di Chiesa, che prima erano rimasti neutrali per due motivi: chi prendeva i voti era esente dalla leva, ma allo stesso tempo esistevano i cappellani militari, circoscrizione della Chiesa Cattolica che ha giurisdizione sulle Forze Armate italiane. I cappellani militari, a differenza di quelli “comuni”, sono arruolati nell’esercito e equiparati agli ufficiali. Si occupano, tra le altre cose, di assistere spiritualmente i militari.
È proprio contro i cappellani militari (che accusavano gli obiettori di essere vili e codardi) che si scagliò Don Lorenzo Milani con la sua lettera pubblicata su “Rinascita”: L’obbedienza non è più una virtù.
Il prete, celebre per i suoi scritti ed il suo lavoro come educatore nella scuola di Barbiana, venne accusato di apologia di reato.
Non era la prima volta che Don Milani risultava scomodo: inizialmente assegnato come coadiutore a San Donato di Calenzano, a seguito di screzi con la Curia di Firenze (che lo considerava “troppo vicino agli emarginati”) venne mandato a Barbiana, una minuscola frazione di Vicchio, in Toscana. Resosi conto della situazione sociale del paese (non c’era una scuola, i bambini non potevano studiare e questo li portava a situazioni di emarginazione e povertà), decise di fondare una scuola privata e gratuita nella canonica della chiesa di Barbiana.
Dopo l’accusa di apologia di reato e le innumerevoli critiche mosse dalla società altolocata nei confronti dei suoi metodi di insegnamento alternativi, Don Milani e i suoi alunni scrissero Lettera ad una Professoressa. Nel testo, i ragazzi criticavano l’educazione puramente nozionistica ed incitavano i professori ad insegnare a ragionare.
Bisognerà aspettare il 1972 per avere un primo disegno di legge sul Servizio Civile, ovvero la Legge Marcora.
Essa prevedeva 20 mesi di servizio civile (8 in più rispetto alla leva militare) ed era comunque estremamente difficile accedervi: l’obiettore doveva “provare” la sua nonviolenza davanti ad un tribunale (composto quasi totalmente da militari) che spesso e volentieri faceva domande complesse e fraintendibili per “dimostrare” che l’imputato era in realtà violento e che egli aveva fatto obiezione solo per pigrizia. Di conseguenza, moltissime persone si videro negare la possibilità di fare Servizio Civile per svariati motivi, tra cui pregiudizi del tribunale (la maggior parte di coloro che non facevano l’università erano costretti a fare il militare), precedenti penali non inerenti alla violenza (come furti) o semplicemente risposte sbagliate alle domande trabocchetto dei militari.
Nel 1989 alcuni aspetti della legge Marcora furono dichiarati incostituzionali, in primis la durata maggiore del Servizio Civile rispetto alla leva; nel 1998, finalmente, l’obiezione di coscienza divenne un diritto.
Da allora, fino a quando nel 2005 venne tolta la leva militare obbligatoria, si registrò un aumento esponenziale delle domande per il Servizio Civile Nazionale: addirittura nel 2000 gli obiettori superarono i militari di leva.
A questo punto, vorrei proporre un ragionamento, prendendo in prestito le parole di Don Milani: l’obbedienza, intesa come disciplina e capacità di seguire ciecamente ordini dall’alto, è davvero una virtù? O forse il concetto di morale nel tempo è cambiato e con esso la mentalità delle nuove generazioni?
Forse, mettere in discussione certi ragionamenti di chi sta al potere non è poi così oltraggioso, soprattutto se la messa in discussione evidenzia problemi sistemici e dinamiche di potere tossiche.
Voler diffondere ideali di pace e di Nonviolenza non è mancanza di morale, ma la dimostrazione che una morale c’è.
Se seguissimo l’insegnamento di Don Milani, si dovrebbe puntare di più sull’educazione rispetto all’obbedienza.
Il 20 febbraio scadrà il bando per fare domanda come volontari del Servizio Civile Universale tra il 2023 ed il 2024 in progetti in Italia e all’estero. Se siete interessatə potete informarvi sul sito politichegiovanili.gov.it