Nel 1969 debutta nelle sale giapponesi Funeral parade of roses, sconvolgendo moralisti e tradizionalisti e contribuendo alla rivoluzione cinematografica globale del tempo, sempre più focalizzata a trattare temi tabù e anticonformisti. Credo che pochi si siano cimentati nella sua visione nonostante l’impatto culturale di questo film-documentario, il quale coinvolge temi di alto rilievo, trattati delicatamente e in modo innovativo dal regista Toshio Matsumoto.
L’originale mente di Matsumoto ci ha esposto il complesso di Elettra rielaborato in chiave contemporanea attraverso il dipanamento di una trama pungente, dai toni leggeri e a volte quasi comici, ma allo stesso tempo in grado di colpire lo spettatore con frangenti difficili da osservare ed elaborare.
Per rendere ancora piú ricco questo capolavoro ci viene presentato l’aspetto documentativo intrecciato a quello narrativo. Secondo questa proposta si realizza un’unione di generi capace di rendere Funeral parade of roses uno dei primi film a trattare apertamente tematiche queer e a far scaturire intense riflessioni sociali.
Dunque approfondiamo la storia, purtroppo e necessariamente incombendo in spoiler che non saranno d’ostacolo alla visione della pellicola, e iniziamo introducendo la nostra protagonista: Eddie.
Ci troviamo nel Giappone degli anni Sessanta, Tokyo. Eddie è una donna transgender dal passato inizialmente enigmatico, il quale ci verrà svelato mediante flashback. La sua storia si sviluppa secondo continui salti temporali, confusionali per lo spettatore poco attento, studiati per spiazzare e far tessere la trama direttamente da chi sta guardando.
La nostra Eddie lavora in un gay-bar insieme ad altre persone queer dei sobborghi di Tokyo dove la malavita coesiste e diventa meccanismo essenziale per far ingranare la storia. Infatti sarà Gonda, criminale amante della proprietaria del bar col nome di Leda, a conquistare il cuore della protagonista, che potrà avere una relazione con lui solo dopo il suicidio di Leda stessa.
Infatti veniamo accolti da un incredibile plot twist alla fine quando Gonda ci viene mostrato reduce dall’aver consumato una notte di passione con la sua dolce metà; curiosando tra le sue cose scopre una foto leggermente rovinata dalle fiamme che lo devasterà totalmente: è una foto di famiglia dove vediamo proprio lui, dal volto bruciato, Eddie e sua madre; incredibilmente scopriamo che Gonda è il padre di Eddie. Lo spettatore rimane spiazzato dalle ultime scene che coinvolgono immagini crude e violente riportanti il suicidio del criminale e l’automutilazione della povera, dannata Eddie.
Per non rovinarvi l’atmosfera psichedelica e comica, e al contempo tragica e solenne, del film vi risparmio la descrizione di alcune scene che meritano più di quanto un articolo sia in grado di esplicare e come sempre vi invito a guardarlo personalmente. Per esperienza garantisco che ci possiamo immedesimare istantaneamente nell’ambiente soprattutto grazie all’aiuto del carattere documentativo della pellicola, che per l’appunto oltre alla storia romanzata di Eddie ci propone anche delle interviste agli attori le quali donano vita a una riflessione sulla comunità LGBTQ+, sempre piú emergente ed emancipata. Il documentario viene inserito attraverso brevi clip che appaiono improvvisamente tra una scena e l’altra e da subito catturano l’attenzione del confuso spettatore che viene turbato dal repentino cambio di tono.
La subcultura gay-boy, in giapponese gei-boi, diventa uno dei temi principali esposti nonché l’emergente forma di espressione soggettiva che si stava diffondendo negli anni Sessanta. Ovviamente non era la moda del tempo, qualcosa di popolare pronta ad essere seguita dalla massa: la ‘cultura gay’, come tutte le sottoculture, era seguita da pochi e spesso odiata o giudicata dalle persone eterosessuali e cisgender. Questa visione viene trasmessa chiaramente nel film soprattutto in una delle parti centrali in cui Eddie viene derisa e perseguitata da un gruppo di ragazze che non si fanno scrupoli a chiamarla prostituta1, insulto diretto alle donne transgender e transessuali spesso e malamente associate a quest’atto.
Ma il complesso di Elettra è il focus del film, l’argomento che indirettamente fonda la storia e che ci fa esplorare il personaggio di Eddie, la sua interioritá. Benché sia evidente solo alla fine, per tutta la visione ci viene esposta una forte panoramica introspettiva capace di farci interpretare la trama dal punto di vista di una persona emarginata dalla società, abusata dalla propria famiglia e poi rovinatasi da sola.
Eddie è l’eroina tragica costretta ad andare incontro al suo infausto destino, riusciamo a percepire la sua sofferenza esistenziale, l’ansia nel camminare per strada sperando che nessuno inizi ad abusare verbalmente di lei e per concludere siamo anche costretti ad ingoiare il suo stesso boccone amaro che giá implicitamente ci viene presentato durante la proiezione attraverso sottigliezze come possono esserlo un poster inquadrato di sfuggita in un angolo riguardante la figura di Re Edipo, o un fotogramma molto breve che riporta alla sua difficile infanzia.
Sicuramente sono dettagli quasi impossibili da notare poiché il film ha forte carattere estetico, ci si perde tra gli ambienti ricchi, l’occhio corre e scorre cercando di captare quanto piú possibile. Anche per questa ragione non tutti, io stessa per prima, riusciranno a cogliere un altro elemento secondario che non sarà importante per questo film, se non a livello scenografico, ma lo sará per uno successivo.
La storia di Funeral Parade of Roses analizzata fino ad ora può sembrare quasi familiare per i lettori piú attenti e appassionati di cinema, per coloro che faticano a capire dove voglio andare a parare ecco la delucidazione: Arancia meccanica2.
Sebbene non esista un vera dichiarazione da parte di Kubrick, Funeral Parade of Roses condivide molte similitudini con il film e sono tantissime le persone le quali sostengono che il regista abbia preso ispirazione da alcune inquadrature, persino vere e proprie scene.
Tra le piú importanti resta l’iconico primo piano del protagonista di Arancia meccanica, Alex, che indossa ciglia finte in un solo occhio. Viene dato per certo che addirittura dei poster visibili sullo sfondo del film giapponese abbiano contribuito alla realizzazione dell’outfit dei Drughi, la banda criminale inglese.
Anche se per molti l’influenza cinematografica é stata data per certa, lasciamo da parte le congetture e prendiamo in considerazione il fatto che entrambi i film applicano una riflessione sulla società dei tempi, criticandola aspramente e facendone emergere incoerenze, ingiustizie, pregiudizi. Vediamo due persone esiliate dalla collettivitá, vittime di loro stesse ma soprattutto del contesto in cui vivono.
Se Eddie fosse stata accettata dalle persone che la circondavano, a partire da sua madre fino ad arrivare alle sconosciute che l’hanno insultata, sarebbe andata incontro allo stesso destino?
Se Alex fosse stato tutelato e genuinamente reintegrato in una comunità idealmente funzionante, sarebbe potuto diventare un uomo migliore spezzando le catene del finto buonismo e della corruzione?
Lascio ad ognuno le proprie conclusioni e vi auguro una buona visione.
Note
- Per saperne di più sull’origine storia dell’associazione giapponese dei termini: Underground culture view, Jessica Li, 2012. Per ulteriori approfondimenti cinematografici: Importance of Funeral Parade of Roses, British film Institute, Sarah Cleary, 2020.
- Per approfondimenti sulle similitudini: Japanese film that inspired Kubrick, Clémence Leleu, 2020; Comparazione scene e dialoghi, Jean-Baptiste De Vaulx, 2015
di Erika Pagliarini
Mi chiamo Erika, nata nel 2001 praticamente con la penna in mano. Attualmente studio
Filosofia a Pavia ma posso considerarmi da sempre appassionata di arte e scrittura, motivo
per il quale ho deciso di percorrere una strada affine ai miei interessi aggiungendoci un
tocco di trash e riflessioni personali. Spaziando tra cinefilia, disegno e lettura adoro sfruttare
i miei interessi e ricavarci storie personali che possano colpire gli altri e dare espressione ai
miei pensieri.
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