Il 5 novembre 2023 è stato trasmesso l’episodio finale de L’attacco dei giganti sull’emittente giapponese NHK e in mondovisione sulla piattaforma streaming Crunchyroll. Si tratta dell’adattamento animato dell’omonimo manga, creato da Isayama Hajime e noto anche con i titoli inglese Attack on Titan o giapponese Shingeki no Kyojin (letteralmente “Il gigante d’Attacco”).
L’attacco dei giganti è stato indubbiamente uno degli anime più popolari degli ultimi anni. Distribuito a partire dal 6 aprile 2013, ha avuto fin da subito un grandissimo successo sia in Giappone che all’estero, accumulando un fedele e nutrito seguito attraverso quattro stagioni (per un totale di 87 episodi) e due speciali dalla durata, rispettivamente, di un’ora e un’ora e mezza – questi ultimi intitolati, appunto “The Final Chapters”, “i capitoli finali”. Dunque, è naturale che la conclusione di una serie tanto amata, che ha accompagnato i suoi fan per un intero decennio, sia stato oggetto di dibattito per i mesi successivi, con non pochi spettatori che l’hanno definito “il Game of Thrones degli anime”.
Facciamo un passo indietro: che cos’è L’attacco dei giganti e di che cosa parla? Attenzione, seguono spoiler. Come citato precedentemente, Attack on Titan è tratto da un manga di genere dark fantasy post-apocalittico d’azione, originariamente pubblicato a puntate sulla rivista Bessatsu Shōnen Magazine ed edito in Italia, tra il 2012 e il 2021, da Planet Manga, l’ala dedicata ai fumetti giapponesi della Panini Comics, parte del gruppo Mondadori. La storia è ambientata in una realtà alternativa, in cui gli unici umani superstiti hanno dovuto rifugiarsi all’interno di tre imponenti cerchie di mura, a seguito di sanguinari attacchi da parte di esseri mostruosi, i “giganti”. Gli unici che hanno il permesso di uscire dalle mura, dove ancora vagano i giganti, sono i membri del Corpo di Ricerca, uno dei tre spicchi in cui è suddiviso l’esercito.
La società dentro le mura è organizzata su un modello che richiama alla lontana il Medioevo europeo: nella cerchia più interna (il Wall Shina) abitano i mercanti più ricchi e ci sono gli edifici istituzionali, principalmente un tribunale, le carceri, e una fortezza adibita agli alloggi del re e di un consiglio di nobili. Le altre due mura (Wall Rose e Wall Maria) circondano piccoli villaggi i cui abitanti si dedicano principalmente alla caccia e all’agricoltura. A Shiganshina, il villaggio più a Sud del Wall Maria, il più esterno, vivono Eren Jaeger, Armin Arlert e Mikasa Ackerman, tre amici di circa dieci anni, uniti da un forte senso di lealtà e dalla voglia di conoscere il mondo oltre le mura. In particolare, Eren si dimostra sprezzante del pericolo rappresentato dai giganti, almeno finché le mura non vengono sfondate e il villaggio distrutto da un attacco guidato dal gigante Corazzato, molto più grande degli altri e apparentemente senziente (generalmente, i giganti sembrano avanzare guidati solo dalla presenza degli umani, di cui si nutrono). Eren, testimone della devastazione operata dai giganti sul suo villaggio natale, nonché della morte della propria madre per mano di uno di loro, giura vendetta e si arruola nel Corpo di Ricerca per poter «uccidere tutti i giganti», prima di scoprire che egli stesso può trasformarsi nel gigante d’Attacco.
Quello che a prima vista sembrava uno shōnen (manga per ragazzi) fantasy abbastanza tipico si evolve, attraverso arzigogolati colpi di scena, in un racconto sull’intolleranza e la necessità della guerra che, tuttavia, presenta non poche ambiguità sul piano morale. La stagione finale, infatti, si apre sulla scoperta che la società delle mura non è l’ultimo baluardo dell’umanità, ma, al contrario, è una comunità auto-segregatasi su un’isola, Paradis, per espiare i propri peccati storici: tutti gli abitanti di Paradis fanno parte del “popolo di Ymir”, una mitologica fondatrice che avrebbe acquisito la capacità di trasformarsi in un gigante dall’enorme potere. I suoi discendenti, anche chiamati eldiani – dal nome dell’Impero di Eldia, la nazione da loro fondata -, possono quindi essere trasformati in giganti, e, tra di essi, nove ereditano il potere di Ymir e di altri otto giganti più “sofisticati” (come il Corazzato e il gigante d’Attacco) che, oltre ad avere abilità e stazze superiori alla media, sono anche in grado di riacquistare la forma umana a proprio piacimento. Il potere dei giganti è stato usato dagli eldiani per terrorizzare il mondo, finché un loro re non ha deciso di smettere di sfruttarlo e ritirarsi su Paradis, appunto. Peccato che alcuni eldiani non l’abbiano seguito, cadendo prigionieri di Marley, una nazione nemica, che ha cominciato a ghettizzarli e a impiegarli come armi militari, sempre adducendo come scusa i crimini atroci dei loro antenati.
Se la vita a Shiganshina e nel resto dell’isola di Paradis era ispirata a un immaginario germanico, come indicano anche solo i nomi di luoghi e personaggi, la linea di trama dedicata agli eldiani presenta non poche allusioni a simboli legati alle tradizioni e alla storia del popolo ebreo.
La principale e più lampante è la rappresentazione delle discriminazioni subìte dai discendenti di Ymir a Marley, privati dei diritti, costretti a vivere in un vero e proprio ghetto e a indossare costantemente al braccio una fascia gialla con una stella a sette punte. Gli eldiani che decidono di collaborare con il governo di Marley e donare il proprio corpo per incarnare uno dei Nove Giganti vengono dotati di una fascia rossa e dello status di “marleyani onorari”, il che implica una serie di benefici a livello sociale: non è difficile assimilarli ai kapò dei campi di concentramento.
Sforzando leggermente la fantasia, non suonano neanche così improbabili gli accostamenti tra l’esilio di parte degli eldiani su Paradis (ma soprattutto il trasferimento sull’isola dei ribelli restaurazionisti di Eldia da parte del governo marleyano, dopo averli trasformanti in giganti “puri”/non senzienti) con il Piano Madagascar, ovvero l’opzione del Terzo Reich, antecedente alla “Soluzione Finale”, per gestire la “questione ebraica”: trasferire tutti gli ebrei presenti sui territori occupati dai nazisti sull’isola di Madagascar.
Altri parallelismi si rivelano più inquietanti. Il gigante di Eren, ad esempio, presenta tratti tipici delle rappresentazioni antisemite, diffuse nell’arte fin dal Medioevo e acutizzatesi nel primo Novecento: naso adunco, orecchie a punta, pelle olivastra, capelli lunghi e scuri. Non è secondario notare come queste caratteristiche siano state accostate, nella Storia cristiana dell’Arte, a Giuda, “l’ebreo per eccellenza” dell’antisemitismo e antigiudaismo, ma soprattutto l’archetipo del traditore, ruolo che Eren ricopre per gran parte della quarta stagione dell’anime, agli occhi dello spettatore.
Allo stesso modo, anche la storia della fondatrice Ymir, oltre a evidenti ispirazioni norrene, presenta punti di contatto con il mythos ebraico, dalla storia della sua acquisizione del potere dei giganti (accompagnata, nel libro della regina di Paradis, Historia Reiss, da un’immagine rappresentante un mostro umanoide, dal naso adunco, che porge una mela alla giovane Ymir), alla figura stessa dei giganti, soprattutto quelli puri, non dissimili dall’iconografia cabalistica del Golem. Il Golem, secondo la mitologia ebraica, è un gigante dalla forza disumana, che non possiede intelligenza né altre facoltà intellettive, creato dall’argilla – a questo proposito, non può non saltare alla mente la scena in cui Ymir crea letteralmente con la terra il corpo del gigante Zeke nel “mondo dei Sentieri” (una sorta di dimensione altra che collega tutti i discendenti della fondatrice). Infine, gli atti di cannibalismo tramite cui i Nove Giganti trasmettono il proprio potere ha uno sgradevole parallelo nell’accusa del sangue, un archetipo antisemita parecchio diffuso fino almeno alla Seconda Guerra Mondiale, secondo cui gli ebrei avrebbero praticato sacrifici umani per bere il sangue delle vittime.
Naturalmente, un’ispirazione, specie se mitologica, non denota per forza un sottotesto xenofobo o razzista. Tuttavia, arrivati all’ultima stagione della serie, il collegamento tra gli eldiani dell’Attacco dei giganti e il popolo di Israele del nostro mondo è facilmente stabilito nella mente dello spettatore: il che implica, a nostro parere, la necessità di una cura particolare nel maneggiare temi ed elementi di trama, che diventano sempre più carichi politicamente con il proseguire della narrazione. È vero che i personaggi principali e con cui empatizzare sono eldiani, quasi tutti di Paradis, ma la prospettiva sui fatti cambia a un ritmo talmente vorticoso da lasciare lo spettatore parecchio disorientato, alla fine dello special di un’ora e mezza che conclude la serie.
Una delle grosse ambiguità riguarda la posizione dell’autore nei confronti del potere militare. Nella prima parte della terza stagione, il governo centrale di Paradis viene spodestato da un colpo di Stato militare, guidato dal Corpo di Ricerca coadiuvato dal Corpo di Guarnigione, atto a instaurare Historia Reiss come regina. La trama giustifica il fatto svelando che colui che si credeva essere il re delle Mura è in realtà un fantoccio e la legittima erede al trono è Historia. Tuttavia, nel proseguire della serie, il suo personaggio avrà un ruolo sempre più marginale e le principali decisioni politiche del Paese verranno sempre decise dai comandanti militari, o, quantomeno, questo è ciò che ci viene mostrato. Quando, nella quarta stagione, all’interno dell’esercito si crea una fazione estremista (gli Jaegeristi), che ribalta ancora una volta lo status quo dei vertici eldiani, i “buoni” della Storia restano sempre e comunque alcuni membri del Corpo di Ricerca. La conclusione che dovremmo trarre è che esistono golpes buoni e golpes cattivi? L’uso della violenza e l’instaurazione di regimi militari, a volte, sono giustificabili?
Facciamo un balzo alla fine della storia: Eren Jaeger si sacrifica per eliminare definitivamente il potere dei giganti dalla faccia della Terra – peccato che lo faccia dopo aver spazzato via quattro quinti della popolazione mondiale, a sua detta perché era scritto nel suo destino, anche se lo spettatore non lo vede mai neanche provare a intraprendere strade alternative. Oltretutto, questo enorme sacrificio risulta del tutto inutile, perché, anche avendo eliminato i giganti e l’ottanta per cento dell’umanità, la guerra continua, stando ai titoli di coda, che mostrano in rapida sequenza l’evolversi della guerra nel mondo (c’è anche un riferimento all’11 settembre 2001, giusto per non farci mancare nulla). D’altronde, il piano di Eren prevedeva che fossero i suoi amici di Paradis a ucciderlo, così da dimostrare, secondo lui, che il popolo di Ymir non era una stirpe demoniaca, risolvendo quindi il razzismo del mondo nei confronti della sua patria. Questo non accade; anzi, sull’isola, la fazione degli Jaegeristi guadagna sempre più piede e promuove politiche nazionaliste, ribaltando la situazione iniziale, come direbbe Aldo Baglio, e fomentando ancora di più l’odio tra popoli. Ora, se ci aggiungiamo il fatto che la storia dei crimini di guerra dell’Impero di Eldia non viene mai smentita, nonostante si facciano vaghi accenni all’impossibilità di trovare una verità storica imparziale sotto secoli di propaganda bipartisan (i ribelli restaurazionisti, ad esempio, sostengono che Eldia sia stata in realtà una grande civiltà, foriera di modernità nel mondo), viene quasi il sospetto che in fondo i marleyani non avessero tutti i torti a temere gli eldiani, che, ricordiamo, hanno una parentela stretta con gli ebrei del nostro mondo. Anche senza spingersi fino a questi estremi, le considerazioni finali del personaggio più idealista della serie, Armin, che affermano che l’istinto di guerra è insito nel carattere umano e che è necessario abbandonare una parte della propria umanità per “ciò che è giusto”, fanno alzare non poche sopracciglia, viste le atrocità genocidarie compiute dal suo migliore amico.
Se per il pubblico occidentale Attack on Titan non è quindi scevro da posizioni etico-morali non proprio chiarissime, gli spettatori e lettori giapponesi hanno potuto riconoscere un’altra allegoria del mondo reale. Innanzitutto, i rimandi alla Seconda Guerra Mondiale, a un Impero nazionalista che si è macchiato di colpe inespiabili per poi rifugiarsi su un’isola relativamente isolata, oltre a specifici personaggi (Mikasa è il nome di una nave da combattimento nella guerra russo-giapponese; il comandante del Corpo di Guarnigione, Pixis, è apertamente ispirato al generale Akiyama Yoshifuru, le cui vittorie militari permisero la colonizzazione della Corea), non possono non ricordare il periodo dell’Impero giapponese. Soprattutto, però, è il clima politico contemporaneo a fornire una prospettiva interessante sui discorsi proposti da Attack on Titan. Il manga inizia a essere pubblicato in Giappone nel 2009, un anno che si trova a metà tra i due mandati di Abe Shinzō (2006-2007 e 2012-2020), l’ex Primo Ministro giapponese. Abe, figura molto controversa in Estremo Oriente per via delle sue posizioni decisamente a destra, che hanno talvolta corteggiato il negazionismo storico (soprattutto dei crimini di guerra dell’Impero giapponese), è stato una figura fondamentale nel riaccendersi del dibattito pubblico su un argomento estremamente discusso in Giappone: l’articolo 9 della Costituzione.
L’articolo recita:
«ARTICOLO 9: (1) Aspirando fermamente a una pace internazionale basata sulla giustizia e sull'ordine, è fatta rinuncia per sempre dal popolo giapponese alla guerra, quale diritto sovrano della nazione, e alla minaccia o all'uso della forza, quale mezzo per risolvere le controversie con altre nazioni. (2) Al fine di raggiungere l'aspirazione del precedente paragrafo, il mantenimento delle forze di terra, di mare e dell'aria, e così pure degli altri mezzi bellici non sarà mai autorizzato. Il diritto di belligeranza dello Stato non sarà riconosciuto.»
Il Giappone, nel corso del tempo, ha interpretato in modo molto elastico l’articolo, temendo soprattutto le mire della Cina e delle Coree. Al momento attuale, il Paese non ha un vero e proprio esercito, ma esistono le Japan Self-Defense Forces (che abbrevieremo, d’ora in avanti, in JSDF o Jieitai), un gruppo armato per scopi puramente difensivi, che tuttavia è stato partecipe di azioni per il mantenimento della pace, specialmente nella guerra in Iraq guidata dagli Stati Uniti. Le Jieitai nascono nel 1954, dopo che le truppe statunitensi presenti sul territorio nipponico vengono spostate quasi totalmente in Corea del Sud, per contrastare l’invasione della Corea del Nord, lasciando il Giappone vulnerabile alle minacce esterne e ai dissidi interni. Le JSDF sono considerate incostituzionali da gran parte dell’opinione pubblica giapponese, ma proprio con l’incremento di popolarità di Abe Shinzō e del suo partito, il Partito Liberal Democratico, non sono mancate voci che invocano l’abolizione o la riforma dell’articolo 9 e il riarmo totale del Giappone. Come gli Jaegeristi di Shingeki no Kyojin, queste voci affermano che il Paese debba rinunciare alla sua promessa di non belligeranza per il rischio che le altre nazioni si vendichino delle azioni violente compiute in passato.
Tornando all’anime, ma restando nel campo del negazionismo storico: anche sui restaurazionisti eldiani, che propongono una versione della Storia completamente rivista a loro favore, l’anime non si sbilancia mai definitivamente: da una parte quasi tutti i loro leader vengono eliminati, dall’altra essi sono visti come semplici pedine di Eren, di fatto assolvendo in parte le loro azioni e la loro ideologia da un giudizio morale netto. Difatti, sia per Eren, che dice di essere stato obbligato dal destino a fare quello che ha fatto, che per le persone che egli ha manipolato, torna il famoso adagio: su chi ricade la responsabilità dei crimini di guerra? Su chi li ha commessi, su chi li ha ordinati, su entrambi, su nessuno? E se il “mandante” è un’entità ineffabile per la giustizia umana, come il concetto della predeterminazione o della ciclicità della Storia, questo fatto non va ad assolvere chi non ha potuto far altro, malgrado le proprie convinzioni e i propri desideri profondi, di portare a termine azioni tanto efferate?
Queste ambiguità di Isayama, in un clima politico mondiale che sposta il suo baricentro sempre più a destra e accoglie ogni giorno rigurgiti nazifascisti, non sono esattamente rassicuranti, soprattutto se applicate a un’opera destinata ai più giovani. È abbastanza per muovere un’accusa grave come quella di antisemitismo e filo-imperialismo a un manga fantasy? Siamo garantisti, perciò no, non possiamo essere sicuri che Isayama abbia volutamente inserito rimandi antigiudaici e di estrema destra nella propria opera, anche in mancanza di sue dichiarazioni in merito a queste obiezioni. Tuttavia, possiamo rimproverargli una eccessiva leggerezza nell’utilizzo di un’iconografia che è pregna di un significato estremamente specifico e legato ad un gruppo etnico lungamente perseguitato, anche oltre la tragedia più grande, la Shoah: nel momento in cui un artista decide di creare una scorciatoia cognitiva ponendo una fascia con una stella al braccio di personaggi discriminati in un ambiente simil-germanico, deve considerare che il pubblico non potrà più scindere il simbolo da quello a cui si ispira. Questa leggerezza simbologica si estende anche ai discorsi sulla guerra, specialmente nel contesto giapponese, come illustrato supra, e alle simpatie militariste, alla visione della pace come una cosa da codardi, cui è da preferire l’eliminazione totale dei propri nemici (anche potenziali). Forse Attack on Titan non promuove l’imperialismo, la belligeranza nazionalista e il razzismo, ma non possiamo dire neanche che li condanni nettamente. Non a caso, l’anime è estremamente popolare sul noto sito di estrema destra 4chan.
L’attacco dei giganti è quindi il Game of Thrones degli anime? A parte le considerazioni di gusto personale sulla stagione finale, de quo non disputandum est, in un certo senso possiamo dire di sì: entrambe hanno segnato un punto di non ritorno per il rispettivo medium, entrambe hanno costruito fandom impressionanti e trasversali per età e provenienza geografica, entrambe hanno cercato di affrontare fondamentali e affini questioni etico-politiche tramite il genere fantasy, d’azione e spettacolare. La differenza principale sta forse nella chiarezza dei messaggi veicolati dai due autori, un confronto che vede inevitabilmente Isayama perdente, forse anche a causa di uno scarto d’età non indifferente. Se non altro, rassicura il fatto che il dibattito su quello che il finale di Shingeki no Kyojin veicola (malgrado le volontà del suo autore?) non è mancato, a riprova che il pubblico giovane, per fortuna, non manca di interrogarsi sul content che consuma, ormai, sempre più voracemente.
di Valentina Oger
Nata a Bologna nel lontano 2002, ha girato l’Italia (e, per dieci mesi, la Corea del Sud) prima di approdare al DAMS dell’Università di Torino. Generalmente è la meno socievole del gruppo – ha madre ligure e padre francese – e per L’Eclisse fa l’uccello del malaugurio. La sua ossessione principale è il cinema (per farla apparire basta dire davanti allo specchio “Martin Scorsese” otto volte e mezzo), ma è abbastanza eclettica: le sue ultime celebrity crushes includono Orson Welles, Magnus Carlsen, Farinata degli Uberti e Paul McCartney nel ’66. Ha tre gatti e molti dubbi.