Prologo: L’altra parte del cielo? Prendiamocela tutta!
Eccoci nuovamente qui, ad iniziare un nuovo anno di Almanaccqq+, il secondo. Ancora non realizzo che questo spazio, oggi, spegne la sua prima candelina. Piccoli Almanacchi crescono! Lo scorso anno ho deciso di farmi trasportare dalle atmosfere e dalle suggestioni del mese, creando dei cortocircuiti poetici e musicali, filosofeggiando (e non poco), cercando di portarvi, in modo gentile, all’interno del mio mondo, dei miei pensieri, delle mie passioni.
Per dodici mesi, ho creato delle piccole parentesi dal gusto retrò, talvolta malinconico, alle volte più lieto. Quest’anno ho deciso di attuare una mia piccola rivoluzione pacifica, portandovi all’interno di uno dei miei interessi principali: il femminismo. Prendendo a pretesto un evento del mese, che riguarderà sempre una donna o una questione femminista, in questo anno cercherò di rispondere, a modo mio, ad una domanda pregnante, che in realtà non è altro che un comprensorio di più questioni: “che cos’è il femminismo? Perché è così importante e giusto che si continui a parlarne? In che direzione sta andando il femminismo del XXI sec.?”.
Missione non semplice, nella quale spero di navigare al meglio, conducendo con voi un viaggio stimolante tanto quanto quello dell’anno solare appena passato. Come lo farò? Beh, sempre in stile “almanacco”, sempre nel mio stile: tra il serio e l’ironico, con una punta di poesia e gentilezza.
Sarà un almanacco un po’ più realista, un po’ più situato nello spazio e nel tempo, proprio come vi ho detto nell’epilogo dello scorso agosto omaggiando il buon Pierangelo Bertoli: «con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro» (A muso duro, 1979).
Settembre – Mafalda, Lucy e le altre: femminile “singolare” a fumetti
Argentina, 1963. Joaquín Salvador Lavado Tejón, giovane fumettista, si era appena affermato nel panorama artistico argentino pubblicando la sua prima raccolta di vignette mute, Mundo Quino. Quino perché, in famiglia, tutti lo chiamavano Quino, per distinguerlo da suo zio, Joaquín Tejón, pittore e disegnatore pubblicitario già affermato.
Il libro di Quino riscosse notevole successo, anche grazie alla sua prefazione, curata dal poeta e umorista argentino Miguel Brascò (14 settembre 1926 – 10 maggio 2014), il quale lo presentò all’agenzia pubblicitaria Agens. In quel periodo, infatti, l’agenzia era alla ricerca di un fumettista che potesse realizzare un cartone animato che fosse, come Quino stesso ha raccontato in più interviste, una “miscela di Blondie e Peanuts” , per il lancio di una linea di elettrodomestici, la Mansfield. Due sole erano le indicazioni: che i protagonisti avessero nomi inizianti per M e fossero perlopiù i membri di una famiglia.
Per Quino fu facile trovare il nome e l’idea: la protagonista del cartone si sarebbe chiamata Mafalda, e sarebbe stata una bambina con una folta chioma di capelli ricci neri, un tratto caratteristico probabilmente ispirata dalla protagonista di Dar la cara, una nota opera dello scrittore argentino David Vinas, che Quino amava molto. La storia, da questo punto in poi, è nota: la linea di elettrodomestici non venne più lanciata, e Quino, ormai ingaggiato come fumettista per varie testate giornalistiche, mise l’idea di Mafalda nel cassetto. Lì, però, ci rimase solo per un anno, fino al 29 settembre 1964: quando il Primera Plana pubblicò, sulle sue pagine, la prima striscia della Mafalda che conosciamo e abbiamo visto tutti almeno una volta nella vita.
La parabola di Mafalda durò ben dieci anni, finché Quino ebbe cose da dire e trovò divertente farla parlare. Le diede voce, per l’ultima volta, nel ’73, quando ormai era una presenza fissa su El Mundo ed era consapevole che la sua bambina avrebbe fatto grandi cose e avrebbe preso una strada tutta sua.
Ma soprattutto, visti i tempi non lieti, la salvò da un possibile triste destino: la censura. Mafalda infatti, se avesse continuato a parlare, sarebbe potuta diventare il primo bersaglio, o uno dei primi, del regime dittatoriale di Videla che si sarebbe imposto solo tre anni dopo.
Tradotta in tantissimi paesi, approderà anche da noi in Italia, per la prima volta, nel ’69, con una raccolta, edita da Bompiani, Mafalda la contestataria, la cui prefazione fu curata da Umberto Eco.
Cosa sappiamo di Mafalda? Che è una bambina di sei anni, che è riccia, che le piacciono i Beatles, che odia la minestra e soprattutto che è una rivoluzionaria, oltre che una contestataria, s’intende. Quello di Mafalda è un microcosmo dove la contemporaneità e il mondo che cambia vengono osservati con gli occhi di una bambina, una bambina che ovviamente parla e ragiona come un’adulta.
Eco la definisce “la bambina degli anni ‘70”, perché attraverso i suoi occhi assistiamo a tutte le contraddizioni non solo di un Paese, l’Argentina, ma di un periodo storico fatto di profondi cambiamenti, soprattutto per quello che concerne la riflessione femminista della Seconda Ondata, grazie alla quale “donna” diventa un sostantivo situato nello spazio, uno spazio sociale, fuori da quello convenzionale imposto per secoli dal patriarcato, ovvero casa, famiglia e maternità.
Mafalda è di certo una rivoluzionaria atipica, che come armi possiede gentilezza, parole e fiori. Lotta per la pace, non sopporta le ingiustizie, ma soprattutto non si sente compresa dal mondo circostante, del quale sa tutto e niente. Una cosa l’ha capita subito: non le piace, questo universo, e gli unici a poterlo cambiare sono i bambini, perché se gli adulti, che potrebbero cambiarlo, sono come i suoi genitori e quelli dei suoi amici, allora il mondo non ha speranza. È critica, Mafalda, nei confronti degli adulti, in quanto si scontra con una mentalità piccolo borghese arrendevole e che ha scarso interesse per le grandi questioni dell’esistenza e per i grandi problemi della vita come guerre, povertà e ingiustizie; ma è critica anche e soprattutto nei confronti delle persone del suo stesso sesso.
Da una parte c’è suo padre, Angel, impiegato presso un’agenzia di assicurazioni, al quale rimprovera di continuo la sua apatia, ma al contempo il suo essere assorbito dal lavoro e il suo compulsivo dedicarsi, per passatempo, al giardinaggio d’interni. Dall’altra c’è Raquel, sua madre, alla quale vuole molto bene, ma nei confronti della quale esprime una critica lucida e polemica. In ogni striscia dove si relaziona con “Mamita ”, emerge sempre come la perspicace ragazzina non si capaciti delle scelte di vita della madre, che ha lasciato gli studi per votarsi alla vita famigliare: la “tana della routine”, come viene definita in una delle tante strisce.
Solo da questo piccolo scenario si comprendono chiaramente le posizioni di Mafalda in merito alla maternità: per lei è qualcosa di inconcepibile, in quanto limitante quando si hanno delle aspirazioni legittime e dei sogni come i suoi. Il primo grande smacco al pensiero unico è, quindi, il rifiuto della maternità: una donna non può essere solo una madre, ma può aspirare a diventare un capo di Governo così come un’interprete alle Nazioni Unite (professione per Mafalda importantissima, data la sua natura pacifista e di mediatrice). Essere, in sostanza, importante per il mondo, e magari provare a cambiarlo.
Quello che Mafalda mette in atto è un femminismo di tipo intersezionale, ovvero in grado prendere in considerazione ogni tipo di esperienza femminile, ma anche decostruzionista. Decostruzionista perché nelle strisce, che sono composte sempre da quattro-cinque scene, lei prende atto di un problema, esprime il proprio giudizio critico, attende la risposta del contraddittorio da lei messo in atto, e infine scioglie il tutto con una massima, all’interno della quale è riscontrabile una soluzione, logica, tagliente, dissacrante, ma anche speranzosa. Nel caso di Mamita, a porsi è un conflitto generazionale, quello per il quale le nuove generazioni dichiarano che agiranno meglio e di più delle generazioni precedenti.
Che cosa succede, allora, quando Mafalda entra in un altro mondo, quello che la vede “altra da sé”, per rifarci alla lezione lacaniana, a contatto con le altre? “Le altre” sono principalmente Susanita e Libertad, altre due bambine dai caratteri e dalle aspirazioni diametralmente opposti. Susanita, seppur coetanea, seppur figlia del suo tempo, è il frutto delle posizioni conservatrici: la bambina, infatti, cresciuta all’interno di una famiglia ideale, tradizionale, non ha aspirazioni personali al di fuori di quelle della realizzazione familiare, quello che Susanita stessa definisce “folklore materno”, verso il quale Mafalda è ovviamente scettica, vedendo in lei il patriarcato stesso.
Libertad è l’altra bambina di Quino, forse la sua preferita, ancor più di Mafalda. Forse perché frutto di una speranza, quella che il futuro sia migliore del passato (e anche del presente). Libertad compare nel mondo di Mafalda verso la fine, intorno agli anni ‘70, e fa da contraltare di Mafalda stessa: intelligente, volitiva, con una mamma emancipata e lavorativamente realizzata (è una traduttrice dal francese e grande amante di Sartre).
Come ho raccontato all’inizio, Mafalda nasce una decina di anni dopo i Peanuts, un altro microcosmo fatto di bambini, con tante bambine grintosissime. Sicuramente, Mafalda sarebbe andata d’accordo con le bambine del colorato e arguto universo di Schulz, ma avrebbe anche discusso con loro. Di Lucy Van Pelt, ad esempio, criticherebbe sicuramente la sua venerazione quasi sconfinata per Schroeder, che non solo non la ama, ma letteralmente la umilia. Le criticherebbe anche l’innata tendenza a voler imporre a tutti i costi il proprio pensiero, impedendo così un contraddittorio proficuo. Parallelamente, apprezzerebbe il suo innato entusiasmo nel voler comunque dispensare il proprio sapere attrezzando il noto “banchetto psichiatrico”, con sedute alla modica cifra di 5 cent. Potremmo definirla un’antesignana di quella pratica di self-help che sarebbe stata la forza propulsiva dell’autodeterminazione femminista verso la fine degli anni ’60, quando iniziavano a radunarsi, negli scantinati, i gruppi di autocoscienza animati dal motto del “il personale è politico”. E apprezzerebbe anche il suo essere negata per il baseball, ma il suo imporsi tra i bambini chiedendo un certo rispetto.
Chi sarebbe stata notevolmente simpatica, a Mafalda, è Piperita Patty, che di tutti i Peanuts è sicuramente colei che porta avanti il maggior numero di battaglie: professa e rivendica l’uguaglianza di genere, data la sua capacità in tutti gli sport e il suo imporsi in un mondo all’epoca prettamente maschile, quello del baseball. Perché per lei «qualsiasi sport è facile, è la vita che è difficile». Seppur segretamente, ma neanche troppo, innamorata di Charlie “Ciccio” Brown, lo sfida continuamente, dimostrando la sua bravura proprio nel baseball. È un’anticonformista che abbatte ogni tipo di stereotipo femminile, soprattutto con quel look tra il naïf e l’hippy che a me ha sempre ricordato lo stile di Janis Joplin: bermudoni improbabili tutto l’anno, camicia col colletto e sandali stile Birkenstok, ma soprattutto, anche lei, capelli ribelli di un arancione curioso. Che i capelli ribelli siano un punto di forza di queste bambine?
Curioso è anche il caschetto di Marcie, la spalla di Piperita Patty, sua amica storica. Di tutti i Peanuts è la bambina più intelligente, che ha fatto della cultura, del sapere e dello studio uno strumento di emancipazione. Dall’amicizia con Piperita emerge profondamente anche un altro punto cardine della riflessione femminista, ovvero la solidarietà femminile. Basti pensare a tutta quella serie di strisce dove Piperita si mette in testa di voler partecipare ad una gara di pattinaggio e, dopo diversi incidenti di percorso, Marcie accorre in suo soccorso, facendole recapitare un costume di scena cucito appositamente per lei da sua mamma.
Un vero gioco di squadra, potremmo definirlo. Mafalda, Lucy, Piperita, Marcie e le altre, della ribellione e della sfida sociale, hanno fatto la loro bandiera, rendendole icone con approcci diversi al femminismo, accumunate però tutte e quattro da quel bisogno di autodeterminazione di cui parla costantemente Carla Lonzi nei suoi saggi, ovvero il riconoscimento e la validità dell’essere donna, perché altro dall’uomo, e in quanto donna, non “come uomo” (che era stato lo sprone della lotta per i diritti di voto della Prima Ondata). E dato che parlavo, in precedenza, del personale come atto politico, vi lascio una piccola curiosità:
Bibliografia:
- QUINO, Mafalda: femenino singular, Lumen, 2018
- QUINO, Mafalda la contestataria, a cura di Umberto Eco, Bompiani, 1969
- QUINO, Mafalda. Viva la contestazione!, a cura di Luca Raffaelli, Panini, 2004
- SCHULZ, Peanuts. Lucy, a cura di Luca Raffaelli, Magazzini Salani, 2019
- SCHULZ, Peanuts. Piperita Patty, a cura di Daniele Barbieri, Magazzini Salani, 2019
Sitografia:
- Per i brevi dati sulle vicende editoriali di Mafalda: https://www.quino.com.ar/biografia
- Per le informazioni a proposito del libro che ha ispirato Quino per il nome di Mafalda: https://www.bbc.com/mundo/noticias/2014/09/140929_cultura_cinco_curiosidades_mafalda_ch
di Marta Urriani
Mi chiamo Marta Urriani, classe ’98, e studio Lettere Moderne all’Università La Sapienza di Roma. Ho una folta chioma di capelli ricci, tanto che tutti mi chiamano Mafalda, come la bambina dei fumetti di Quino, con la quale ho molto in comune (e non solo i capelli). Cercando di sopravvivere alla vita universitaria, con il caffè di giorno e la camomilla di sera, leggo e scrivo. Mi interesso soprattutto di letteratura italiana e temi femministi.