Nel cuore di Torino, in via Principe Tommaso 5, proprio oltre il Mercato Madama Cristina, vi aspetta il cinema teatro Maffei, un pezzo di storia nascosto da un’insegna retrò e una facciata modesta rispetto a quelle degli innumerevoli locali notturni che, negli ultimi anni, hanno cominciato ad animare le notti del quartiere di San Salvario.
Del segno zodiacale del Toro si dice che sia testardo: così anche il Maffei, che affonda le radici nella città del toro e nella sua Storia, continua caparbiamente a rinascere dalle proprie ceneri. Aperto nel 1908, diventa teatro di varietà e poi uno dei cinema a luci rosse più famosi della città. A inizio 2022, in un’epoca in cui a tutti piace gridare alla morte del cinema (il teatro è già sepolto da un pezzo), non si arrende e celebra l’inizio della sua quarta vita. Sembra quasi che il Maffei voglia nutrirsi dello spirito rigeneratore di casa sua, “Sansa”, zona in cui, fino a vent’anni fa, i vostri genitori non avrebbero mai voluto farvi girare di notte e che ora è il centro della movida liceale.
Arrivo al Maffei verso le undici e mezza di un tiepido giovedì marzolino e vengo accolta dalla sua direttrice artistica, Viren Beltramo, attrice e regista per il teatro e il cinema, che ha gentilmente accettato di incontrarmi per la seguente intervista.
Q. Innanzitutto, vorrei che raccontassi un po’ ai nostri lettori la storia di Maffei.
Il teatro Maffei mi ha attratta molto proprio perché ha queste rinnovate vite, iniziate nel 1908. Era uno dei teatri più rinomati della città ed è stata la sede di Isa Bluette, una vera e propria diva dell’epoca, alla quale abbiamo dedicato la sala, perché è una delle tante artiste dimenticate che, in realtà, hanno fatto la storia culturale e artistica della nostra città. Fra l’altro, da quello che ci riportano le fonti, ebbe una vita particolarmente interessante: era un’operaia di Regio Parco con il sogno di diventare un’attrice. Non solo riuscì a diventarlo, ma fu una diva, il che vuol dire che muoveva le masse. Le persone venivano da tutt’Italia per raggiungerla, tant’è che si dice che abbia avviato lei al palcoscenico persone come Totò e Macario.
Nel 1942, un grave bombardamento ha polverizzato questa zona e nel 1952 la compagnia di Ferrero, di cui
Macario faceva parte, riapre questo posto come grandissimo teatro di varietà. Quest’autunno ho anche avuto la fortuna di conoscere una delle due soubrettes che negli anni Cinquanta e Sessanta erano le dive del Maffei, le sorelle Zavattaro. Wilma Zavattaro è ancora viva, vive a Porta Palazzo e l’ho incontrata, appunto, questo autunno. Ci ha fatto vedere tutte le fotografie che la ritraevano in questo spazio quand’era ancora un teatro: dove adesso c’è il palcoscenico, c’era la fossa dell’orchestra con la passerella, dove lei raccontava di passare e tirare i calci in testa agli orchestrali [ride]. Era bello vedere come la sala si popolasse all’ennesima potenza. Abbiamo letto che raggiungeva fino a milleduecento spettatori e, in più, era uno dei rari luoghi in cui si mescolavano persone di ogni classe sociale, dagli Agnelli agli operai, tutti insieme a trascorrere un momento di spensieratezza e intrattenimento.
Poi, nel ‘67 ha chiuso il teatro di varietà e ha riaperto nel ‘76 il cinema a luci rosse, di cui si sente più parlare, che ha poi chiuso nel 2020: sono praticamente trent’anni di paralisi dal punto di vista strutturale, nel senso che, ovviamente, facendo cinema porno non era interesse della gestione investire nella struttura. Da un certo punto di vista, io dico sempre che hanno fatto un’opera di conservazione straordinaria, però, invece, dall’altra parte, adesso ci troviamo a confrontarci con le regolamentazioni, che sono ovviamente cambiate nel corso degli anni, e con una struttura molto affascinante, ma allo stesso tempo piena di criticità. Il lavoro per noi è veramente impegnativo, anche proprio nella ricerca di quali possono essere i fondi che manterranno Maffei fisicamente in piedi da qui in avanti.
Q. Come dicevi, la fase pornografica è forse quella più conosciuta del Maffei. Ad oggi avete ancora richiesta di questo tipo dal pubblico?
È affascinante sapere che il cinema porno, nonostante la pornografia on-line, abbia ancora un suo pubblico. Noi siamo testimoni di questa cosa perché, mentre lavoriamo qua la mattina, durante il giorno puntualmente un tot. di signori ci approcciano, entrano e chiedono quando sarà la prossima proiezione. Stiamo anche immaginando nella nostra programmazione una proposta alternativa, che possa in qualche modo soddisfare questa necessità di, se vogliamo, “condivisione di un’esperienza”. Evidentemente cercano quello, altrimenti lo farebbero a casa propria. A noi interessa molto tutto quello che riguarda la sessualità, in termini di libertà, di inclusione concreta, di dialogo con la diversità in tutti i suoi aspetti, anche fisici. Da noi Giulia Guasco ha creato un format che si chiama “Scream Queers”, nato in collaborazione con due festival cittadini molto belli, il TOHorror Fantastic Film Festival e il Fish&Chips Film Festival, per unire il discorso del cinema queer e dell’horror e anche per scardinare un po’ certi cliché e tabù, per confrontarsi con queste tematiche che sono proprio fondanti della missione di Maffei.
Q. Il pubblico del porno odierno, tra l’altro, è completamente diverso da quello degli anni ’70. Ad esempio, ci sono molte più donne.
[Il cinema porno oggi] ha proprio completamente un altro tipo di funzione. Chissà se poi riusciremo a fondere i due flussi? Sarebbe bello.
Q. Mi chiedevo anche se Maffei, come altri cinema porno dell’epoca, abbia approfittato del controllo meno stretto della censura per proiettare film d’autore meno mainstream, i cosiddetti “film d’arte”.
Le pellicole che abbiamo trovato noi nel gabbiotto di proiezione, che abbiamo appeso qua e anche sotto, erano molto classiche e poco d’autore, da quello che intuisco. Però, ogni tanto qualcuno arriva, qualche vecchio artista torinese che mi dice: “Ah, ma forse sono venuto qui anni fa, ho fatto qualcosa”, quindi, probabilmente, in realtà c’era disponibilità ad accogliere iniziative (non so se programmate dalla gestione, ma quantomeno esterne) che venissero a portare dei contenuti alternativi.
Q. Tornando a quest’ultima apertura, come e a chi è venuta la (pazza?) idea di riaprire Maffei?
Il Maffei ha riaperto a febbraio 2022 e l’idea è partita da Stefano Francia di Celle [il direttore del Torino Film Festival, ndA] e Maurizio Pisani [il direttore del SEEYOUSOUND International Music Film Festival, ndA]. Stefano io non l’ho conosciuto, invece Maurizio è stato per un periodo, fino a dicembre, Presidente dell’associazione ed è tuttora membro del direttivo e motore di questo progetto.
Da quello che so, l’idea è stata di proporre una riapertura abbastanza generale dei cinema porno di Torino in chiave culturale, come fosse una sorta di movimento. Per quanto riguarda Maffei, all’inizio hanno aderito tante persone che, poi, in realtà non ci sono più e sono andate via abbastanza in fretta: un conto è un progetto nel suo ideale, e un conto è la realtà. La realtà di un posto del genere, che è di natura privata, perché ha una proprietà a cui bisogna pagare affitto, spese, bollette, e che, come ti ho detto. non è stata concepita per nessun tipo di risparmio. Il nostro riscaldamento costa un’infinità, è vecchissimo, dobbiamo cambiarlo e facciamo pure stare un po’ al freddo le persone, per quanto adesso siamo già riusciti a riaccendere (ed è stato un miracolo). Però è tutto così. Io la chiamo “la Vecchia Signora”, perché ogni cosa richiede una cura giornaliera e costante, che capisco possa far desistere la maggior parte delle persone. Io ho deciso follemente di dedicarle totalmente le mie energie per quest’anno della mia vita, sperando che sia un investimento che porterà a Maffei quello che spero.
Q. Il Comune e le istituzioni vi aiutano? In quanto cinema indipendente dalle grandi catene e associazione culturale di rivalutazione di uno spazio storico, poiché la storia del Maffei, come abbiamo detto, ha più di cent’anni.
Anche lì la situazione è molto complessa. Noi abbiamo scelto come identità di essere un circolo Arci: uno, perché ci si identifica, come direttivo, nelle linee guida di questo tipo di associazionismo; due, perché ci permette di gestire meglio, avere un accompagnamento in alcuni aspetti e far parte di una rete che fa quello che ci interessa. Allo stesso tempo, però, questo ci preclude delle possibilità, perché non vengono dati gli stessi mezzi e strumenti di, per esempio, una sala cinematografica. Noi non possiamo proprio attingere a tutta una serie di fondi per strutture culturali. Abbiamo voluto la natura associativa perché vogliamo che questo posto corrisponda il più possibile alla collettività, ci si possa approdare facilmente e anche contribuire. Troviamo continuamente persone, giovani e meno giovani, che vengono e sanno di poter trovare uno spazio di confronto anche con l’assemblea dello staff e con le persone che abitano qui e che generano la nostra programmazione culturale.
Cerchiamo di mettere in atto parole che vengono tanto usate nei bandi e nei discorsi, tipo “inclusione”: ma poi, che cosa vuol dire questa benedetta inclusione? Come la si fa? Per quanto riguarda la mia direzione artistica, la faccio così: offrendo uno spazio, strumenti e motivi di confronto reali – e anche di sperimentazione. Ovviamente, ci sono persone, come me e il direttivo, che hanno più esperienza e possono magari prendere dei rischi, fino a un certo punto, però, allo stesso tempo, a me piace proprio l’idea che questo sia un generatore di vita e di azione culturale. Questa è una cosa che trova fondi dal punto di vista della programmazione. Non abbiamo ancora intercettato granché dei fondi ministeriali e istituzionali che possano tener su una struttura del genere come si dovrebbe, quindi, dobbiamo prendere un pezzettino di qua e un pezzettino di là.
Ad esempio, siamo contenti di aver vinto il bando REACT emesso dal Comune in rete con tante altre realtà del territorio, ma il problema è che tutti i bandi a cui possiamo ambire hanno lo scopo di sovvenzionare la programmazione. Bene, noi paghiamo la programmazione, però se non facciamo dei lavori strutturali qua dentro, ad un certo punto dovremo chiudere. Cambiano le normative: finché era cinema porno, l’impianto Sprinkler non era necessario, poi sono cambiate man mano le leggi e bisogna adeguarsi in qualche modo.
Q. Quindi neanche i bonus emessi dopo la pandemia, tipo il bonus ristrutturazione, aiutano?
La realtà di Maffei è che si tratta di uno spazio privato, quindi capisco che le istituzioni non possono decidere di dare dei soldi a un privato. Questo è il bene di una persona che fa parte del direttivo e ha deciso di sostenere il progetto ancora per un po’. Se noi ce la facciamo, non lo vende, se non ce la facciamo, diventerà un posteggio. Quindi, tutto quello che abbiamo raccontato, che è tanto romantico, è tanto bello e piace a tutti, scompare così. E sarebbe un peccato per tutta la città, non solo per noi che ci abbiamo dedicato i nostri anni di vita.
A mio avviso, una struttura come questa, con la storia che si porta dietro, che non trovi un’istituzione che se la prenda a carico è un po’ un peccato. Noi stiamo cercando di interagire, stiamo facendo tutti i bandi che possiamo. Ogni tanto li vinciamo, ogni tanto no, come qualsiasi altra associazione. I beni culturali mi piacerebbe interessarli, onestamente, ma non sono ancora riuscita con le nostre forze ad andare a bussare alla porta…
Q. A proposito, tu personalmente come ti sei avvicinata a Maffei?
Come ho detto anche in un’altra occasione, non mi piace molto chi dice “ci sono arrivata per caso”, anche se è vero che io ci sono arrivata per caso.
Noi abbiamo una scuola di teatro [la compagnia GenoveseBeltramo, fondata nel 2008 insieme a Savino Genovese, ndA] che da quindici anni ci regala grandissime soddisfazioni e intercetta persone dai sedici ai novant’anni, che lavorano tutti insieme e vanno in scena tre volte all’anno. Insomma, abbiamo tutta una nostra modalità che ha creato una sorta di comunità di persone. Ad un certo punto, Covid, non Covid e tutti i problemi che abbiamo avuto tutti noi del settore negli ultimi due anni, ci siamo ritrovati senza uno spazio per poter presentare gli spettacoli di fine modulo. Sapevo della nascita del Maffei, per cui siamo venuti qua e lo abbiamo chiesto in affitto, abbiamo abitato questo spazio per due giorni. Quando ci siamo entrati, abbiamo scoperto un tesoro nascosto: quando passi qua davanti non hai la più pallida idea di che cosa ci sia dentro, poi scendi di due piani. Siamo rimasti abbastanza abbagliati da quello che abbiamo trovato e dalle due persone che ci hanno accolto e con le quali subito ci siamo trovati molto bene. È iniziato con loro un dialogo, un’amicizia, un interesse reciproco e abbiamo capito che ci stavamo trovando tutti e quattro in un momento di grande solitudine e allo stesso tempo, però, con questo bacino di gente pronta a godere della nostra offerta culturale e artistica. Quindi, abbiamo deciso di unire le forze e siamo stati invitati a diventare la compagnia residente a partire da giugno.
Conoscendoci, frequentandoci e capendo quali fossero le necessità di questo spazio abbiamo capito che c’era bisogno che una persona si assumesse la responsabilità di tirare le fila, perché anche se noi cerchiamo sempre di fare le cose in modo molto trasversale, serviva qualcuno che in qualche modo – e io sono portata per natura a farlo, o perché sono una regista, ma probabilmente anche per carattere – potesse dare un punto fermo, essere un po’ uno scudo per tutto, un punto di riferimento a cui tutto può approdare. È una cosa che io ho imparato a fare nella mia vita: prendo i colpi e riesco in qualche modo a sopravvivere. Mi sono innamorata di questo spazio e delle persone che lo abitavano e mi sono messa a servizio di questo progetto.
A questo punto, Viren e io ci alziamo e cominciamo ad esplorare il cineteatro, mentre lei mi spiega come hanno deciso di organizzarne lo spazio, in modo da sviluppare tutta la struttura nella sua completezza. Nel foyer di ingresso c’è un punto di somministrazione e un piccolo palco con un service dedicato, dove fanno i live musicali (e ogni tanto monologhi, proiezioni, talk, masterclass). Da aprile, questo spazio diventerà anche aula studio tre giorni a settimana. Scendendo, troviamo l’ammezzato, dove l’appuntamento fisso il venerdì sera è “La notte indiana”, una sorta di dj set curato da Indianizer. Qua, appese al muro, ci sono le pizze dei film proiettati negli anni ’70, dentro le quali Viren ha trovato anche i fogli della censura, su cui sono indicate le scene da “alleggerire”.
Scendendo ancora, poi, arriviamo nella sala Isa Bluette, che ha 190 posti e una serie di caratteristiche che Viren ama particolarmente, come la pianta circolare, una chicca di ingegneria acustica. «A me piacciono molto anche i colori», mi dice, il celeste delle pareti e l’arancione dei sedili «che non stiamo dipingendo sempre per i discorsi di cui sopra, ma in realtà anche perché decidere di cambiare natura onestamente non mi piacerebbe. Questo stile ci ricorda tutta la sua storia». Sul soffitto, il disegno finirebbe un po’ più in là, oltre quello che ora è il muro con il telo di proiezione, ma che, in realtà, nasconde il teatro del ’52, tuttora esistente. Andandovi dietro, ci sono due piani interi di camerini fermi nel tempo, con i poster ancora appiccicati, le scritte e i fondali.
In generale, tutta la sala dà l’impressione di fare un viaggio indietro nel tempo attraverso le varie vite del Maffei. Anche le poltrone, pur essendo state sostituite alla riapertura, mantengono lo stile degli anni di gloria del teatro e, nel corridoio che attraversiamo per tornare nel foyer, si trovano ancora scritte e graffiti degli avventori dell’epoca a luci rosse. «Fra i nostri obiettivi c’è anche quello di renderlo più accessibile, perché per ora abbiamo il minimo per legge, il montascale, ma avrebbe senso migliorarlo, anche per la natura che ci proponiamo di essere».
Q. Il Maffei è parte di Torino, ma come partecipa Torino alla sua vita e ai suoi faticosi miracoli, anche dal punto di vista istituzionale?
Il comune fa tutto quello che può, ma può arrivare solo fino ad un certo punto: fa questi bandi e noi partecipiamo. Poi Torino è una città molto fertile. I movimenti underground, musicali, teatrali e cinematografici torinesi sono sempre molto accesi (soprattutto musica e cinema, il teatro fatica tanto, tranne un paio di occasioni). Diciamo che è una forma mentis torinese quella del tirarsi su le maniche, partire dal piccolo, unirsi e cercare di fare le cose: io la sento come caratteristica della città, sarà per la natura anche operaia o per il fatto che siamo di frontiera, quindi siamo abituati a interagire con altri. Non so quali siano le motivazioni, però io, fra il mondo che ho visto, ho scelto di investire in questa città, in questo territorio qui, perché me ne dà la possibilità. Sento (per il momento, poi magari fra due giorni cambio idea) che sia possibile farlo. Anche il pubblico risponde: ovviamente, dipende dagli eventi, però ci sono tante persone che hanno sete di partecipare a questo tipo di vita culturale, non solo al nostro spazio, basta vedere la risposta ai festival cittadini.
A me piace questa caratteristica di Torino, che non è glam, cioè, non gliene frega niente, un po’ forse perché siamo snob o integralisti, però, allo stesso tempo, andiamo proprio a godere di quello che viene proposto e non c’è la caciara modaiola intorno. Io mi trovo a mio agio in questa cosa qua. Forse, anche per il fatto che non ci sono tante risorse su ‘sto territorio, almeno ci ascoltano e io non mi posso lamentare. Non sono nessuno e con il minimo sforzo riesco, bene o male, ad arrivare a tutti quelli che mi possono dare delle risposte. Che poi la risposta è sempre “non ci sono soldi” è un altro discorso, ma perlomeno ci riesco a parlare e mi sento ascoltata.
Q. È una frase fatta, però è anche un po’ vero: l’unione fa la forza. O quantomeno crea qualcosa di interessante.
Io sono per l’unione, infatti la prima cosa che ho fatto quando sono arrivata è stata unire musica, teatro e cinema, farli dialogare il più possibile, programmarli in maniera scombinata e continua.
All’estero, i Paesi virtuosi sono più avanti da quel punto di vista, mentre uno dei vizi dell’Italia è proprio quello di chiudersi nel proprio sistema. Ad un certo punto ti inaridisci se non tieni le porte aperte, anche proprio per il piacere di mettersi in discussione, di prendere magari ciò in cui la musica ha fatto quattro passi in più del teatro. Capiamo come mai, poniamoci delle domande.
Q. Tanto alla fine di solito ci si capisce: i problemi sono gli stessi, gli obiettivi sono gli stessi, i sogni anche.
E poi a me piace. La sfida è quella di allenare il pubblico, perché gli è stato insegnato che se vai al cinema, vai al cinema e basta, se vai a un concerto, ascolti quello e basta, teatro idem. Invece, qua facciamo questa cosa strana del “ti vieni a vedere un film, poi ti ascolti una discussione, poi balli”. Facciamo un po’ di intrecci: magari tu vieni qua attratto dal tema di un film e scopri che quel tema è stato sviluppato con altri linguaggi, in maniera da darti un ventaglio ancora più completo di possibilità e da farti interrogare su quello che ti ha ti ha spinto a vedere quel film.
Q. Quella famosa “interdisciplinarità” di cui piace parlare nei programmi scolastici, ma che poi non viene mai applicata, né a scuola e men che meno nella vita reale.
Esatto.
Q. Fate anche conferenze?
Sì, ogni tanto interventi ne facciamo, più che conferenze. Ci piace sempre che il pubblico possa veramente interagire, fare domande, dire la propria. Ci sono state tante occasioni anche molto emozionanti su temi completamente diversi l’uno dall’altro, ma che hanno mosso le persone proprio a intervenire e questa è la cosa che ci interessa di più che fare. Non vogliamo essere vetrina di un cazzo di nessuno, chiunque esso sia. Anche a breve avremo queste due meravigliose creature che sono Marina Piperno e Luigi Faccini, a cui dedicheremo una tre giorni, perché vengono a presentare il libro di Marina. Faremo una presentazione di diversi loro film e ho voluto coinvolgere tutte le associazioni e le realtà che si occupano di cinema a Torino, creare una grande cordata, invitando per ogni film un tot di relatori. Spero che gli studenti possano venire e “spremerli” proprio. Io mi auguro che lo faranno perché anche persone come Marina e Luigi dicono spesso “ovviamente veniamo per parlare ed essere ascoltati, ma anche per ascoltare”.
Q. Certo, altrimenti, quando la cultura è solo unidirezionale, diventa indottrinamento. Ti chiedo, allora, se ci sono delle prossime attività di Maffei che ti piacerebbe particolarmente segnalare ai nostri lettori.
Abbiamo attività tutti i giorni, dal giovedì alla domenica. Ovviamente, essendo un circolo Arci la tessera è indispensabile per entrare e vedere la nostra programmazione. La cosa più eclatante in assoluto è questa tre giorni Piperno: la facciamo dal 14 al 16 aprile con l’Associazione Museo Nazionale del Cinema, Archivio Cinematografico della Resistenza, Polo del Novecento e saranno presenti Umberto Mosca, Bruno Maida, Carlo Griseri, Vittorio Sclaverani e Paola Olivetti. Poi, abbiamo una prima torinese di uno spettacolo che si chiama Grazie dei fiori con Orlando Manfredi e Luca Occelli di Santibriganti Teatro, il 21 di aprile. Per il 25 aprile abbiamo di nuovo questa sinergia con l’Archivio Cinematografico della Resistenza e faremo un omaggio a Liliana Cavani il 24 e uno il 25 a Nadia Pizzuti, che si chiama Stella nelle mie stanze. Poi il 27 l’appuntamento mensile con “Scream Queers” e il 29 ci sarà un altro debutto torinese di Jacopo Tealdi, che fa uno spettacolo per adulti tutto con le mani. Comunque, la nostra programmazione è sempre disponibile sulle pagine Instagram e Facebook, sui due manifesti appesi fuori, che stanno su tutto il mese, e poi ovviamente online.
Quest’intervista ha subito un processo di editing per facilitarne la lettura.
Titolo
Nata a Bologna nel lontano 2002, ha girato l’Italia (e, per dieci mesi, la Corea del Sud) prima di approdare al DAMS dell’Università di Torino. Generalmente è la meno socievole del gruppo – ha madre ligure e padre francese – e per L’Eclisse fa l’uccello del malaugurio. La sua ossessione principale è il cinema (per farla apparire basta dire davanti allo specchio “Martin Scorsese” otto volte e mezzo), ma è abbastanza eclettica: le sue ultime celebrity crushes includono Orson Welles, Magnus Carlsen, Farinata degli Uberti e Paul McCartney nel ’66. Ha tre gatti e molti dubbi.