Martedì 6 giugno l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA), il principale organo delle Nazioni Unite, sarà impegnato nell’elezione di cinque nuovi membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza (UNSC). In questo articolo proviamo a spiegare le dinamiche dietro questa elezione e qual è la posta in gioco.
Come funziona la votazione?
L’Assemblea Generale è composta da tutti i paesi ONU (193), i quali sono chiamati a votare ogni anno cinque dei dieci membri non permanenti per un mandato biennale. In questo caso, per il biennio 2024-2025. Per essere eletto, ogni Paese ha bisogno di due terzi dei voti dell’Assemblea, la quale voterà a scrutinio segreto.
I dieci membri non permanenti sono eletti secondo una regola di rotazione tra i blocchi regionali, ossia gruppi regionali geopolitici. I cinque posti di questa elezione sono così ripartiti: due per il Gruppo Africano, uno per il Gruppo Asia-Pacifico, un altro per il Gruppo America latina e Caraibi e un altro ancora per il Gruppo Europa orientale; mentre i loro candidati sono rispettivamente: Algeria e Sierra Leone, Tajikistan e Corea del Sud, Guyana, e Bielorussia e Slovenia.
Sono quindi proprio Tajikistan e Corea del Sud, e Bielorussia e Slovenia che dovranno contendersi il posto per ciascuno dei due blocchi. Molto probabilmente la posizione sulla guerra in Ucraina giocherà un ruolo fondamentale per l’elezione.
Cosa fa il Consiglio di Sicurezza e perché è importante
Il Consiglio di Sicurezza è l’organo delle Nazioni Unite a cui fu affidata “la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale” (articolo 24 dello Statuto delle Nazioni Unite) nel 1945. Inoltre, prende decisioni sostanziali (e quindi non procedurali), ossia misure dirette per la risoluzione di conflitti. Il suo ruolo all’interno dell’ONU è quindi fondamentale e soprattutto “privilegiato”: se le risoluzioni dell’Assemblea Generale sono spesso tacciate di essere quasi “inutili” per via della loro natura non vincolante, gli atti del Consiglio di Sicurezza possono anche essere atti vincolanti per gli Stati membri. Queste decisioni, soprattutto le misure non implicanti l’uso della forza, come interruzioni di rapporti diplomatici o embarghi e le misure implicanti l’uso della forza, sono quindi strumenti decisamente importanti per quanto riguarda il mantenimento dello stato di diritto nel mondo e il rispetto del diritto internazionale.
Le misure implicanti l’uso della forza, infatti, sono utilizzate come azioni di intervento internazionale contro uno Stato colpevole di aggressione, di minaccia della pace o in uno Stato in guerra civile (articolo 42 dello Statuto).
Per l’approvazione delle misure sostanziali – quelle più decisive – è necessario il voto positivo di nove membri e l’assenza del veto di anche solo uno dei membri permanenti. La composizione del Consiglio e le posizioni politiche dei paesi sono quindi cruciali per le decisioni in materia di diritto internazionale. È proprio per questo motivo che la posizione dei paesi che si contendono il posto sull’invasione russa dell’Ucraina giocherà un ruolo centrale nella loro (non) elezione.
La sfida dell’Asia-Pacifico
Il Tajikistan è una repubblica presidenziale dal 1991, anno di indipendenza dall’URSS, la cui presidenza è da più di vent’anni nelle mani di Enomali Rahmon. Nel 2016 è stato approvato un referendum costituzionale che consente al presidente di essere rieletto per un nuovo mandato senza alcun tipo di restrizione temporale. L’ONG Human Rights Watch considera il regime di Rahmon come una dittatura, date le innumerevoli incarcerazioni di dissidenti politici e le forti repressioni sulla libertà religiosa e di espressione.
Il Tajikistan, come molti degli altri paesi del blocco ex-sovietico dell’Asia centrale, si trova in una posizione ambivalente circa la guerra in Ucraina: da una parte nessuno di loro ufficialmente appoggia l’invasione ucraina, dall’altra però, nessuno l’ha mai apertamente condannata. Questo perché storicamente sono sempre stati legati alla Russia – culturalmente e geopoliticamente – ma allo stesso tempo temono sanzioni internazionali soprattutto dal blocco occidentale.
Proprio per queste ragioni, il Tajikistan si è astenuto nella votazione della risoluzione ES-11/4 dell’Assemblea Generale dell’aprile 2022, la quale dichiarava che i referendum tenuti nelle regioni del Donetsk, Kherson, Luhansk e Zaporizhia Oblast furono condotti in circostanze non riconosciute dalla comunità internazionale, così come la loro annessione, considerata illegale e invalida secondo il diritto internazionale.
Il Ministro degli Affari Esteri dell’Ucraina Kuleba ha richiamato l’attenzione internazionale sulla partecipazione del Tajikistan (insieme ad altre repubbliche ex-sovietiche) all’evento del 9 maggio per l’anniversario della vittoria sul nazismo a Mosca insieme a Putin.
Dall’altro canto, la Corea del Sud ha condannato l’invasione russa (votando anche a favore la risoluzione ES-11/4) e aiuta attivamente l’Ucraina attraverso assistenza economica e umanitaria. Il 19 marzo il presidente Yoon Suk Yeol, in un’intervista a Reuters, ha dichiarato la possibilità di un’ulteriore apertura coreana nei confronti dell’Ucraina attraverso l’invio di armi. Ha infatti dichiarato a poche settimane dalla sua visita a Biden negli USA che “se c’è una situazione che la comunità internazionale non può tollerare, come un attacco su larga scala contro i civili, un massacro o una grave violazione delle leggi di guerra, potrebbe essere difficile per noi insistere solo sul sostegno umanitario o finanziario”.
I due paesi hanno quindi – e hanno sempre avuto dal febbraio 2020 – diverse posizioni sul conflitto in Ucraina. Ci troviamo quindi davanti a una situazione in cui, se gli Stati membri dovessero votare a seconda del loro appoggio o meno all’invasione russa, potremmo vedere la Corea del Sud uscire trionfante e aggiudicarsi il biennio 2024-2025 al Consiglio di Sicurezza.
Bielorussia vs. Slovenia
La situazione tra Bielorussia e Slovenia è analoga a quella dei paesi dell’Asia-Pacifico. Anche qui ci troviamo davanti a due paesi diversi.
La Bielorussia, anch’essa ex repubblica sovietica, si è sempre dimostrata favorevole all’invasione russa dell’Ucraina. Già a febbraio 2020, il presidente Lukashenko ha offerto il territorio bielorusso alle forze russe in vista dell’inizio delle operazioni. I due paesi sono legati dal 1996 dal Trattato di Unione di Russia e Bielorussia, con l’intento di ricreare un’intesa sul modello sovietico.
La posizione della Bielorussia è quindi molto chiara a tutti i paesi del mondo, ma soprattutto a quelli dell’Unione Europea. Infatti, l’UE ha condannato il coinvolgimento della Bielorussia nell’invasione russa e non riconosce come libere e regolari le elezioni dell’agosto 2020 che hanno visto come vincitore il presidente Aleksandr Lukashenko per il sesto mandato. Il 2 marzo 2022, in un comunicato stampa, Josep Borrell (l’alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza) ha dichiarato “il prezzo che la Bielorussia dovrà pagare per il suo coinvolgimento nell’aggressione militare non provocata e ingiustificata della Russia nei confronti dell’Ucraina sarà alto. Con queste misure stiamo prendendo di mira coloro che in Bielorussia sono complici degli attacchi nei confronti dell’Ucraina e stiamo limitando gli scambi in una serie di settori chiave”. L’Unione Europea ha infatti imposto misure restrittive nei confronti di altre 22 persone, membri di alto livello del personale militare bielorusso.
Se le posizioni della Bielorussia in merito alla guerra sono affini al Cremlino, quelle della Slovenia no. Il premier Golob ha sottolineato la volontà di collaborare nella ricostruzione dell’Ucraina dopo la fine della guerra. A marzo, il premier si era recato a Bucha per l’anniversario della liberazione della città. Inoltre, la Slovenia è entrata nel gruppo di paesi favorevoli all’istituzione di un Tribunale Speciale per perseguire i crimini russi in territorio ucraino, già sostenuto dalla Commissione Europea e dagli Stati Uniti. Sono proprio quest’ultimi, infatti, ad aver avallato la candidatura della Slovenia al Consiglio di Sicurezza. Un endorsement degli USA, uno dei 5 membri permanenti (o P5) sicuramente mette in buona luce il Paese europeo, soprattutto nei confronti degli alleati americani. Il Segretario di Stato statunitense Anthony Blinken ha infatti commentato così la candidatura della Slovenia “una voce credibile nel contribuire al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale”.
E gli altri paesi?
Per quanto riguarda gli altri tre paesi (Guyana, Sierra Leone e Algeria), il cui posto è assicurato, non ci troviamo davanti a situazioni politiche facili.
La Guyana, un’ex colonia inglese indipendente dal 1966, è l’unico Paese anglofono del Sud America. Circa un terzo della popolazione vive sotto la soglia della povertà, ciononostante il Paese vanta uno dei PIL più in crescita del Sud America. Recentemente, la multinazionale petrolifera Exxon ha scoperto delle fonti di petrolio. Nel 2019 è infatti iniziata la trivellazione nei depositi off-shore, creando grande interesse internazionale nella zona, che in questo momento vanta quantità superiori a quelle di altri paesi latinoamericani esportatori di petrolio. Inoltre, se non dovesse entrare a far parte dell’OPEC (Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio) – un cartello economico per la negoziazione dei prezzi del petrolio – aumenterebbe la concorrenza sul mercato. Tuttavia, la popolazione è preoccupata delle promesse di grandi opere pubbliche costruite con i proventi del petrolio. La sfida del Paese sarà quello di non cadere nella resource curse, ossia la “maledizione delle risorse”: il paradosso per cui i paesi la cui economia dipende interamente da petrolio o materie prime (e cioè, beni non trasferibili) faticano a democratizzarsi e ciò favorisce la corruzione. I Guyanesi hanno come esempio negativo il Venezuela e quindi devono trovare un modo per superare questo paradosso.
L’Algeria, uno dei paesi più grandi dell’area MENA, si trova in una situazione politica abbastanza instabile. Il presidente Tebboune (eletto a fine 2019) sta cercando di ristabilire un senso di interesse verso la politica da parte della popolazione e di migliorare l’immagine delle istituzioni agli occhi dei cittadini. Le principali misure proposte dal presidente sono una forte lotta alla corruzione e un netto distacco dal pouvoir, il termine con cui la popolazione si riferiva al regime ventennale dell’ex presidente Bouteflika. Tuttavia, nel 2021 il Paese ha passato una legge che criminalizza l’Hirak – il movimento di proteste del 2019 – paragonandolo a organizzazioni criminali. Inoltre, il suo governo è caratterizzato da una forte censura e controllo sulla stampa indipendente.
Sul piano diplomatico, il presidente Tebboune sta cercando di riportare il Paese a una posizione di rilievo. Negli ultimi anni si è infatti proposto come mediatore con la Libia, aiutando a iniziare il processo di pace all’ONU, e Algeri ha presieduto l’incontro del 2022 della Lega Araba. Ciò ha quindi sancito il ritorno diplomatico dell’Algeria almeno sul piano regionale e ora, con la candidatura al Consiglio di Sicurezza, si spinge su quello internazionale.
La Sierra Leone, diventata indipendente dal Regno Unito nel 1961 ed entrata all’ONU nello stesso anno, è un Paese storicamente instabile. Dalla sua indipendenza si sono susseguiti diversi governi, colpi di stato e guerre civili portando distruzione, povertà e instabilità politica. La maggior parte della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno in condizioni di assenza di acqua potabile. L’indice dello sviluppo umano, stilato dall’UNDP (il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo) colloca il Paese alla posizione 181 su 190. I governi infatti hanno spesso dichiarato vari stati di emergenza a causa della situazione politica, sociale ed economica, oltre che sanitaria (ricordiamo l’epidemia del virus ebola nel 2014). Inoltre, ha risentito fortemente della crisi ucraina a causa dell’aumento dei costi della vita e del carburante.
Se quindi Sierra Leone, Guyana e Algeria sono candidate senza alcun tipo di concorrenza – e quindi hanno il loro posto “assicurato” – la sfida tra paesi si concentrerà sui blocchi Asia-Pacifico e Europa occidentale, la cui posizione circa la guerra in Ucraina sarà molto probabilmente uno dei fattori chiave per la loro elezione.
di Bianca Beretta
Mi chiamo Bianca e frequento International Politics, Law and Economic all’Università degli Studi di Milano. Mi interesso in particolare di geopolitica e diritti. Nel tempo libero amo leggere, fotografare e fare canottaggio.