Chiunque sa cosa sia il disgusto: da un punto di vista psicologico viene definito una delle sei emozioni primarie universalmente riconosciuta, provata da ogni individuo almeno una volta nella vita, anche se a intensità differenti e per altrettanti diversi motivi.
Tuttavia, non mi trovo qui per dare un approfondimento scientifico, bensí voglio trasportarvi nel mondo dell’arte, specialmente quella contemporanea, in cui si è tentata la realizzazione del disgusto quasi fosse una sfida tra artista e spettatori; nel campo dell’estetica si forgia questo concetto come fenomeno artistico, inizialmente da evitare ma a oggi parte integrante di moltissime opere.
Quando parlo di estetica mi sto riferendo a quella recentissima branca del pensiero filosofico che si concentra sullo studio della bellezza naturale e creativa o, come la definirebbe Alexander Baumgarten, padre1 di questa disciplina, quella “Dottrina della conoscenza sensibile, dotata di un valore particolare, definito valore poetico“.
Probabilmente, si rimane interdettə nel sapere che da principio il disgusto non era propriamente parte dell’ambito estetico: infatti pensatori come Moses Mendelssohn lo indicano come ciò che non doveva assolutamente essere rappresentato2. Era opposto al bello, limite dell’estetico stesso, e non si trattava solo di ripugnanza strutturale di un’opera, ma anche etica. Nel disgusto risiedeva la malvagitá, l’immoralitá, perció proprio per questo motivo doveva essere considerato confine di questa disciplina, una barriera da non oltrepassare.
Chiaramente non fu cosí e la dimostrazione ci viene fornita in primis dal dibattito3 sul disgusto che a partire dalla metà del Settecento si protrarrá per diversi anni per poi scemare lentamente, successivamente anche dal focus di questo articolo che riprende il tema ormai apparentemente passato in secondo piano. Infatti questo scritto non consiste in un percorso storico-dottrinale della ‘tremenda’ emozione, bensì nel modo attraverso cui é riuscita a farsi strada nei secoli per poi riuscire ad essere sfruttata come protagonista di moltissime opere contemporanee.
Prima di parlare di artisti odierni è bene fare alcune precisazioni in grado di aiutarci nella transizione temporale. Anzitutto, come citato in precedenza, il disgusto è un tema che fu marginalizzato dai pensatori settecenteschi poiché tematiche molto più salienti erano al centro dell’attenzione, come il concetto del sublime durante l’Ottocento e ancora la definizione di opera d’arte nel Novecento. In sostanza una volta trovata la definizione ottimale e il ruolo principale del disgusto, si è andati oltre soffermandosi su aspetti maggiormente innovativi o problematici.
Nonostante ciò la sua marginalizzazione è solo apparente, dal momento che ritorna molto di più come protagonista dell’attualità: esso è il movente dell’interessamento collettivo, quella sensazione che ci spinge a indagare gli artisti e le loro creazioni.
É nella contemporaneitá che l’arte, in ogni sua forma, si è data al superamento dei limiti: dapprima individuati nel disgusto, dentro il quale risiedono confini insuperabili che possono essere morali, concettuali, psicologici, e poi ritrovati a partire dalle avanguardie fino agli artisti o performer più attuali come nel caso di Millie Brown, il cui talento risiede letteralmente dentro di lei.
La Brown vomita la propria arte sulla tela creando fantasiosi pattern colorati molto simili ad un dipinto ad acquerelli; certamente può sembrare disgustoso, ma altrettanto interessante se si considera la preparazione rigida antecedente alla creazione e soprattutto il concetto racchiuso nel suo modo di esprimersi.
Per quanto riguarda il primo punto, è bene sottolineare che la giovane inglese non vomita i suoi pasti quotidiani, anzi, si sottopone ad un rigido regime alimentare almeno tre giorni prima rispetto alla realizzazione dell’opera. Al momento della performance beve un bicchiere di latte alterato con coloranti alimentari ed ecco che inizia la prima ondata colorata, a seguire il bicchiere successivo e quello dopo ancora finché la tela non è completa.
Certamente, la sua arte viene prodotta a discapito della sua salute, lei stessa ne è consapevole parlando in un’intervista con la famosa rivista The Guardian: “Ho iniziato a soffrire di emicrania” – oltre che aver dichiarato di necessitare di un mese di pausa tra una performance e l’altra.
Millie, però, vuole che le persone si soffermino a riflettere e apprezzare il messaggio dietro il suo operato: sempre nella stessa intervista (che invito a leggere) afferma: “Volevo usare il mio corpo per creare arte, […] Desideravo che provenisse veramente da dentro, creare qualcosa di bellissimo che fosse crudo, incontrollabile.” Possiamo dire che ci é riuscita, indipendentemente dal pensiero favorevole o contrario di critici e opinione pubblica.
Ma facciamo ancora un balzo verso il 1973, quando Gina Pane, body artist francese, mette in scena l’Azione Sentimentale. In questa performance carica di simbolismo l’artista ha con sé due mazzi di rose, bianche e rosse, e lentamente inizia a conficcarsi nel braccio sinistro le spine dei fiori autoinfliggendosi delle ferite sanguinolente agli arti superiori.
Coloro che non intendono apprezzare e soffermarsi sul messaggio dell’artista potrebbero pensare “Disgustoso! Ma come si fa?”; eppure, il bello dell’arte contemporanea risiede esattamente nell’andare oltre la sensazione raccapricciante che può far provare a primo impatto un’opera di questo calibro, al fine di concentrarsi sulle tematiche esposte.
Gina Pane infatti è un’artista molto influente all’interno del panorama artistico-femminile del Novecento e proprio in questo contesto vuole dar voce alle donne ribellandosi concettualmente a un ideale di estetica femminile imposto. Le ferite autoinflitte non sono altro che un mezzo per risvegliare le coscienze del pubblico, aspetto necessario e fondamentale per le sue performance, inserendo anche una sfumatura di religiosità tipica della sua arte definita da lei stessa ‘sacra’4.
Non basterebbe un articolo per dare giustizia alla complessità delle opere di Gina Pane, perciò al momento mi limito a consigliare la visione di Azione Sentimentale attraverso le foto rimasteci come testimonianza del suo genio.
Come ultimo artista degno di menzione abbiamo Andy Warhol, padre della pop art e tendenzialmente riconosciuto per il quadro ‘Dittico di Marilyn’. Mai mi sarei aspettata che esistessero tele contenenti liquidi corporei di artisti e invece a oggi possiamo assistere alla serie Cum Paintings e Piss Paintings dove Warhol ci ha ‘deliziati’ immortalando la tela delle sue sostanze.
Sorvolando il fatto che alcune di queste siano state comprate ad una cifra non indifferente per quanto possa risultare assurdo alla maggior parte delle persone, ci troviamo di fronte ad una situazione in cui sembra molto difficile poter superare la sensazione di disgusto. Tuttavia, è un ostacolo necessario da abbattere per poter entrare nella mente del creatore, dove la chiave di interpretazione di questa serie di quadri può essere ritrovata nella sperimentazione, un processo essenziale dell’arte contemporanea che non é creata per durare nel tempo ma per essere apprezzata sul momento.
Warhol è una delle menti più innovative e controverse dell’ultimo secolo che non ha influenzato solo il mondo pittorico ma anche quello cinematografico, ambiente sempre più emergente in cui il disgusto trova ampio spazio di rappresentazione. In questo contesto possiamo citare in che modo l’artista lo ha rappresentato realizzando una commedia macabra, a tratti nauseante per la facilità con cui inscena alcune vicende.
La pellicola in questione è Il male di Andy Warhol o Andy Warhol’s bad del 1977, ultima sua produzione filmica prima di morire. Senza rischiare di svelare troppo del film e rovinare la sorpresa a chi volesse vederlo, basti sapere che la storia vede protagonista una casalinga di nome Hazel la quale nel tempo libero si occupa sia di accorciare i capelli delle sue clienti, sia di loschi affari tra cui l’omicidio degli sfortunati di turno. La storia ruota intorno a lei e alla sua nuora, alle loro scelte moralmente discutibili e a scene di forte impatto come la defenestrazione di un infante con successivo schianto brutale al suolo.
Se possono sembrare rappresentazioni di cattivo gusto o troppo spinte per molti, in realtà al centro di questa riflessione si trova proprio la sperimentazione, il superamento dei limiti e quindi del disgusto che sono temi caratterizzanti quest’ultimo secolo, nonché ció che piú incuriosisce noi spettatori: infatti, ci chiediamo fino a che punto si puó arrivare, se è possibile spingersi oltre scoprendo nuove tematiche e metodi comunicativi, a prescindere che si tratti di vomito su tela o di atti estremi come l’autolesionismo in virtú dell’arte.
Disgusto significa superamento di questi limiti umani tanto da un punto di vista etico quanto da un punto di vista fisico; è un’emozione che va indagata e accolta e a parere mio, è anche una delle basi fondamentali dell’espressione artistica odierna: stuzzicante, trasgressiva, intensa, polemica.
Note
- Il termine estetica deriva dal greco αἴσϑησις e intendeva indicare la conoscenza riguardo l’uso dei sensi, la capacitá di sentire. Baumgarten è il primo ad utilizzare questo termine associato all’arte. Disciplina estetica secondo Treccani Definizione termine estetica secondo Treccani.
- Fonti per le informazioni e consiglio a tutti coloro interessati ‘Estetica del disgusto Mendelsshon, Kant e i limiti della rappresentazione’, di Serena Feloj, Carocci editore.
- Ibidem
- Estratti di interviste a Gina Pane e testimonianze: Questione Civile, Tempi
di Erika Pagliarini
Mi chiamo Erika, nata nel 2001 praticamente con la penna in mano. Attualmente studio Filosofia a Pavia ma posso considerarmi da sempre appassionata di arte e scrittura, motivo per il quale ho deciso di percorrere una strada affine ai miei interessi aggiungendoci un tocco di trash e riflessioni personali. Spaziando tra cinefilia, disegno e lettura adoro sfruttare i miei interessi e ricavarci storie personali che possano colpire gli altri e dare espressione ai miei pensieri.