Salti generazionali
Gli sport estremi come sottoculture giovanili
Se vi siete mai interessatə di sport, saprete che esistono varie categorizzazioni ed etichette entro cui ogni disciplina può essere attentamente catalogata e definita. Che si tratti di giochi a squadre, arti marziali o discipline acquatiche, ogni sport appartiene a una categoria univoca prestabilita; del resto, ciò si riflette nell’esistenza di innumerevoli e antichissime federazioni sportive, che governano regolamenti interni e competizioni in modo ferreo e autorevole.
C’è stato, però, un breve lasso di tempo in cui quest’impalcatura ha rischiato di crollare: colpita da un’onda imprevista e imprevedibile, la struttura “burocratica” e politica delle istituzioni sportive porta tutt’oggi i segni di un evento di tale portata. Ma chi sono i protagonisti di questo attacco – almeno in parte involontario – che ha segnato così nel profondo la storia sociale del nostro tempo?
C’è una categoria di discipline sportive che è spesso stata lasciata in disparte, ma che per la sua importanza socio-culturale rappresenta un tassello fondamentale nella comprensione della storia contemporanea. Tale è il peso che gli sport estremi possono ricoprire agli occhi di chi sappia guardarli da una prospettiva diversa da quella del mainstream, che invece li ha sempre etichettati come eccessivamente rischiosi e poco educativi, ma soprattutto come dei “non sport”. Quel che salta subito all’occhio, infatti, tornando agli ultimi decenni del Novecento (periodo di massima espansione di discipline come lo skateboard), è l’opinione quasi nichilista che la cultura ufficiale tendeva a riservare a questo tipo di attività. L’influenza delle autorità sportive, del resto, ha fatto sì che le discipline estreme venissero spesso ridotte a semplici passioni giovanili, nonostante esse fossero promotrici di un atteggiamento più libero e creativo che portasse a creare nuove filosofie di movimento e visioni rinnovate sull’attività fisica. Impossibile il confronto con eventi al limite del sacro come una partita di calcio; del resto, quello che un occhio poco attento poteva cogliere dall’esterno era solo un gruppo di giovani intento a cambiare le regole e le dinamiche di sport già esistenti, o mescolarli tra loro.
La fusione di questi due elementi, cioè la gioventù e la rivoluzione delle regole, costituisce la chiave di volta che permette di comprendere come la nascita degli sport estremi abbia lasciato un segno simile a quello apposto sulle linee del tempo da altre sottoculture e movimenti sociali. Pensate al rap, ad esempio: a partire da un’eredità musicale millenaria, i primi giovani rapper hanno provato a stravolgere i canoni e le convenzioni della musica ufficiale. Ne è risultato un modo tutto nuovo di intendere il ritmo e la melodia, che ha causato un tale stravolgimento nell’industria musicale da portare, anni dopo, a classifiche di vendita dominate da un genere inizialmente reputato inferiore. Paragonate tutto ciò con la storia dei primi skater, nati e cresciuti fra le strade delle città costiere della California imitando le movenze di uno sport culturalmente rilevante come il surf, e il parallelo apparirà chiaro. Ed ecco così che movimenti apparentemente estranei al mondo sportivo, dai graffiti alla rivoluzione del vestiario casual e street, si sono legati in modo indissolubile all’avvento di nuove discipline. Dagli anni ’60, con la nascita dello skateboard, fino al Duemila e oltre, con l’esplosione del parkour, centinaia di migliaia di persone hanno scelto di rifiutare la visione “ufficiale” dello sport a favore di un approccio profondamente diverso al movimento e all’attività fisica. Nel tempo alla definizione di “sport estremi”, così difficile da definire in via ufficiale eppure immediatamente comprensibile, si è unita una serie infinita di movimenti e culture diverse tra loro. Sono definibili “estreme” pratiche sportive come il bungee jumping e il paracadutaggio, ma anche varianti alternative di sport mainstream, come nel caso dello sci freestyle. A queste si aggiungono poi altre discipline le cui origini risalgono a periodi precedenti a quello di massima importanza per quanto concerne la popolarità di queste specialità. Casi importanti in questo senso sono rappresentati dal surf e dalla mountain bike, che trovano nel rapporto diretto con la natura quell’elemento di rischio che è alla base di un modo di intendere l’esercizio fisico passando sempre attraverso la ricerca di una scarica di adrenalina.
Capiamo allora che decidere di lanciarsi a piena velocità sui sentieri di montagna con una mountain bike, o cimentarsi in salti e movimenti indossando un paio di rollerblade, sia in tutto e per tutto una presa di posizione culturale e, in parte, politica; laddove la cultura ufficiale fa di norme e limitazioni il proprio focus, creando talvolta ambienti elitari e poco accessibili, le nuove generazioni decidono di guardare altrove, riconoscendosi in comunità accoglienti che stimolano il loro pensiero critico. È importante far notare, inoltre, come non siano solamente persone “anagraficamente giovani” a costituire questi gruppi sportivi e culturali: quello a cui ogni appassionatə di sport estremi appartiene è un concetto di generazione ben più ampio di quello “temporale” a cui siamo solitə riferirci. Quel che conta, in questo caso, è l’intenzione di esprimere in qualche modo il proprio dissenso rispetto ad un modello dominante; al contempo, si cerca di proporre una valida alternativa che possa costituire un ambiente virtuoso che sostenga la crescita – fisica, ma anche culturale – degli individui. Non importa poi molto, dunque, se si tratta di scalare una parete il più velocemente possibile o compiere l’evoluzione più originale su un paio di sci. Quel che conta è osservare come la gioventù degli sport estremi riesca a lasciare un segno concreto su più livelli della realtà. Va infatti considerato come la nascita di alcune di queste discipline si intersechi, ad esempio, con una rivoluzione nella geografia urbana: i casi dello skateboard e del parkour, nati e sviluppatisi in contesti cittadini, rappresentano solo in parte la capacità di queste tendenze dell’esercizio fisico di rivoluzionare lo sguardo mainstream sull’architettura e sull’utilizzo degli spazi pubblici.
Rimane, a questo punto, una sola domanda: qual è la situazione odierna? Se è vero che, come abbiamo detto in precedenza, sono già passati all’incirca sessant’anni dall’avvento dello skateboard, si rende indubbiamente necessario analizzare la questione da un punto di vista anche storico. Non si può negare come, al giorno d’oggi, i valori che caratterizzano la gioventù siano profondamente cambiati rispetto a qualche decennio fa; ciò permette dunque di comprendere come il fascino esercitato dalle discipline estreme emergenti di un tempo non abbia più la medesima presa sugli individui che vivono nel contesto attuale. Prendiamo come esempio lo skateboarding, che grazie alla sua iconicità ha sempre rappresentato un ottimo riferimento per ricerche e indagini. Dati alla mano, ci si accorge che il movimento – e dunque l’intero blocco degli sport estremi – abbia subito un profondo cambiamento. Se da un lato la cultura dello skate è arrivata a toccare punte di popolarità che l’hanno avvicinata man mano alla cultura popolare mainstream, con un conseguente aumento nel numero di partecipanti attivi1, dall’altro buona parte della rilevanza culturale del movimento è andata scemando. Quel che è accaduto è che l’attenzione crescente riservata allo sport l’ha portato a doversi affiliare a un’istituzione preesistente (in questo caso la FISR, Federazione Italiana Sport Rotellistici) che moltə appassionatə trovano però inadatta a rappresentare valori e caratteristiche di una cultura ampia e impossibile da incasellare. Un caso simile si riscontra anche per quanto riguarda lo sci freestyle, costretto a sottostare alle strettissime norme delle federazioni internazionali di sport invernali. La somiglianza con quello stesso tipo di dinamiche che avevano in un primo momento portato alla nascita di questi nuovi movimenti apre a diversi scenari, alcuni dei quali sono però indubbiamente positivi.
Quel che è auspicabile, infatti, è che questa fase di “assestamento” delle discipline estreme e, più in generale, di alcune delle sottoculture più influenti della nostra epoca, possa essere uno spunto per la nascita di nuove sottoculture sportive. Un movimento interessante, anche se ancora nella sua fase iniziale, è quello dei citibikeboyz2: in questo caso, più che di una disciplina, si parla di un gruppo di persone che portano avanti una propria filosofia di movimento solo apparentemente futile, ma in realtà incredibilmente sfaccettata. L’idea, in questo caso, arriva da un gruppo di giovani di New York, che hanno iniziato a utilizzare le biciclette dei servizi di bike sharing della città per compiere salti ed evoluzioni. La forza di questa dinamica, inizialmente vista unicamente nell’ottica negativa del danneggiamento dei mezzi, sta nell’intuizione di proporre la propria visione attraverso un account Instagram su cui vengono regolarmente postate brevi clip video. In questo modo, il gruppo è riuscito a proporre una nuova visione sull’utilizzo di questi mezzi di trasporto ormai così popolari, rivoluzionando completamente la chiave di lettura della cultura ufficiale. Ne è risultato un boom di popolarità non indifferente, che non esclude la possibilità di vedere un simile movimento trovare spazio anche in altre grandi metropoli del mondo, o dovunque esso possa trovare menti aperte e creative alla ricerca di nuovi stimoli.
Dunque, quel che si evince è che, nonostante il passare degli anni e i profondi cambiamenti sociali che regolarmente stravolgono il panorama socio-culturale della nostra epoca, lo spirito rivoluzionario e anticonvenzionale che risiede alla base degli sport estremi rimanga tuttora fonte di ispirazione per le nuove generazioni. Non è facile determinare quale direzione queste dinamiche possano prendere nel futuro, ma ci sarà sempre qualcunə a tentare di saltare sempre più lontano e sempre più in alto, al di là di ogni ostacolo che si parerà sulla strada.
di Matteo Capra