Nascondersi o esporsi? Due termini tanto differenti eppure entrambi molto sentiti nel mondo del cosplay, dove il soggetto entra in un nuovo universo artistico, ampiamente popolarizzato nell’ultimo ventennio. L’arte del cosplay non è semplice imitazione di personaggi fittizi, come suggerito dal nome inglese costume (costume) unito alla parola play (gioco/interpretazione): si tratta di una pratica di impatto psicologico in cui l’attore scinde dal mondo abituale che lo circonda e si eleva al mondo immaginario, trovando una nuova identità o rafforzando la propria.
Prima di addentrarci nella psiche dei cosplayer, è utile spiegare il fenomeno1 e, solo successivamente, trattarlo secondo un punto di vista scientifico. Perciò, iniziamo definendo il campo di interessi entro cui questa forma creativa prende vita. Parliamo di manga, anime, videogiochi ma anche film e musica, che vengono trasportati nella realtà in ambienti specifici come nelle conventions, dette anche fiere del fumetto: proprio a partire da queste il fenomeno ha parzialmente origine.
Nell’America degli anni ’30 del Novecento si svolse la 1st World Science Fiction Convention, dove nacque il precursore del cosplay, il futuristicostume. Si trattava del suo primo prototipo, il quale, seppur non ancora ufficializzato, iniziava a diffondersi lentamente. Tuttavia, sarà solo con l’avvento dei fumetti e poi la divulgazione di manga e anime che, nel 1984, il termine cosplay verrà coniato ad opera del giornalista giapponese Nobuyuki Takahashi. In pochi anni diventerà un fenomeno di portata internazionale e sarà destinato a raggiungere la sua massima estensione proprio in epoca contemporanea, dove non si parlerà più solo di cosplay ma anche di ramificazioni derivanti da esso, quali il crossplay (vestirsi come un personaggio dal sesso opposto al proprio) o il genderbending (adattare un personaggio del sesso opposto al proprio), e molti altri ancora.
È bene considerare che non si tratta solo di indossare i panni di un personaggio: è un procedimento che coinvolge tanto la sfera estetica quanto quella psicologica. Se da un lato ci si occupa di trucco, parrucco, fotografie, editing, modeling e aggiunte di vario tipo, dall’altro si tratta di un processo intensamente psicologico che mira alla scelta del personaggio ed evidenzia alcuni meccanismi mentali propri dell’individuo.
Come analizzato dalle psicologhe Robin S. Rosenberg e Andrea M. Letamendi nel loro articolo “Expressions of Fandom: Findings from a Psychological Survey of Cosplay and Costume Wear”2, una delle tre ragioni principali per le quali si sceglie di interpretare un personaggio riguarda proprio l’identificazione con esso. Dai risultati dello studio, infatti, possiamo osservare come l’avere delle somiglianze tra soggetto attoriale e oggetto d’interpretazione aumentino il desiderio di essere l’oggetto stesso, a prescindere dal fatto che si tratti di comunanze di tipo caratteriale, fisico o mentale. Altrettanto interessanti sono i risultati riguardanti i cosplayer facenti uso di maschere per i propri costumi: secondo un ragionamento paradossale, si sono rivelati essere più consapevoli di sé stessi e a loro agio pur avendo il viso coperto.
A tal proposito si cita il paradosso del masking, per il quale l’anonimitá che si ottiene mascherandosi garantisce una forma di liberazione dall’apparenza quotidiana, si dà spazio al sé interiore e, sotto un certo punto di vista, ci si lascia andare. Non serve forse a questo l’arte del cosplay? Estraniarsi da sé stessi per un breve lasso di tempo pur mantenendo la propria autenticitá. In virtù di questo si opta per l’interpretazione di qualcuno a noi somigliante, che possa far emergere le nostre caratteristiche migliori mentre ci si dissocia dalla vita di ogni giorno.
A trattare la tematica della dissociazione nel cosplay sono gli psicologi Marc Eric S. Reyes e Roger D. Davis in “Filipino Cosplayers: Exploring the Personality Traits linked with Fantasy Proneness and Dissociative Experiences”. L’indagine è stata svolta nell’ambiente cosplay filippino, in cui viene ribadita, anche attraverso studi precedenti, la correlazione tra la tendenza alla fantasticheria e la dissociazione. Chiaramente, il concetto di fantasticheria è intrinseco nel cosplay, dove l’individuo esprime la sua persona immaginandosi nei panni di qualcun altro, imitandone gesti tipici, frasi altrettanto distintive e immergendosi nel suo mondo d’origine.
Se fantasticare ad occhi aperti rientra tra le forme di escapismo dalla realtà, tanto che può risultare nel disturbo di fantasie disfunzionali (maladaptive daydreaming), non è forse corretto ipotizzare che una tale forma di immedesimazione come quella del cosplay possa rischiare di sfociare in un disturbo di altrettanta importanza? Ebbene, dallo studio è emerso che i cosplayer tendono effettivamente ad avere un ampio livello di fantasia e a soffrire di esperienze dissociative, comunque non è stata evidenziata alcuna correlazione diretta tra i due aspetti.
Ciononostante, è innegabile la volontà di evasione dalla realtà che si ricerca nella pratica del cosplay: se in primis si ricerca una forma di intrattenimento attraverso l’espressione artistica, d’altra parte si cerca anche una fuga dalla quotidianità, aspetto comune a tutti gli esseri umani. C’è chi si immerge nella lettura, chi preferisce la visione di film, chi si dedica alla scrittura, e poi c’è il cosplay, che racchiude al suo interno una vasta scelta di attività in cui cimentarsi. È un’arte completa, nel senso che contiene aspetti riguardanti arti visive (tessitura, oreficeria,videoarte, ecc…) e performative (musica, danza, teatro), capace di creare una comunità entro cui ritrovarsi e supportarsi.
In un certo senso ci siamo immersi tutti in questo mondo almeno una volta nella vita, che si sia trattato di vestire i panni delle nostre principesse o supereroi preferiti, o di mostri terrificanti ad Halloween, probabilmente non dissociandoci da noi stessi ma sicuramente trovando conforto nelle figure che imitavamo. E forse è questo il punto del cosplay: trovare un rifugio, un posto sicuro in cui essere sé stessi, una fantasia in cui potersi esprimere e avventurare.
Bibliografia
1.Storia del cosplay: D. Wrona, History of cosplay, in ‘ In Search of Academic Excellence Social Sciences and Humanities in Focus’, 2022, pp.231-242.
2.Rosenberg, Robin S. and Andrea M .Letamendi, in ‘Expressions of Fandom’, 2013.
Marc Eric S. Reyes and Roger D. Davis, Filipino Cosplayers: Exploring the Personality Traits linked with Fantasy Proneness and Dissociative Experiences, 2017.
di Erika Pagliarini
Mi chiamo Erika, nata nel 2001 praticamente con la penna in mano. Attualmente studio
Filosofia a Pavia ma posso considerarmi da sempre appassionata di arte e scrittura, motivo
per il quale ho deciso di percorrere una strada affine ai miei interessi aggiungendoci un
tocco di trash e riflessioni personali. Spaziando tra cinefilia, disegno e lettura adoro sfruttare
i miei interessi e ricavarci storie personali che possano colpire gli altri e dare espressione ai
miei pensieri.