Tendiamo a sottovalutare quante verità possano nascondersi tra le righe di una pagina, quanti impliciti messaggi si possano cogliere sfogliando libri scritti da grandi visionari come George Orwell, Josè Saramago, William Golding…
Attraverso le loro parole, tentiamo ora di analizzare la realtà che, con tanta maestria, ci hanno illustrato. E’ il 1949 e nello scenario della letteratura mondiale fa la sua comparsa un romanzo distopico che coglie il lato oscuro di un mondo corrotto e monopolizzato dalla censura. Si tratta di 1984 di George Orwell, e prevede un futuro che per diversi aspetti assomiglia terribilmente al nostro presente. Protagonista del racconto è Winston Smith, cittadino di una Londra governata da una figura che non apparirà mai fisicamente, ovvero il Grande Fratello, il quale spia ogni abitante del suo Paese tramite l’uso di microfoni e telecamere installate in ogni abitazione, ed applica una forte repressione di qualsiasi sentimento od emozione che non siano cieca fiducia e devozione nei confronti del governo. Ma l’istinto umano, come già ci insegnava Oscar Wilde nel 1890, non è fatto per essere soffocato; siamo molto più animali di ciò che crediamo. Nel suo più famoso romanzo Il ritratto di Dorian Gray egli infatti dichiara che:
"Ogni impulso che tentiamo di soffocare germoglia nella mente, e ci intossica"1
Ed è forse questa la causa della violenza che è insita nell’Uomo fin dalla sua più tenera età. Proprio questo risulta essere il concetto cardine del romanzo Il signore delle mosche, scritto da William Golding e pubblicato qualche anno dopo, nel 1954, nel quale un gruppo di bambini, in seguito ad un incidente aereo, si ritrova disperso in un’isola nel mezzo dell’oceano Pacifico. Essi tenteranno di stabilire una sorta di organizzazione democratica su imitazione del modello degli adulti, nell’attesa che qualcuno venga a salvarli, ma ben presto il loro ordine verrà minacciato da sempre più frequenti episodi di violenza e sopruso, in particolare da parte dei bambini più forti nei confronti dei più fragili:
"L’uomo produce il male come l’ape produce il miele."2
Nella postfazione tratta dal suo saggio E’ un compito ingrato raccontare favole, l’autore stesso dichiara di aver scelto i bambini come soggetto per evidenziare quanto, anche in quella che dovrebbe essere totale purezza, sia possibile far emergere la naturale inclinazione umana alla prevaricazione e all’aggressività.
Dello stesso avviso sembra essere Josè Saramago, che circa quarant’anni più tardi tratta nel suo libro Cecità, pubblicato nel 1995, la tematica dell’individualismo che caratterizza la nostra società. Nel suo tragico racconto emerge quanto, in una situazione di emergenza, l’Uomo sia portato a preservare sé stesso, prima di aiutare gli altri. Si tratta di un romanzo fantascientifico-apocalittico, nel quale il mondo viene colpito dal diffondersi di un’epidemia; la malattia che va propagandosi causa, negli infetti, una cecità che non si presenta come buio, bensì come una cortina di luce bianca.
In sostanza, la fonte di ogni errore umano sembra essere la mancanza di sensibilità, la stessa meravigliosa sensibilità che Murakami fa emergere in tempi ancora più recenti nel suo capolavoro Kafka sulla spiaggia, dell’anno 2002, e che ci aiuterebbe a vivere con più serenità e leggerezza. D’altra parte spesso la sensibilità viene nascosta sotto una delle infinite maschere che ci ritroviamo ad indossare, quelle maschere di cui ci parlava già Luigi Pirandello nel 1926 in Uno, nessuno e centomila.
Oppure, altrettanto spesso, la sua mancanza è dovuta alla scarsa informazione, a quella svalutazione della cultura, quella paura della consapevolezza, che porta i pompieri di Fahrenheit 451, di Ray Bradbury (1953), ad appiccare incendi per bruciare i libri.
La stessa paura che ci porta al terrore per la diversità, e, di conseguenza, ad un odio estremo ed ingiustificato verso chi non rappresenta il nostro ideale di “normalità”. Un tema trattato con grande delicatezza da Harper Lee in uno dei più grandi successi letterari degli anni’60: Il buio oltre la siepe. Ambientato nell’America del Sud degli anni ‘30, racconta di un avvocato, Atticus Finch, che si ritrova a difendere la causa di Tom Robinson, un bracciante nero ingiustamente accusato di violenza sessuale nei confronti di una ragazza bianca. Il tutto è visto attraverso gli occhi di una bambina, ovvero la figlia dell’avvocato, che si fa narratrice di questo episodio.
Puntando quindi lo sguardo su ognuno di questi aspetti, emergono l’egocentrismo e la vanità che ci contraddistinguono in quanto genere umano, aspetto che affiora nel libro Io sono un gatto, di Natsume Sōseki, pubblicato nel 1906, una critica in chiave ironica che analizza la società degli inizi del ‘900 dal punto di vista di un gatto, e che ci fa rendere conto del grado di ridicolezza al quale possiamo arrivare.
1da WILDE, O., Il ritratto di Dorian Gray, Mondadori, Milano, 2011.
2p. 250 in Postfazione, da Golding, W., Il signore delle mosche, Mondadori, Milano, 2017.