«Sosteneva, fra l’altro, che le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia d’un unico motivo, d’una causa al singolare: ma sono come un vortice verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di cause convergenti. Diceva anche nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo»
Citazione da Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, Carlo Emilio Gadda.
Il 21 maggio 1973, nella periferia di Roma, si spegneva all’età di ottant’anni uno dei più ammirati e discussi scrittori del Novecento italiano: Carlo Emilio Gadda. Autore originale e inconfondibile, ciò che rende peculiare la sua carriera è che egli non si sia mai formato per diventare uno scrittore. Al contrario, la sua biografia è il racconto di un percorso esistenziale segnato da una lacerante dialettica tra poli opposti: obbligo e desiderio, dovere e vocazione. In effetti, prima di dare completamente ascolto alla propria sensibilità, per lungo tempo Gadda ha intrapreso, con profonda amarezza, un percorso antitetico: prima gli studi scientifici, poi la professione d’ingegnere e, infine, il docente di matematica e fisica. Di conseguenza, la carriera di Gadda scrittore comincia a tutti gli effetti all’età di quarant’anni, quando trovò il coraggio di abbandonare definitivamente il suo impiego e avviare una carriera nell’ambito editoriale.
Dunque, per quale motivo il contributo di Gadda è considerato prezioso per la letteratura italiana? Una delle ragioni principali è sicuramente la sua capacità di rappresentare il mondo attraverso un espediente originale: la stratificazione e l’estensione linguistica. Egli, infatti, è il trait d’union tra il linguaggio della tradizione, con la quale si confronta continuamente (in particolare con lo stile di Manzoni, autore particolarmente apprezzato da Gadda) e il linguaggio dell’epoca moderna, che tenta continuamente di sperimentare. Chiunque abbia voglia di addentrarsi nella poetica gaddiana, si troverà davanti a una e vera propria enciclopedia delle lingue, dove ogni tipo di lessico e registro viene esplorato, sviluppato e valorizzato. Le sue opere sono un accostamento costante tra il registro medio-alto, con termini aulici, tecnici e settoriali – degni di chi conosce bene le scienze tecniche – e il registro informale, con le diverse forme dialettali. Questa scelta non ha pura finalità estetica ed espressiva; ma, per comprenderla fino in fondo, bisogna considerarne la portata storica, culturale ed etica. Secondo quanto dichiarato dall’autore stesso in un’intervista, Gadda inizia a scrivere l’opera che lo renderà celebre al grande pubblico, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, non appena venne a conoscenza della fine della Seconda Guerra Mondiale e della caduta del regime fascista. Come è noto, si tratta di un momento molto delicato: l’Italia e l’Europa devono prepararsi ad affrontare il periodo post bellico, denso di dubbi, inquietudini e timori. Davanti a questo clima contemporaneamente confortante e incerto, Gadda decide di scrivere un romanzo sperimentale giallo, ambientato a Roma nel 1927, proprio durante il regime fascista: il protagonista, l’investigatore molisano Ingravallo, indaga sul furto di gioielli e un omicidio compiuti nel giro di pochi giorni nel medesimo palazzo in via Merulana. L’intreccio è caratterizzato dalla trama fitta, intricata e di complicata risoluzione e, dunque, dalla conseguente impossibilità di approdare a una verità sicura, reale e oggettiva. Questa grande difficoltà è accentuata dalla molteplicità delle voci e dei punti di vista di coloro che circondano l’investigatore, la quale viene enfatizzata attraverso l’uso del dialetto, anzi, di molti dialetti: soprattutto del romanesco, ma anche del molisano, del fiorentino, del napoletano e del veneziano. Seguono alcuni estratti in dialetto tratti dal romanzo:
«Già in quer palazzo der ducentodicinnove nun ce staveno che signori grossi: quarche famija der generone: ma soprattutto signori novi de commercio, de quelli che un po’ d’anni avanti li chiamaveno ancora pescicani. Er il palazzo, poi, la gente der popolo lo chiamaveno er palazzo dell’oro.»
«Ci andate voi, Ingravallo, a via Merulana? Vedete nu poco. Na fesseria, m’hanno detto…e poi ̓o pasticcio ccà vicino. Fin a ̓ncoppa a ̓a capa, ve dico. Sicché faciteme ̓o favore, jàtece vuje.» «Jàmmoce» disse Ingravallo, e poi borbottò: «Jamecenne»
«Ah! Signor commissario» implorò la Menegazzi, «ci aiuti lei: lu ch’el pol giutarne. Maria Vergine. Una vedova! Sola in casa! Maria Vergine, che brutto mondo ch’el xe questo! Questi no i xe manco òmini, questi i xe diavoli! Anime de bruti diavoli che i ne torna indrìo da l’inferno…»
Questo pastiche linguistico, così stratificato, è la testimonianza di come la questione della lingua sia, in Italia, molto sentita da una grande schiera d’intellettuali tra gli anni Quaranta e Cinquanta. Durante la sua dittatura, Mussolini si era servito della censura – in ambito cinematografico, editoriale, musicale, eccetera – con lo scopo di controllare e manipolare ogni aspetto della vita dei cittadini: la lingua costituiva, infatti, il supporto del nazionalismo e dell’esaltazione dell’italianità che ne era la base ideologica. In questo contesto, essa era utilizzata esclusivamente come mezzo di propaganda bellica e politica ed era vietato non solo l’uso delle parole straniere nella lingua italiana, ma anche quello dei dialetti. Di conseguenza, Gadda sente il bisogno di dare voce alla diversità e alla varietà linguistica, a lungo soffocate, attraverso un avvicinamento alla realtà espressiva che, da sempre, caratterizza il nostro territorio.
Mi piace pensare a Quer pasticciaccio brutto de via Merulana come l’opera in grado di rappresentare il fine ultimo della letteratura, ma in generale dell’arte: la preservazione di ciò che ha valore, con la speranza di perpetuarlo nel corso del tempo. In questo caso, si tratta di tutelare l’identità di un territorio attraverso la trasmissione del suo codice linguistico. In effetti, c’è un’altra questione da considerare. Gadda impiegò più di una decina d’anni per terminare la stesura del proprio romanzo: esso, infatti, venne pubblicato nel 1957 per Garzanti. In quest’arco di tempo, nelle case di molti italiani, era subentrata una novità: il possesso di una televisione. Dagli anni Cinquanta la diffusione di questo mezzo di comunicazione crebbe notevolmente, tanto che sempre più italiani, se ancora non possedevano un televisore a causa del costo, s’incontravano nei bar o nelle case dei propri vicini per visioni di gruppo. Si tratta di una trasformazione di portata epocale, in quanto, inconsciamente, è stata determinante nel mutamento di abitudini, di idee e di punti di vista nel modo di vivere e nella visione del mondo degli italiani. Come in molti casi, cambiamento non sempre significa evoluzione e, al riguardo, diversi intellettuali furono in grado di cogliere l’aspetto negativo di tale novità: il rischio dell’omologazione e dell’uniformazione, non solo linguistica, ma anche culturale. A tale proposito, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana funziona perfettamente: Gadda, che aveva collaborato con la Rai per qualche anno prima di dimettersi nel 1950, era a conoscenza che la televisione avrebbe contribuito all’appiattimento delle differenze e delle peculiarità linguistiche prima esistenti, ma che ora rischiavano di essere soppiantate più facilmente e velocemente. Attraverso le sue opere, Gadda ci ricorda che il confronto continuo con la diversità è parte della vita di ogni essere umano: siamo diversi nel modo di comunicare, nel modo di vedere il mondo e nel modo d’interpretarlo. Gadda, in questo groviglio che è la vita umana, ci insegna che è proprio questa diversità a rendere impossibile l’uniformazione della realtà.
Come Gadda, anche altri protagonisti della nostra letteratura s’impegnano, nel corso del Novecento, a porgere l’attenzione sul dialetto, primo tra tutti Pier Paolo Pasolini, il quale vede in esso l’ultima sopravvivenza di ciò che ancora è puro e incontaminato e, come tale, merita di essere conservato. Pertanto, la soluzione del dialetto è molto raffinata: essa non è indice di uno sbassamento di tono ma, al contrario, una via d’uscita, un modo per fare letteratura senza arrestarsi alle soluzioni dell’italiano letterario. Ovviamente, un romanzo con queste caratteristiche è sicuramente complesso e di difficile lettura: l’approccio all’opera di Gadda richiede pazienza, calma e concentrazione. Non si tratta di uno scritto adatto per qualsiasi occasione: talvolta l’abbassamento e l’innalzamento linguistico possono diventare uno scoglio che rischia di rendere la lettura pesante e passiva. Ad ogni modo, posso assicurare che, una volta superato questo scoglio, ci si immerge in una composizione estremamente stimolante. Una complessità che diventa arte, dunque, quella di Carlo Emilio Gadda: ingegnere suo malgrado, che si trasforma in ingegnere del linguaggio; divenuto, tra contraddizioni e conflittualità, un grande della letteratura del Novecento.