Mi si lasci premettere questo articolo dicendo che quella di fare parte di una giuria a Venezia è stata una delle esperienze più formative e per cui essere grato della mia vita. I film, i luoghi, le atmosfere, le persone che ho incontrato nel mio percorso veneziano sono esplosi in un fuoco d’artificio di gioia e colori, lasciandomi un arcobaleno di esperienze ed emozioni che conserverò sempre con me.
8 settembre, ore 16 e 45. Buio in sala. Per la giuria Venezia Classici, è l’ultima proiezione di una lunga programmazione di film restaurati. Silenzio, solo qualche voce sussurrante nel nero in cui si è immersi. Poi, finalmente: azione!
Finita la proiezione, nella stanchezza dilagante dell’ultimo giorno, incrociamo gli sguardi e cogliamo lo stupore che queste immagini in bianco e nero ci hanno regalato.
Il film in questione è Thérèse e Isabelle (Thérèse et Isabelle), pellicola del 1968 di Radley Metzger che diventerà negli anni successivi uno dei pionieri del cinema erotico, regalando classici del settore e introducendo numerose innovazioni tecnico-stilistiche. Nonostante Metzger sia, come si è appena ricordato, uno dei padri della golden age of porn, lavorando anche alla realizzazione di Blue Movie1 di Andy Warhol, e venga dunque principalmente ricordato per questo, ai fini della nostra discussione e analisi considereremo solo l’opera in esame e non lavori precedenti o futuri del regista.
La storia presentata, adattamento dell’omonimo romanzo2 della scrittrice francese Violette Leduc, è relativamente semplice e lineare. Una donna (Thérèse), ormai adulta, torna nel collegio in cui ha studiato da ragazza. Questo, ormai deserto, si fa museo di ricordi ed emozioni che vengono rievocati attraverso una serie di flashback, disvelando la storia d’amore e di passione bruciata tra lei e Isabelle. Quello delle due ragazze può sembrare un racconto elementare, ricadendo nel cliché dell’amore impossibile, da dover tenere nascosto, un segreto molto spesso affrontato in ambito artistico e altrettanto spesso in modo banale, piatto, quasi standardizzato. Invece questa narrazione ci ha colpito, ci ha sorpreso: ma perché?
Siamo nel 1968. ‘Contestazione’ e ‘rivoluzione’ sono termini all’ordine del giorno. Si parla di lotta al patriarcato, si parla di lotta operaia, si parla di lotta di classe e di genere, di abbattimento dei divari uomo-donna e si parla di una più vasta e generale contestazione contro le norme, i dettami, le imposizioni di una società fatta e pensata dal denaro e da chi questo denaro è riuscito a metterlo in saccoccia. Il ‘68 e le manifestazioni avvenute durante quel periodo sono solo il sintomo di un sentimento di alienazione e disagio provato dall’uomo contemporaneo durante tutto il periodo del cosiddetto “boom economico”, costretto a indossare una camicia di forza dal colletto bianco. Questo senso di inappagamento dilagante e condiviso ritorna a più riprese, affiorando nei lavori di vari artisti italiani ed internazionali durante tutti gli anni ‘50 e ‘603. Se dalla letteratura al cinema e alle arti visive si denuncia un realtà commercializzata, mediata dallo scambio in valuta, si tenta anche, attraverso un ragionamento artistico-filosofico, di opporre a questa una visione della società-mondo alternativa, che rivaluti l’uomo nella sua interezza.
Cito a questo proposito il lavoro di Maurice Merleau-Ponty4, impegnato, insieme a una lunga lista di filosofi, psicoanalisti e artisti nel ridare valore all’umano, alla sua corporeità prima ancora della sua razionalità. Considerata la dimensione razionale e cogitativa dominante la società moderna e dalla quale nasce quella dei consumi – basata su “termini”5 di matrice economica-produttivistica come efficienza, economia, funzionalità, utilità – si verifica una spinta collettiva per ritrovare una realtà umana e sociale non dettata dalle norme del mercato. Vengono a diffondersi, dunque, già a partire dagli anni ‘40 del secolo scorso, vari lavori che rimettono al centro della discussione percettiva il corpo e la sessualità ridando dignità a una dimensione materica e terrena, aliena alla dialettica del consumo e del capitale.
“Se la storia sessuale di un uomo fornisce la chiave della sua vita, è perché nella sessualità dell’uomo si proietta il suo modo di essere nei confronti del mondo, cioè nei confronti del tempo e degli altri uomini.”6
Si nota come il corpo e la sessualità in questi anni assumano una posizione privilegiata per comprendere l’umano inteso non come ruolo (consumatore, lavoratore, padre, madre, ecc.), ma nella sua totalità e, allo stesso tempo, nella sua intimità. La sociologia, la politica e l’economia diventano scienze umanistiche che traggono spunto da un ragionamento sull’interiorità per comprendere le dinamiche complesse del sociale e dell’interrelazionale. A prescindere da un ragionamento di precedenza e causalità per cui prima di indagare una rete di punti è necessario definire come si comporta il punto nella sua singolarità, è importante sottolineare come questa ricerca di tipo comportamentale-corporale parta dalla constatazione che la pulsione sessuale e il desiderio mettano in relazione gli individui in modo molto più immediato e intuitivo rispetto alla parola o i legami affaristici.
“La percezione erotica non è una cogitatio che intenziona un cogitatum; attraverso un corpo essa si protende verso un altro corpo, si effettua nel mondo e non in una coscienza. […] C’è una comprensione erotica che non appartiene all’ordine dell’intelletto, giacché l’intelletto comprende apprecependo un’esperienza sotto un’idea, mentre il desiderio comprende ciecamente collegando un corpo a un corpo.”7
Siamo di fronte, è evidente, ad un’idea di mondo umano e relazionale primordiale, originario, non relato da una qualsiasi forma di polis: un dionisiaco che si riverbera nell’interezza del reale e che ne completa il lato apollineo facendo divenire i due, dunque, lati della stessa medaglia.
La pellicola sessantottina risulta un’introduzione, rossa passione, al circostante la sala: alla contemporaneità. Il bianco e nero delle immagini inducono a riflettere e a rivedere i tumulti, le lotte sotto una luce intimistica, personale, corporale. Nonostante mai vengano trattate o toccate queste tematiche in modo esplicito nel film, esse esistono, sono presenti nella mente dello spettatore e, dialogando con la messa in forma e la linea narrativa della pellicola, riemergono facendosi protagoniste della visione/comprensione: è con il moderno, con l’attualità e le sue problematiche che l’opera dialoga e da cui trae linfa vitale.
Thérèse cammina lungo i corridoi, attraversa le ampie distese verdi dei giardini affollati di fantasmi fanciulleschi, ripercorre le navate di quella che era l’antica cappella del collegio. Passo dopo passo, lo spazio si fa vuoto, raccoglitore che, al tocco del corpo della protagonista, prono, è pronto a ricevere una nuova veste, a trasformarsi in luogo testimoniale. Ma solo a contatto con il corpo, con la fisicità, la trasformazione in ricordo può avvenire, solo a contatto con le cicatrici dell’emotività sedimentate sulla pelle, sulla fisicità dell’umano può sovvenire la memoria. Allora ci appare, in un baleno che rompe la cecità scura del presente, la figura luminosa di Isabelle. È un percorso corporale che fa riemergere un altrettanto carnale e passionale rapporto, ormai distante ma sempre presente in forma di cicatrice. In una ricerca di perfezione, a tratti schizofrenica, ritrovata nella messa in scena, quasi a suggerire una riformulazione del ricordo che elimini il caos e le imperfezioni del reale, le due figure femminili occupano il primo piano scenico e, di conseguenza, narrativo. Ma è quando ci si aspetterebbe, con gli occhi dello spettatore moderno, abituato al corpo come Nudo8, di vedere mostrata la carnalità dell’intimità tra le due, che la pellicola ci sorprende sottraendoci l’immagine del rapporto, almeno sotto l’aspetto visivo. Questo, seguendo la logica della riformulazione mnemonica, ipotizzo possa essere tenuto a distanza in quanto emblema della breccia e del dolore emotivo provato dalla protagonista. Mentre le due ragazze ci vengono sottratte alla visione, l’unione corporale viene descritta attraverso le parole citate dal romanzo da cui è tratto il film. Seguendo la nostra ipotesi potremmo suggerire, secondo la psicanalisi moderna e in particolare il pensiero di Jacques Lacan10, che il trauma venga allontanato attraverso una riformulazione di esso ed un espressione non del Reale, ma bensì del registro simbolico. In questo modo la parola diventa un velo, muro attraverso il quale si nasconde un indicibile che la protagonista non è ancora in grado di affrontare. Allo stesso tempo, si può pensare che il rapporto venga custodito da una visione spettatoriale che troppo spesso, nel corso della storia visivo-cinematografica, lo ha reso servo, schiavo di un occhio-padrone.
“In quanto ho un corpo, io posso essere ridotto a oggetto sotto lo sguardo dell’altro e per lui non contare più come persona.”9
La seconda opzione di analisi apre il dibattito verso un discorso socio-economico e di tipo sociologico. Se si considera la parola, la forma orale, utilizzata durante le suddette sequenze questa, come ricordato, è ereditata dalla forma letteraria. Si potrebbe aprire un’ampia parentesi sulla parola e sull’entrata in crisi di essa nel Novecento letterario, ma mi limiterò a citare un intervento di Davide Luglio11 a proposito della Forma di Petrolio12, romanzo pasoliniano rimasto incompiuto ma di grande innovazione e sperimentazione linguistica:
“Determinare quella forma decostruente che disinnesca le griglie precostituite e i loro valori significa ambire a mettere in condizione la realtà di esprimersi da sola. Significa quantomeno indicare la ricerca di una forma che libera la realtà dal discorso e cioè in ultima istanza offrire al lettore l’esperienza e la responsabilità del confronto col romanzo della realtà.”13
Per buona parte del Novecento, gli scrittori, i romanzieri e i poeti si trovano di fronte a una sottrazione del romanzo e dei canoni letterari classici da parte di un mondo consumistico che li fa propri, rendendo Jim Hawkins l’uomo benestante del ceto medio e l’isola del tesoro la lavatrice. Il mondo pubblicitario e del marketing avvolgono il reale in una rete, in una maglia di relazioni e briglie precostituite, fredde e immodificabili. La letteratura allora, e qui si inserisce anche il lavoro che Pasolini svolge con Petrolio, si imbarca nella ricerca di una scrittura che restituisca una porzione di reale che sia ancora carne vivente, sanguinante. Il linguaggio utilizzato dalla scrittrice di Thérèse e Isabelle, tuttavia, risulta essere ancora ancorato ad una tradizione letteraria ormai appannaggio della pubblicità facendo emergere, per contrasto, come il corpo, custodito da un occhio buco nero, che risucchia ogni immagine per possederla, sia ancora l’unico elemento in cui ritrovare la ricomposizione identitaria dell’uomo moderno.
Appendice (bordello sessantottino)
1968: il dissenso imperversa. Un gruppo di giovani, ragazzi e ragazze, decidono di distaccarsi dalla comunità in cui vivevano, e con cui erano in lotta silenziosa, per rifugiarsi nella casa che uno di questi possiede; lontano da tutti, sulle colline. Presto si rendono conto che, però, la vita, nella casa sperduta tra colli e frasche, procede creando moduli comunitari simili a quelli che li imbrigliavano Laggiù. Eradicati, sì, dal luogo di origine, e con esso dal proprio contesto sociale, ma creatori di una polis gemella a quella da cui fuggivano. Si impegnano a escogitare una soluzione. Dal primo marzo fino alla fine di novembre pensano e occupano i loro cervelli con le idee più fantasiose e rivoluzionarie.
“Dobbiamo eliminarci come simbolo di un’impossibilità a distanziarsi dalla società dominante” propone uno ma la sua idea non viene accolta con entusiasmo. Non perché i giovani in questione non siano pronti ad atti estremi pur di perorare la propria causa, ma, piuttosto, poiché si pensa le loro morti-sacrificio sarebbero state rifrasate e loro sarebbero stati ricordati come ragazzi fragili, inadatti alla durezza della vita senza alcuna possibilità di controbattuta. Una ragazza poi si alza e decisa afferma: “Dobbiamo dimenticarli; loro non esistono per noi; noi non abbiamo un passato ma solo un futuro. Dobbiamo crearci le nostre radici a partire da questo momento, da un qui e ora. Fanculo Leonardo e fanculo Sartre, Heidegger, Kant, Camus o Dostoevskij. Mi presento: io sono Jane Austen.” Seguono attimi di silenzio, come quelli che accompagnano un bombardamento, poi una risata, unanime, corale, fragorosa. Allora un ultimo ragazzo si alza, abbassa le spalle e spinge in fuori il petto per prendere un bel respiro. “Dobbiamo intraprendere una rivoluzione attraverso i nostri corpi. Sarà una rivoluzione di costume, sessuale che va contro a tutto quello che ci è stato imposto. Sarà un bordello ma rivoltoso.” Anche questa volta seguono momenti di silenzio, attimi di stupore e preparazione alla reazione che è, anche questa volta, unanime: uno scroscio di applausi proviene dal gruppo che inizia subito a togliersi i vestiti di dosso e a toccare il compagno vicino.
I successivi sono mesi di orge, orgasmi, rapporti notturni e diurni, spersi nei prati erbosi o consumati nei letti, sotto i letti, sui tetti. Si cerca ogni giorno di essere più innovativi e trasgressivi del precedente e il kamasutra o altri manuali erotici ormai non hanno più utilità perché già stati sperimentati da cima a fondo.
È la fine del 1969 quando una ragazza decide di porsi al centro del giardino della grande casa, nuda. I compagni intorno, nudi anch’essi, si masturbano mentre lei pratica una danza scoordinata, passi a ritmo dei suoni della natura che improvvisa sul momento: un’irrazionalità corporale. Poi lungo il vialetto appare una figura, una massa di figure anzi. Prima indistinte ora si riconoscono: sono persone provenienti da Laggiù. Incuriosite e affascinate, stanno a distanza dall’alto della piccola altura da cui scende il sentiero di ghiaia. Come un’aquila con la sua preda, hanno tutto il campo visivo per loro, lo posseggono e non si immergono in esso perché questo avrebbe comportato un decadimento del loro status. Preferiscono osservare e godere della prigione di schiavi sessuali che governano a colpi di palpebre: il Bordello Sessantottino.
Note:
- Andy Warhol, Blue Movie, Stati Uniti, 1969
- Violette Leduc, Thérèse e Isabelle, Francia, 1954. Il libro venne per la prima volta pubblicato nel 1966 a causa della censura che lo colpì.
- Si veda a esempio Antonioni e i suoi lavori sull’alienazione contemporanea (Da “Il Grido” (1957) a “Deserto Rosso” (1964), Antonioni affronta queste tematiche sullo schermo in modo innovativo e poetico per buona parte degli anni sessanta) oppure la nascita della commedia all’italiana come risposta satirica a un capitalismo sfrenato e totalizzante.
- Maurice Merleau-Ponty (1908) nasce a Rochefort e si impone, con i suoi scritti saggistici, come uno dei maggiori esponenti della fenomenologia francese. Si farà particolare riferimento per la scrittura di questo scritto alla sua pubblicazione del 1945, “Fenomenologia della Percezione” (Phénoménologie de la perception).
- Si fa riferimento alla distinzione leopardiana tra termini e parole per cui i primi, derivanti dall’esattezza e dal rigore cogitativo-positivistico, annullano il piacere poetante contenuto nell’allusività e nella polisemia linguistica. A questo proposito si faccia riferimento a Giacomo Leopardi, Zibaldone, 28 settembre 1821.
- Maurice Merleau-Ponty, Fenomenologia della Percezione, 1945, pp. 225.
- ivi., pp. 223.
- Il corpo e la contemporaneità sarà argomento dell’articolo successivo a quello in questione. Se ne raccomanda, dunque, la lettura nel caso si fosse interessati a un approfondimento ulteriore.
- Maurice Merleau-Ponty, Fenomenologia della Percezione, 1945, pp. 235
- Jacques Lacan (1901) nasce a Parigi affermandosi come psicanalista e filosofo di rilievo sulla scena culturale mondiale. Per il nostro scritto, si faccia riferimento al “Seminario I & II” rispettivamente del 1953-54 e 1954-55.
- Intervento svoltosi presso la prima giornata del convegno “(Bio)politica, eros e verità nell’ultimo romanzo di Pier Paolo Pasolini” [(bio)politique, éros et vérité dans le dernier roman de Pier Paolo Pasolini] tenutasi il 5 ottobre 2017 presso l’Université Paris-Sorbonne.
- Pier Paolo Pasolini, Petrolio, Roma, 1992 (prima pubblicazione postuma).
- Citazione tratta dall’intervento di Davide Luglio durante il convegno “(Bio)politica, eros e verità nell’ultimo romanzo di Pier Paolo Pasolini” [(bio)politique, éros et vérité dans le dernier roman de Pier Paolo Pasolini] tenutasi il 5 ottobre 2017 presso l’Université Paris-Sorbonne.