Abbiamo raccolto tutte le canzoni in un’unica playlist: ascoltala su Spotify!
Corre l’anno 1972. Mentre ai piani alti della guerra fredda si cerca faticosamente una distensione, i cui obiettivi a breve termine riguardano la guerra in Vietnam e la regolamentazione delle armi nucleari, dopo i viscerali cambiamenti del Sessantotto il mondo è in subbuglio. Il 1972 esordisce con una domenica di fine gennaio che si tinge di sangue in Irlanda del Nord, ispirando la futura Sunday Bloody Sunday degli U2 , e vede un presidente americano mettere piede per la prima volta nella Cina di Mao. Alle Olimpiadi di Monaco, gli atleti della squadra israeliana vengono massacrati dai terroristi del Settembre Nero; poche settimane dopo, un Fokker F27 con a bordo una squadra universitaria di rugby precipita sulle Ande.
Nel Belpaese, il 1972 viene ricordato per l’elezione di Enrico Berlinguer alla segreteria del PCI, ma anche per la strage di matrice neofascista del 31 maggio a Peteano, in provincia di Gorizia, in cui l’esplosione di un’autobomba uccide tre carabinieri; sul versante opposto, le Brigate Rosse effettuano il primo di una lunga serie di sequestri di persona. Siamo nei primi anni di piombo, dopo la strage di piazza Fontana la tensione è alta, tanto che, in seguito, si arriverà a ipotizzare una “strategia della tensione”. L’Italia deve fare i conti con i problemi sorti nel dopoguerra, periodo di crescita economica, ma anche di cambiamenti sociali che, spesso, trovano una risposta inadeguata da parte della classe politica. In questa atmosfera cupa e turbolenta, brilla uno dei sodalizi più proficui della musica italiana: quello degli anni Settanta è, infatti, il decennio dorato di Battisti e Mogol, di numerose canzoni che arrivano dritte al cuore del pubblico e si inseriscono nel patrimonio culturale del Paese, come I giardini di marzo.
L’originale (1972)
ovvero “il Capolavoro”.
Ascoltare questa canzone è un po’ come riguardare delle fotografie sparse in una scatola. Dalla memoria riaffiorano i ricordi di Mogol, quasi quarantenne, che ripercorre la propria giovinezza durante e dopo la guerra: il carretto dei gelati, il vestito della madre, i cui fiori non appassiscono mai, la timidezza data dalla povertà, la solitudine. Il testo accenna anche alla primavera, nei “giardini di marzo che si vestono di nuovi colori” e nelle fanciulle innamorate; a chiudere le due strofe prima del ritornello, però, è il racconto di una storia d’amore al tramonto. Mogol ha recentemente ammesso la complessità di questi ultimi versi, che non rispecchiano dei veri ricordi, ma descrivono, piuttosto, una situazione immaginaria: ricollegandosi, forse, ai “nuovi amori”, l’autore racconta la confessione di una donna che si innamora di un altro e chiede aiuto al compagno che, ferito, l’abbandona ad “attrice di ieri”.
Due elementi si incastrano nei versi finali del ritornello, quando “l’universo trova spazio dentro me/ma il coraggio di vivere, quello, ancora non c’è”: la riflessione e l’inquietudine. I giardini di marzo non si limita a fornire una serie di episodi autobiografici o inventati, ma li rielabora per esprimere una condizione umana, universale. L’io lirico potrebbe essere rappresentato da un uomo che, come Mogol, ha vissuto gli anni della guerra e, probabilmente, risente del clima di forte tensione a lui contemporaneo – per quanto la canzone non presenti alcuna connotazione politica.
Dopo aver pubblicato il brano in Umanamente uomo: il sogno, Battisti incide anche una versione in francese, cambiando il titolo in Les jardines de septembre (con un buffo errore ortografico) per questioni di metrica. Qui il testo perde la primissima strofa, ma è abbastanza fedele a quello italiano, e Battisti se la cava abbastanza bene con la lingua d’Oltralpe – non si può dire lo stesso con l’adattamento tedesco Gärten im März, ma vista la mostruosità del tentativo è giusto apprezzarne il coraggio senza troppe pretese.
Mina (1975)
ovvero “Milleluci”.
La collaborazione (oltre che amicizia) tra Mina e il duo Battisti-Mogol ha regalato perle preziosissime come Insieme e Amor mio; non stupisce, perciò, che la tigre di Cremona abbia registrato un intero album di cover, Minacantalucio, la cui tracklist si apre proprio con I giardini di marzo.
Si può dire che tutto quello che Mina canta diventi oro e, grazie alla sua voce, questa cover è così luminosa da sembrarlo davvero. A livello testuale, l’io lirico cambia genere per adattarsi all’interprete – una scelta comune, all’epoca; a livello strumentale, invece, il ricco arrangiamento di Gabriel Yared, futuro premio Oscar per la colonna sonora de Il paziente inglese, riesce a trasmettere il senso di nostalgia originale, sostituendo l’inquietudine con calore e dolcezza. Un arrangiamento molto simile, quasi identico, verrà utilizzato nel 1977 dalla cantante greca Vicky Leandros, con Les jardins de semptembre e Πόσο Καιρό (Poso Kairo, “Quanto tempo”).
Vasilis Papakonstantinou (1984)
ovvero “Polì oréa!”
“Prima della fine”: questo il significato di Πριν το τέλος (Prin to télos), riadattamento della paroliera Lina Nikolakopoulou per Vasilis Papakonstantinou, cantante rock greco attivo dai primi anni Settanta, periodo nel quale il regime dei colonnelli entra definitivamente in crisi. Dopo il servizio militare, Papakonstantinou si trasferisce a Monaco, dove prende parte a organizzazioni contro la dittatura e muove i primi passi nel mondo della musica, esibendosi per i connazionali emigrati nella Germania Ovest. Ritornato in patria in seguito al colpo di stato del ’74, continua a suonare e, sperimentando insieme ad altri artisti, contribuisce alla modernizzazione della musica greca. Nel 1984 pubblica Διαίρεση (“Divisione”), che segna definitivamente la sua svolta nel rock; proprio in questo album è presente Πριν το τέλος.
La traduzione o, meglio, l’adattamento di un brano in un’altra lingua è un fenomeno interessante, a maggior ragione se non avviene da o verso l’inglese, lingua franca della musica; come abbiamo visto, Battisti stesso ha cantato in francese e tedesco, fatto allora non così raro. In questa versione, anche se in alcuni momenti la voce di Papakonstantinou cala, l’arrangiamento riesce a trasmettere una potente inquietudine, che si percepisce chiaramente, senza per forza comprendere le parole. Ma se la nostalgia rimane il tema principale, il testo di Πριν το τέλος, è una storia a sé, forse più vicina al pubblico greco del periodo. Ed è giusto così.
Eugenio Finardi (1993)
ovvero “Senza parole”.
Pianoforte e chitarra dominano la cover che Eugenio Finardi incide per Innocenti evasioni, tributo a Battisti che vede la partecipazione di altre personalità di spicco della musica italiana, come Anna Oxa e Mango. Senza la batteria la musica è quasi liquida, come a richiamare una pioggia battente, o un pianto incessante. Nell’ultimo ritornello, l’arrangiamento sale di tonalità e si tinge, oltre che d’inquietudine, di una profonda amarezza: le malinconie del testo, addirittura, “scorrono”, forse come lacrime su un volto.
A dispetto della versione di Mina, arrangiata da un compositore avvezzo al mondo della celluloide, quella di Finardi è molto più cinematografica. La bellezza di questa reinterpretazione è semplicemente da brividi.
Formula 3 (1996)
ovvero “Il passo più lungo della gamba”.
Un po’ come Mina, anche i Formula 3 hanno un rapporto speciale con Battisti e Mogol, in quanto sono gli unici ad accompagnare il cantante nelle due tournée della sua carriera – letteralmente due di numero. Indimenticabile la loro Eppur mi son scordato di te, cavallo di battaglia del gruppo, il quale si scioglie nel 1973 su decisione della Numero Uno, la casa discografica di Battisti (che ne è anche fondatore), per formare Il Volo – una coincidenza piuttosto buffa. Finita l’esperienza ne Il Volo, i membri originari dei Formula 3 torneranno a fare musica insieme soltanto nel 1990, reinterpretando spesso i brani del duo, come avviene nella compilation Formula 3 – I successi di Lucio Battisti, datata 1996. Sicuramente c’è molta stima in questa scelta, forse anche gratitudine, ma qui I giardini di marzo, più che inquieti, sono caotici.
Diciamo che, per una volta, l’allievo non supera il maestro. L’arrangiamento, in primis, è troppo pieno: il riff della canzone, che prima della seconda strofa viene eseguito con una chitarra elettrica, lascia un po’ perplessi, ma in generale si potrebbe fare a meno di qualche strumento (ad esempio la tastiera nel ritornello) e alleggerire il tutto. La bella voce di Alberto Radius non funziona, viene sovrastata dalla musica e, proseguendo, diventa eccessivamente tremante; nel primo ritornello, per di più, anticipa la base mentre canta “dove corrono dolcissime le mie malinconie”. La parte strumentale che precede la terza strofa, bellissima nell’originale, qui perde energia.
Ligabue (2006)
ovvero “Unplugged ci piace!”
Dopo Finardi, anche il Liga partecipa a un album dedicato a Battisti, Innocenti evasioni 2006, seguito dei progetti degli anni ’93 e ’94, e lo fa con una versione acustica de I giardini di marzo di tutto rispetto. L’arrangiamento è ridotto all’osso, ma non l’intensità, e la carica emotiva rimane intatta; spiace un po’ il silenzio che segue i versi finali: la ripetizione del riff (come nell’originale) avrebbe dato la giusta chiusura. In barba ai detrattori decennali, per l’Eclissometro è promosso.
È un adattamento de I giardini di marzo che richiama una serata in spiaggia davanti a un falò, con una chitarra e delle storie da raccontare – tanto per variare e non scomodare sempre gli Oasis con Wonderwall. Anche questa cover non sfigurerebbe all’interno una colonna sonora, o avrebbe meritato almeno un video tutto suo, magari ambientato nel presente di allora, per quanto il 2006 venga ricordato essenzialmente come l’anno dei Mondiali e dell’iconico riff di Seven Nation Army.
Santaeva (2013)
ovvero “Onde passate”
Troverete poche, sintetiche informazioni se digiterete “Santaeva band” nella barra del motore di ricerca – non soltanto “Santaeva”, attenzione, perché vi capiteranno risultati decisamente fuorvianti. Ciò che leggerete, seppur datato, sarà comunque interessante: un gruppo dark rock formatosi nel 2011 a Potenza da ex membri di una cover band dei Pink Floyd e un cantante (nonché tastierista metal) diplomato al CET, il Centro Europeo di Toscolano – in parole povere, la scuola di musica di Mogol. Alla faccia della coincidenza! Purtroppo, l’avventura dei Santaeva (quell’ ae in mezzo è da leggersi e) sembra essersi conclusa qualche tempo dopo la pubblicazione dell’omonimo EP, esattamente dieci anni fa; non è, però, un motivo per non entrare nella nostra lista e sottoporsi al giudizio spietato dell’Eclissometro!
La prima strofa, essendo così bassa, è in genere la più difficile da eseguire e, infatti, la voce del cantante non si può dire performante; recupera benissimo nel ritornello, si incastra bene nell’arrangiamento. A differenza dei Formula 3, la chitarra elettrica ha un suo posto – ci asteniamo dal giudicare l’assolo, anche se a un orecchio profano piace abbastanza –, non ci sono suoni ridondanti, anzi, l’aggiunta della chiusura al pianoforte convince. Se quello di Finardi richiama la pioggia, l’arrangiamento dei Santaeva nel complesso ricorda qualcosa di marino, uno sciabordio di onde contro gli scogli che arginano il mare, giusto per citare un brano coetaneo dell’originale, Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi.
Enrico Ruggeri (2020)
ovvero “Dai che la portiamo a casa”.
Tra il 2019 e il 2020 va in onda Una storia da cantare, varietà di Rai 1 condotto da Bianca Guaccero ed Enrico Ruggeri su alcuni degli artisti più importanti della musica italiana, i cui brani vengono interpretati da cantanti contemporanei e poi votati sui social, ottenendo infine la canzone più amata dell’artista di turno. L’ultima puntata della prima edizione è dedicata al duo Battisti-Mogol, e tra gli ospiti vede proprio il secondo. Unica nota dolente, il giudizio veramente spietato del nipote di Battisti, per niente felice della puntata, che intervistato dal Giornale commenta: “Un disastro, lo hanno fatto morire due volte”.
A interpretare I giardini di marzo, in diretta, è lo stesso Ruggeri, che qualche tempo dopo rilascia un EP con tutte le cover interpretate durante il programma. Il suo modo di cantare, che riguarda sia il timbro che l’articolazione delle parole, può essere divisivo: o piace o non piace, non ci sono vie di mezzo. Certo, Ruggeri conosce bene il suo mestiere, non si può dire che non abbia orecchio: l’arrangiamento funziona, forse risulta un po’ troppo liscio rispetto alla voce più roca, ma scorre bene nei cambi di tonalità tra le strofe e i ritornelli. Non è il miglior riadattamento de I giardini di marzo, non in questa lista, però se la cava.
(Per dovere di cronaca, e visto che si sono esibiti insieme qualche settimana fa, è giusto segnalare anche le cover di Eros Ramazzotti (dal vivo) e Ultimo (in collaborazione con Amazon Music), che potete recuperare sul tubo; sul versante metal, citiamo gli sconosciuti Exedra con la propria versione del 2009, la cui qualità di riproduzione purtroppo è abbastanza bassa.)
La parola ricorrente di questa lista, lo avrete notato, è inquietudine: I giardini di marzo è una canzone profondamente inquieta, uno specchio interiore in cui si riflettono ricordi, sentimenti e paure comuni, e ci riesce persino dopo cinquantun anni, innumerevoli guerre e una pandemia dagli esiti incerti. Viviamo in tempi inquieti, è il termine più adatto per definirli, e le nostre mani tremano ancora davanti al futuro, inutile nasconderlo. Si spera che tra altri cinquantun anni, salvo imprevisti, qualcuno rilegga le pagine sugli anni ’20 del Duemila e tiri magari un sospiro di sollievo. L’unica certezza è che una canzone del calibro de I giardini di marzo non si scrive due volte.
Joanna Dema
Sono Joanna, senz’acca e con la J di Just Dance, per quanto sia un pezzo di legno. Non sono molto brava a parlare di me seriamente, perciò preferisco che lo facciano gli altri. Essendo nata nel ’98, dovrei avere più di vent’anni, ma ho iniziato a contarli al contrario perché la gente non me ne dà più di quindici. Pare che a quaranta sia una bella cosa. Si spera di arrivarci, apocalisse permettendo. Spero anche di finire la magistrale in traduzione prima che sia lei a finire me, ma ride bene chi ride ultimo…
Non fiori, ma cioccolatini (a un primo appuntamento).