«L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere!»
Friedrich Nietzsche, La Gaia Scienza
Simulare: 1) Manifestare sentimenti o intenzioni non vere oppure una condizione non corrispondente a realtà, per secondi fini più o meno riprovevoli; fingere. 2) Riprodurre in modo simile, imitare1.
Quanto può essere labile il confine tra autentico e falso? Dove risiede quello tra arte e vita? Il film La Migliore Offerta (2013), scritto e diretto da Giuseppe Tornatore, si focalizza su questi concetti attraverso la figura del protagonista: Virgil Oldman (Geoffrey Rush), amatore d’arte, rinomato battitore d’aste e collezionista. Virgil ha una spiccata capacità nel riconoscere un’opera falsa da una autentica ed è su questo che poggia la sua carriera. Vive del suo lavoro, di arte e di bellezza, e si lascia cullare dall’illusione che ciò possa coincidere con la vita. L’unico amore che abbia mai conosciuto è la sua collezione privata: quadri ritraenti donne di ogni secolo, che ricoprono tutte e quattro le pareti di una stanza del suo appartamento. Virgil guarda i volti dipinti e sente di amarli, eppure la sua vita non possiede gli stessi colori brillanti, non è un’opera di altrettanto valore, quanto anzi un involucro vuoto. Oltre all’arte, a cui devolve la sua esistenza, ha un solo amico, il pittore Billy (Donald Sutherland), al quale non riconoscerà mai il talento. La rilevanza di Billy nella vita del protagonista sembra limitata all’aiuto che gli fornisce durante le vendite d’asta, comprando le opere che Virgil desidera per la sua collezione. È una vita votata alla solitudine, quella di Virgil Oldman, condizione visibile fin dalla prima scena del film dove, seduto da solo al tavolo di un ristorante, ricorda ai camerieri, i quali gli hanno portato una torta preparata a sorpresa dallo chef, che il giorno del suo compleanno non è l’attuale, bensì il seguente.
La monotona esistenza di Virgil Oldman viene improvvisamente spezzata dalla conoscenza di Claire Ibbetson (Sylvia Hoeks), giovane donna che supplica Virgil di occuparsi della valutazione e vendita dei mobili della villa appartenente ai suoi defunti genitori. Virgil, inizialmente infastidito dall’atteggiamento di lei che rifiuta di mostrarsi a chiunque, ne viene progressivamente attratto, fino ad innamorarsene. Un sentimento nuovo e più forte delle sue manie ossessivo-compulsive (la costanza della routine quotidiana, la precisione impeccabile, l’utilizzo di guanti in ogni situazione) si aggroviglia intorno al suo cuore, riscaldandolo di una nuova energia. Il suo rapimento, che si trasforma in attenzione e cura, riesce a distoglierlo dalla sua esistenza costruita sulla tecnica di opere realizzate da altri, così da permettergli di focalizzarsi sulla vita vera, che scopre con Claire. Per lei, tuttavia, uscire allo scoperto appare più complicato. La causa è il disturbo di cui soffre: agorafobia, la paura degli spazi aperti. Questa condizione le impedisce di uscire dalla villa e, quando qualcuno le fa visita, lei si chiude nella sua stanza e comunica attraverso la parete. Le arie che Baudelaire classifica come indicatori di bellezza (disincantata, annoiata, impudente, fredda, malata, infantile e noncurante) dialogano tra loro in Claire e portano Virgil ad invaghirsi di lei prima ancora di conoscerne il volto. Così, il protagonista decide di volerla aiutare a superare la sua paura di uscire all’aperto per insegnarle la vita. In questo modo, sposta la sua ossessione dalla finzione (l’arte) alla vita reale. Ma quanta verità appartiene a questa dimensione?
«Tutto può essere simulato», gli svela Billy in uno dei dialoghi più importanti del film. «Gioia, dolore, odio, malattia, guarigione. Perfino l’amore». Le sue parole si rivelano una fatidica prefigurazione dell’epilogo, che scopre la menzogna dietro la realtà di Virgil: Claire, come tutta la sua storia, si rivela nient’altro che una simulazione, col compito di entrargli nel cuore soltanto per poter accedere alla stanza della sua preziosa collezione e derubarlo di ogni opera, per poi sparire insieme a Billy, ideatore di tutta la truffa. Così la vita di Virgil termina nel momento che, invece, avrebbe dovuto segnare il suo esordio: il giorno delle sue dimissioni come battitore, quello che avrebbe dovuto essere il primo dei tanti della sua completa devozione a Claire. Nonostante tutto, Virgil non sporgerà mai denuncia, convinto che, sotto a tutta la recitazione della donna che lui ha conosciuto come Claire Ibbetson, ci fosse un sentimento vero per lui. Questa convinzione è suggellata dall’ultima scena che vede Virgil a Praga, di nuovo solo e seduto a un tavolo, all’interno del locale Night and Day, tanto caro a Claire. Virgil sceglie ugualmente di credere a quelle che sono state le parole di lei e di non rinnegare ciò che lui ha avvertito, dopo tutta la sua vita di mera esistenza, come vita piena. In questo modo, il segmento finale chiude circolarmente la vicenda del protagonista, di nuovo solo di fronte al segno del tempo che continua a trascorrere inarrestabile, suggerito ora dalla moltitudine di orologi che caratterizzano il caffè praghese, e inizialmente dalla candelina accesa portata sulla torta che Virgil guarda consumarsi, senza spegnerla. La ricorrenza sembra indicare quanto il tempo venga avvertito nei momenti di esistenza, in opposizione a quanto accade in quelli intrisi di vitalità: lo sviluppo della storia d’amore con Claire, infatti, risulta privo di segnali temporali, a sottolineare un totale coinvolgimento di Virgil in una sezione di vita che, se soggetta all’eterno ritorno nietzschiano, lo vedrebbe come Superuomo, capace di vivere ogni momento «ancora una volta e ancora innumerevoli volte»2. Tuttavia, l’eterno ritorno sembra concretizzarsi con la condizione iniziale di Virgil, che lo vede di nuovo spoglio dall’amore e, in più, appesantito dalla privazione della collezione, unico motivo di vita prima, e dall’abbandono di Claire, unico motivo di vita poi.
Dopo aver assaporato i sentimenti reali, Virgil non è più in grado di commuoversi per ciò che appartiene al dominio di tecnica e riproduzione, per ciò che è al di fuori di lui, rispettando la parabola che Oscar Wilde espone attraverso il personaggio di Sibyl Vane nel romanzo Il Ritratto di Dorian Gray: Sibyl, attrice eccellente che non ha mai conosciuto l’amore, perde tutto il suo talento innamorandosi di Dorian Gray, poiché il sentimento che prova per lui le fa realizzare quanto sia fittizia la dimensione dell’arte. Di fronte al suo rifiuto, la ragazza sceglie di andare incontro al suicidio. Ugualmente a lei, Virgil non riesce ad ignorare ciò che ha perso, ma, nonostante questo, accetta la sua condizione presente ed è pronto a riviverla perché testimone della pienezza, seppur illusoria, che l’ha preceduta: un sentimento dal valore più inestimabile di quello di tutti i quadri che ha mai posseduto.
L’amore reale che prova per Claire riesce anche a distoglierlo dall’ossessione che nutre per le sue opere che lo posseggono, in preda ad un fenomeno tipico dei collezionisti dalla condotta irrazionale, caratterizzati da un’attrazione patologica al collezionismo, inteso come realtà totalizzante. Tuttavia, diversamente dalla maggioranza dei collezionisti, mossi esclusivamente da interessi economici e dal prestigio sociale, piuttosto che da pura passione, Virgil si dimostra animato soltanto da amore disinteressato per tutte le donne dipinte che acquista: amore per poter amare, forse, anche se si tratta soltanto di figure in due dimensioni.
Soltanto in questo modo, ovvero con la tragedia, la vita di Virgil riesce finalmente a sposarsi con la dimensione dell’arte e a liberarlo dal se stesso che non ha mai pienamente vissuto, in una catarsi dal nichilismo voluta dalla consapevolezza del dolore.
Note
- Definizione da Oxford Languages
- Friedrich Nietzsche, La Gaia Scienza, 1882