Ancora non riesco a dire se lo studio universitario mi abbia fuso il cervello, ma devo confessare che i libri che trovo più soddisfacenti da leggere sono quelli più dark, inquietanti e disturbanti; ancora meglio se letti nei contesti di vacanza più rilassanti del mondo.
Credo di aver esterrefatto qualche vecchietta che ha osato sbirciare lo schermo del mio computer, mentre scrivevo l’anno scorso in totale tranquillità, seduta a un tavolino in riva al lago, la recensione di un libro sulla moralità del cannibalismo e delle sue implicazioni oggi. Ebbene, oggi torno con una doppietta letale, non più sull’antropofagia, bensì sul sentirsi “alieni” rispetto alla società e all’impossibilità di inserirvisi (e anche qui, niente di nuovo sul fronte occidentale dei miei articoli).
I due libri di oggi sono dell’autrice giapponese Sayaka Murata: nata a Inzai, nella prefettura di Chiba, nel 1979, dimostra fin da piccola una grande predisposizione per la scrittura e una forte passione per i manga e i romanzi di fantascienza. Sicuramente, chi bazzica su TikTok avrà già sentito parlare di lei e di questi due romanzi, ovvero La ragazza del Convenience store (2016) e I terrestri (2018). Questi sono tra i due più recenti di Murata, che ha iniziato a scrivere narrativa nel 2003 con il racconto Allattamento al seno, il quale ha anche vinto il Gunzō Prize for New Writers. Quasi inspiegabilmente, come succede per molti libri del “BookTok”, le due opere di Murata hanno acquisito trazione e viralità, tanto da poter essere considerate “classici” consigli per chi è in cerca di letture disturbanti. Presa dalla curiosità e dalla smania di assaporare un’inquietudine di stampo giapponese, inedita alle mie papille da lettrice (forse, anche un po’ masochista), mi sono gettata nella lettura di questi due romanzi.
Il titolo La ragazza del Convenience store è abbastanza esplicativo della vicenda: Furukura Keiko è un’impiegata trentaseienne in un “convenience store”, cioè una sorta di discount, ma che in giapponese (konbini) indica un preciso esercizio di vendita al dettaglio di una gamma di prodotti, soprattutto alimentari, aperto 24 ore al giorno, 365 giorni l’anno. Praticamente, si tratta di un minimarket di quartiere, diffuso capillarmente anche in zone rurali o periferiche delle città giapponesi.Quella di Keiko sembrerebbe una vita normale, se non fosse che lavora in un konbini da diciotto anni, avendo anche abbandonato gli studi. I suoi famigliari e amici sono preoccupati per lei, vogliono che si sistemi con un uomo e metta su famiglia al più presto. Inoltre, Keiko si è sempre comportata in modo a dir poco “bizzarro” fin da piccola, facendo fatica ad accettare le convenzioni sociali. Le precise regole di comportamento del konbini, con frasi precise da esclamare squillanti per accogliere il cliente e congedarsi educatamente in modo da invogliarlo a tornare, sono la salvezza di Keiko, che, essendo da sempre una grande osservatrice (ma sempre “guardando dall’esterno”, senza partecipare), diventa la migliore impiegata del suo convenience store, imitando alla perfezione le espressioni facciali che il suo manager le insegna e attenendosi maniacalmente alle regole del minimarket. La routine sempre uguale, settimana dopo settimana, è rassicurante per Keiko, ma gradualmente risveglia sempre più sospetti nei suoi confronti da parte non solo dei suoi famigliari, ma anche dei suoi colleghi. La catena di azioni quotidiane identiche giorno dopo giorni viene però spezzata senza preavviso dall’arrivo di un nuovo dipendente, un trentacinquenne dalle idee decisamente strambe rispetto alla vita in società e in cerca di una moglie. Come reagirà Keiko allo sconvolgimento dell’ordine?
La stessa Sayaka Murata ha lavorato per due anni in un konbini e questa esperienza le ha dato la possibilità di osservare da vicino una miriade di clienti giorno dopo giorno e collezionare mentalmente le loro storie1. In tutto il romanzo, la scrittrice dedica paragrafi su paragrafi in prima persona alla descrizione quasi ossessiva delle impressioni sensoriali che l’ambiente del convenience store lascia su Furukura Keiko: una fiumana di suoni, colori, odori, texture e, a volte, anche sapori si riversa nei sensi, quasi stordendo il lettore, che si trova catapultato a forza dentro al minimarket, costretto a seguire le azioni precise e maniacali della commessa. La routine non lascia scampo, occupa prepotentemente anche la vita privata di Keiko, che segue la parchezza e precisione solite perfino nel nutrirsi e sistemare il proprio appartamento. Spesso la protagonista parla di se stessa come un meccanismo di un ingranaggio: è riuscita a trovare il suo posto nella società e non trova motivi per lasciarlo, nemmeno le continue pressioni della sua famiglia, che farebbe di tutto pur di “guarirla” della sua stranezza.
In questo piccolo mondo che si regge sulla normalità gli elementi estranei devono essere eliminati, uno dopo l’altro, in silenzio. Le presenze anomale vanno scartate.
Ecco perché devo guarire. Altrimenti sarò allontanata dalla grande tribù delle persone “normali”.
Sayaka Murata, La ragazza del Convenience store
Ne I terrestri, Murata spinge il lettore a fare un ulteriore passo avanti e testa i suoi limiti di sensibilità. La protagonista è Natsuki, una bambina delle elementari che si sente incaricata dal suo amico immaginario Pyut, un alieno del pianeta Pohapipinpopobia, di proteggere la Terra dalle forze del male. Pyut le ha donato dei poteri magici e le ha rivelato che anche lei è una pohapipinpopobiana: lei si sente diversa dal resto del mondo perché, effettivamente, non si considera “terrestre”. Grazie a questo espediente, la scrittrice descrive gli eventi traumatici che Natsuki vive in maniera totalmente estraniata, in quanto la bambina affronta la sua quotidianità mediante un vero e proprio fenomeno dissociativo, che le permette di “staccarsi” dal suo corpo e osservarsi in terza persona come metodo di sopravvivenza. Ai nostri occhi, che invece sono ben più consapevoli della povera Natsuki, ci rendiamo conto della realtà crudele degli eventi che le capitano e devo ammettere che si fa fatica a leggere certi passaggi dall’incredulità per ciò che Natsuki deve sopportare. L’unico sollievo le è dato da suo cugino Yuu, suo coetaneo e anche lui “alieno”: l’empatia reciproca tra loro, mancante invece da parte di tutti i loro famigliari, porterà a una decisione a dir poco controversa, ma che sembra l’unica via d’uscita per due bambini che vogliono solo essere capiti.
Murata porta avanti la narrazione con descrizioni estranianti, “aliene” ai nostri occhi, puntando tutto sulla nostra comprensione del sottotesto, e una costante tensione tra la vità in società e il punto di rottura che porterebbe alla liberazione dai vincoli “terrestri” e all’escapismo dalla Terra. Decisamente, non è una lettura per tuttə: consiglio di leggere preventivamente i trigger warning.
Murata non sa spiegare come le vengano in mente queste idee, ma scrivere un romanzo per lei è come condurre un esperimento per testare situazioni che non sono possibili nella vita reale, nella speranza che, da questa “reazione chimica”, possa imparare qualcosa che la vita normale non le potrebbe mai insegnare: scrivere qualcosa di irrealistico per trovarvi della verità. In generale, molti dei ruoli principali dei suoi romanzi riguardano persone intrappolate, che si sentono prede della società e che soffrono per dei continui cambiamenti ai quali non riescono ad adattarsi. “Sarebbero perfettamente contenti a vivere da soli, ma la società li perseguita per questo desiderio”. La scrittrice sottolinea spesso nei suoi romanzi l’obbligo imposto dalla società che le donne sentono gravare sul proprio corpo, ovvero accasarsi e fare un figlio il prima possibile, prima che il fisico non ne sia più un grado. Ne I terrestri, Natsuki parla della società come un’enorme fabbrica e i cittadini come semplici dipendenti, divisi nei loro “nidi”. Da come Murata descrive tutto questo, la scrittrice stessa sembra davvero un’aliena scesa in Terra per analizzare le abitudini umane e farne un resoconto scientifico da riportare ai propri superiori.
Il mio utero e i testicoli di mio marito non ci appartenevano, dovevamo usarli a tutti i costi per produrre nuove vite, obbedendo alle regole della società, perché quella era l’unica legge buona e giusta. Sì, bramavo come non mai il lavaggio del cervello, volevo dimenticare tutto e trasformarmi al più presto in un perfetto ingranaggio, così almeno sarei stata uguale agli altri e avrei smesso di soffrire. (…) e sarei vissuta per il resto dei miei giorni nel fantastico mondo della realtà virtuale dei terrestri.
Sayaka Murata, I terrestri
Note
- Sayaka Murata: ‘My parents don’t want to read my books’ | Financial Times (DISCLAIMER: questo articolo contiene spoiler!)
di Vittoria Tosatto
Nata a Vimercate nel 2001 e cresciuta nei meandri della Brianza, frequento il corso di Lingue, Comunicazione e Media all’Università Cattolica di Milano, e ancora mi chiedo perchè ho scelto la vita da pendolare. Le mie “guilty pleasures” sono i musical, le aste e i libri che finiscono male. Assieme a Alessandro Orlandi gestisco la sezione di scrittura articoli, e spesso mi troverete a scrivere pezzi su letteratura, donne sconosciute della storia, e la cultura pop.