In che senso scuola?
È ripartita, finalmente. Non avevo ben realizzato la strana sensazione di tornare in classe fino a quando il professore di Storia Internazionale ha cominciato a parlare. Da quel momento c’è stata sicuramente emozione, ma anche disagio.
Disagio perché la pandemia ha messo a nudo una serie di problemi che già ammorbavano il nostro sistema educativo, riassumibili in un concetto: la modernizzazione sempre rimandata.
Sulle nostre teste è caduta la DAD, nemica giurata di molti studenti, che però un effetto (speriamo) positivo l’ha portato: riposizionare la scuola e l’educazione al centro del dibattito, o quanto meno si è tornato a parlarne molto più spesso.
Noi student* non possiamo esimerci dall’alzare la voce e spiegare non solo come vorremmo questa benedetta scuola nel futuro, ma anche quale dovrebbe essere il senso della stessa. Perché la verità è che ci è mancato tornare in presenza, ma è vero anche che, già da prima, le cose non erano così idilliache: durante la DAD, anche se dormivamo a letto, dormivamo e torneremo a dormire sui banchi ora. Come spegnevamo il PC alla fine delle lezioni, così usciremo da scuola contenti che la rottura di balle sia finita. La contrapposizione non deve essere tra didattica a distanza, mista o in presenza, ma su quello che vogliamo che la scuola rappresenti e che, credo opinione largamente diffusa, non può continuare ad essere un luogo in cui si va per stare in silenzio sei ore al giorno mentre ci spiegano che Manzoni aveva i capelli castani ma con qualche ciuffo biondo. Insomma, non ci possiamo accontentare di vedere compagni e professori di nuovo nella stessa classe se poi la scuola rimane il solito, vecchio e noioso casermone di nozioni, nemmeno poi tanto professionalizzanti per il futuro.
Sono pazzo? No. I dati del 2020 ci dicono che la disoccupazione giovanile è salita oltre il 30% (da precisare che anche i livelli precedenti non si allontanavano troppo da questa percentuale), mentre l’abbandono scolastico al 13% e, nonostante questo, per 400 mila posizioni lavorative non si è trovato un lavorator* specializzat*. Siamo il Paese con uno dei più bassi tassi di laureat* in Europa, ma con un numero di “cervelli in fuga” che rimane preoccupante. È evidente che qualcosa è sbagliato e deve essere corretto.
Inutile, però, fare timide riforme: serve una vera e propria rivoluzione, che abbia alla base l’idea che la scuola debba essere un presidio culturale, sociale ed educativo. Da questa consapevolezza, una scuola moderna dovrebbe essere sempre aperta: se non ventiquattr’ore su ventiquattro, almeno dalla mattina presto fino a tarda notte. Questo è un presupposto fondamentale per la buona interpretazione del ruolo che la scuola dovrebbe giocare nell’età contemporanea. Gli snodi sono appunto: culturale, e quindi il modo in cui si insegna, cosa si insegna e con quale obbiettivo; sociale, ovvero il ruolo fondamentale che detiene nell’inclusività e nel sostegno anche di ragazz*che provengono da ambienti o storie difficili; educativo, dal punto di vista del vivere e stare insieme.
Per quanto riguarda l’aspetto culturale, ritengo necessario rivedere l’approccio frontale e nozionistico delle lezioni, che si svolgono per lo più in lunghi e spesso noiosi monologhi stimolati più dall’ansia di finire dei vastissimi programmi che da altro. Ecco, pure i programmi andrebbero rivisti e snelliti: la ricchezza culturale italiana, europea e mondiale sono immense e proprio per questo è impensabile aspettarsi che si studi tutto in modo concentrato. A maggior ragione nell’era di Internet, dove non solo la soglia di attenzione è ridotta a qualche secondo, ma si hanno gli strumenti per reperire conoscenze come e quando si vuole: alla luce di questi fatti, sarebbe più utile stimolare la curiosità, insegnare come e dove reperire le varie conoscenze ma soprattutto addestrare gli studenti a nuotare, con fare analitico e critico, nell’oceano che è la cultura umana. Tutti sappiamo che quel che ci rimane in testa, per lo meno dalle superiori, è ben poco, senza contare che usciamo dal ciclo di studi senza sapere quasi nulla sul nostro ordinamento politico (in pochissimi curricula si studia diritto), ben poco digitalizzati in confronto ai nostri coetanei europei e sostanzialmente analfabeti dal punto di vista economico, sociale e finanziario. In compenso, però, sappiamo dove andava a messa Petrarca la domenica. Poi ce lo scordiamo eh, ma almeno abbiamo preso 8 all’interrogazione.
Questo cambio di rotta, dal punto di vista dell’oggetto e del modo in cui si insegna, passa anche attraverso la didattica a distanza: i professori non possono più fingere che non esista la tecnologia e/o che essa non sia utile per l’insegnamento. Tante amiche ed amici, e io stesso in primis, mi hanno riferito di quanto abbiano trovato più semplice studiare quando potevano reperire il materiale di supporto caricato dai professori sulle più varie piattaforme: basta fogli stampati male, carta e tempo sprecati. Usare supporti digitali, oltre che il classico filmino per perdere tempo in classe, può risultare decisivo per forme più interattive e partecipate di lezione. Al mio primo anno di università, la professoressa di Sociologia, oltre a registrare le sue lezioni, aveva fatto partire un piccolo forum dove potevamo confrontarci sia sui temi strettamente legati al corso sia su altre tematiche sollevate dagli studenti: mi ritagliai tempo libero per riflettere con altr*, molto meglio che pensare da soli alla propria scrivania.
In quest’ottica, avere la scuola sempre (o quasi) aperta, significa dare spazi gestiti per incontrarsi, studiare assieme e anche associarsi: vivere la scuola non sono come luogo per imparare, ma anche per sviluppare in modo quanto più sano possibile la vita di gruppo e l’associazionismo, base fondamentale per una partecipazione attiva alla propria comunità anche in età adulta.
A questo punto ci catapultiamo direttamente nell’aspetto sociale: come può, una scuola, recuperare ragazz* da realtà difficili se sta aperta giusto le sei ore necessarie per fare lezione? In alcuni Paesi, per diminuire la dispersione scolastica, viene garantito almeno un pasto caldo (gratuito) al giorno: per molti di noi, l’alimentazione è un argomento che non preoccupa, ma la realtà è che non tutti riescono a mangiare bene, o addirittura a mangiare del tutto. Una scuola sempre aperta, dotata dei necessari servizi, la rende un posto in cui potersi “rifugiare”, crescere ed emanciparsi da situazioni di degrado innegabilmente esistenti. Poter pranzare, e poi praticare uno sport, magari di squadra, o partecipare a gruppi di dibattito, di lettura o musicali significa dare un’alternativa, educare e coinvolgere tutt* nelle opportunità che questa società offre, ma che non tutti si possono permettere.
Tutto questo ricade sul ruolo educativo che la scuola dovrebbe avere, senza bisogno di tanti altri indugi: una scuola aperta, dotata di servizi, che sia veramente presidio di socialità può veramente aspirare a costruire i/le cittadin* del domani. Tra i servizi necessari per una educazione completa ci sono anche gli psicologi: garantire un supporto agli studenti di tutte le età è fondamentale e la pandemia non ha fatto altro che portare a galla un problema latente, ormai piuttosto diffuso. La salute mentale è decisiva anche nel proprio percorso di formazione, perché la socialità è sì molto bella, ma spesso fa paura e, quindi, non ci si può voltare dall’altra parte.
Roma non è stata costruita in un giorno, come non lo sarà nemmeno un nuovo tipo di scuola. Oltre al cambiamento di mentalità necessario, serviranno ingenti investimenti e trasformazioni infrastrutturali e urbanistici difficilmente realizzabili nel breve periodo.
Ma se non si comincia da qualche parte, non si arriverà mai all’obbiettivo.
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Cara scuola, ti scrivo
Editoriale · L’Eclisse
Anno 1 · N°5 · Settembre 2021
Copertina di Francesco Fatini e Sara Saponaro. Marionetta realizzata da Sara Saponaro.
Hanno partecipato alla realizzazione di questo editoriale: Greta Beluffi, Oscar Benedetti, Tommaso Brambilla, Anna Cosentini, Chiara Cresta, Francesco Fatini, Clara Femia, Alice Fenaroli, Eugenia Gandini, Chiara Gianfreda, Alessandra Giovanetti, Andrei Daniel Lacanu, Nikolin Lasku, Eleonora Legnazzi, Silvia Loprieno, Matteo Mallia, Valentina Oger, Alessandro Orlandi, Alice Santamaria, Sara Saponaro, Vittoria Tosatto, Marta Tucci, Marta Urriani, Margherita Verri, Adriano Zonta.