“L’indifferenza ci dava fastidio”. Sembrano tuttə d’accordo le ragazzə1, che ho incontrato, in rappresentanza del collettivo a.112, un’associazione autogestita cui hanno dato vita per “smuovere gli animi” all’interno di un ambiente storicamente conservatore.
L’Educandato Emanuela Setti Carraro, in pieno centro a Milano, è situato in uno splendido palazzo di fine Settecento, la cui storia è lunga e piena di fascino. È una scuola di piccole dimensioni che ospita anche alloggi per le ragazze, un tempo le uniche a poterci studiare. Era, infatti, un collegio femminile che, solo gradualmente, accolse anche dei ragazzi.
In quelle aule, ho studiato pure io. Sono d’accordo con Marzia Serravalle quando dice che “mancavano spinta e idee”. Non che questa scuola sia stata sempre apolitica. Però, chiunque può percepirne l’atmosfera pesante, dove certi temi lasciano un po’ il tempo che trovano.
Quelle poche volte che il dibattito si accende, si assiste ad una levata di scudi, come nel caso della nascita del collettivo, che ha attirato la mia attenzione sui social. Curiosando sul loro profilo (@Collettivo.a112), ho visto uno striscione, un megafono e contestazione. Questa reazione era nata in risposta a un volantinaggio di Blocco Studentesco, associazione molto vicina ad ambienti di estrema destra che sta conducendo una propaganda molto capillare in quasi tutte le scuole milanesi.
Le ragazzə si sono organizzatə e hanno mandato un segnale forte e chiaro: noi ci siamo, non passerete inosservatə. La loro scelta ha scatenato il dibattito, mobilitando il fronte conservatore: “avete ragione ma non si fa così”, “avreste potuto agire in un altro modo”, “la Setti è sempre rimasta fuori dalla politica” e tante altre critiche sono piovute sul collettivo. Le ragazzə sono statə definitə persino “casinistə” e “zecchə”. Seguendo il dibattito, mi ha scritto Marta Mazzullo, chiedendomi cosa ne pensassi. Le ho risposto che ero con loro. Del resto, mi pareva impensabile concepire una scuola “senza politica”. In fondo, le stesse interazioni umane sono un atto politico e, già a questo livello, c’è una discreta differenza tra il rispetto per la diversità e la sua discriminazione. Pertanto, mi sono offerto di parlare con le ragazzə del collettivo e di capire chi e perché avesse avuto il coraggio di far partire la prima associazione studentesca di questa scuola.
Ovviamente, a smuorverlə sono stati i loro grandi ideali, ma non bisogna dimenticare che in queste esperienze di attivismo dal basso si deve tener conto di un forte coinvolgimento emotivo. Maia Costa racconta di essere rimasta molto colpita che ci fossero così tanti “interessi comuni” e che ci fosse bisogno di “confronto”. Spesso le classi vivono momenti più o meno prolungati di frattura, ma secondo Marzia S. il collettivo ha unito la loro. “Confrontarci sui problemi della scuola ci ha aiutate a sentirci più vicinə e soprattutto ci ha aiutatə ad ascoltarci prima di parlare” racconta Maya Salvini. L’avventura, infatti, è partita da una classe ben precisa, la 4^ Europeo: ascoltandosi a vicenda, hanno superato le comuni divisioni di gruppo e per poi allargare la loro esperienza positiva a tutta la scuola. Che, alla fine, incarna ciò che la scuola purtroppo non fa o non riesce a fare.
Nella maggior parte dei casi, la scuola non stimola il confronto e la socialità tra studentə. Programmi sovraccarichi hanno sempre la precedenza sulla formazione vera e propria dei cittadinə del futuro: citando Galimberti, oggi la scuola istruisce, non educa. Tant’è che molti argomenti, tralasciati dalla scuola, sono al centro del progetto del collettivo, quali salute mentale, capacità di confrontarsi, mascolinità tossica e femminismo, attenzione all’ambiente, accettazione delle differenze, espressione di sé stessə e molto altro ancora.
Come fare? Le ragazzə credono che la chiave sia riappropriarsi della socialità e delle interazioni con gli altrə, che il covid ha portato via. Questo però non è sufficiente: il confronto è uno dei loro temi cardine. Infatti, anche se hanno ricevuto molto supporto, una parte della scuola si è opposta senza nemmeno provare a capire le loro intenzioni. Ciononostante, le ragazze si dicono soddisfatte.
A prescindere dagli ostacoli, hanno saputo suscitare una reazione. Sofia Battaglia dice che “troppa gente è legata all’apparenza” e, per questo, è più importante dimostrarsi un’istituzione pacata piuttosto che stimolare il dibattito. Maya S., in particolare, non nasconde il suo entusiasmo per quanto riguarda le nuove possibilità di confronto, e spiega che “non importa se hanno idee diverse dalle nostre, stiamo creando uno spazio per parlare. Anche se ci sarà un gruppo opposto al nostro, ben venga: avremo stimolato il dibattito”. Sicuramente, uno dei punti cardine del collettivo è la propositività, non l’antagonismo.
Insomma, mi pare che si tratti di ragazzə tutt’altro che “casinistə”. Parlando, mi raccontano dei loro piani futuri: si suddividono in assemblee tematiche e progetti operativi. Le prime dovrebbero rappresentare un’occasione di autoformazione e confronto tra studentə. I progetti, invece, sono vere e proprie iniziative al servizio della comunità scolastica, come il volontariato, l’orientamento e il supporto studio tra pari. Inoltre, si stanno organizzando per ottenere un’aula adibita, su prenotazione, a luogo di ritrovo studentesco, un posto che possa essere un’opportunità di aggregazione in più.
Il progetto è ambizioso: rendere la scuola un posto più sicuro e accogliente, che sappia anche far parlare gli studentə oltre che parlare agli studentə. Le energie sono tante, la speranza non manca e colgo un certo orgoglio per quello che si sta formando, soprattutto perché si tratta di un progetto dal basso, che prova a superare le grandi carenze del sistema educativo italiano, poco aggiornato e ancora meno empatico.
1 Le ragazzə citatə in seguito fanno parte del Collettivo a112