Da un lato, il caos di una via trafficata nella zona più cubica e rigorosa di Roma, l’Eur, dall’altra l’immobilità di un edificio altrettanto immenso, cubico, fatto di vetro, acciaio, scale e brusio umano, dal cui interno traspare una Nuvola di tessuto sottile, di giorno bianca e di sera illuminata di rosso. La mia settimana a Più Libri Più Liberi (per gli amici PLPL), fiera della piccola e media editoria, inizia ancora una volta così, con un lievissimo senso del Sublime ma artificiale, dal momento che non osservo un paesaggio ma un edificio. Preciso ancora una volta in quanto, con quest’anno, sono alla mia quarta partecipazione, e ogni anno questa fiera mi regala pause, libri (tanti), parole, incontri, dialoghi e riflessioni. Questa per me è stata l’edizione delle novità, non solo per l’opportunità di poter partecipare alla fiera dall’altra parte, dalla parte della stampa, ma anche perché, rispetto agli anni precedenti dove sono sempre andata una/due giornate, di cinque giorni ho saltato solo domenica 10.
Superato il consueto stupore momentaneo, io e la mia piccola figura ci facciamo strada nel marasma che anche quest’anno ha affollato la fiera fin dal primo giorno, dalle scolaresche sonnacchiose al pubblico impaziente, dai giornalisti indaffarati alla stampa. Infilato, sì con orgoglio, ma anche con un pizzico di emozione, il pass stampa al collo, mi addentro con la mia solita falcata “leggiadra” all’interno dei corridoi della Nuvola per iniziare il mio giro perlustrativo. E così, ritirato il programma cartaceo, dopo aver fatto un salto in sala stampa per respirare un’aria nuova a me sconosciuta – tra giornalisti dall’aria seriosa e circospetta e qualche sguardo rassicurante -, entro finalmente nella zona espositiva, il cuore pulsante della fiera. Osservare gli standisti allestire gli ultimi banchi, sollevando il telo che protegge i libri da eventuale polvere notturna, ha lo stesso gusto agrodolce di quando, da piccoli, scartavamo un regalo o, da adulti, un cioccolatino: un gesto lento, fatto di cura e dedizione.
Fin dall’osservazione del primo stand, tutto richiama il tema sapientemente scelto da Chiara Valerio, che, da quest’anno, ha preso in carico la curatela di PLPL, ovvero “Nomi Cose Città Animali Fiori Piante”. Un tema azzeccato, trattandosi di un luogo che mette la parola al primo posto e, come lei stessa ha dichiarato in conferenza stampa, di una fiera “fatta con gli editori e per gli editori, da lettori e lettrici per lettori e lettrici”, nella quale, quindi, la parola è tutto e si costruisce da sé secondo il principio letterario di una lingua che si autocostruisce. Infatti, rispetto agli anni precedenti, ho notato proprio una cura maggiore, sia nella scelta dei libri da parte delle case editrici partecipanti, che nelle parole usate per costruire i discorsi dei tanti eventi, anch’essi curati nei minimi dettagli. Passeggiando tra le file dell’area espositiva, oltre ad essere pervasa di un odore misto di carta e caffè, sono stata invasa di sorrisi e gentilezza. La fiera mi piace soprattutto per questo: perché è uno spazio gentile, fatto di persone gentili in grado di trasmetterti l’immensa passione che mettono nel loro lavoro, nella realizzazione del libro, nella diffusione dello stesso e del loro progetto editoriale.
Così, ti ritrovi alla 8tto edizioni, una piccola casa editrice milanese portata avanti da quattro grintosissime donne che si sono poste l’obiettivo di pubblicare soprattutto autrici semisconosciute del secolo scorso, italiane ma anche e soprattutto anglofone; con loro ho conversato di canone, di scrittrici tardo-ottocentesche dimenticate, come Amalia Guglielminetti, Annie Vivanti, la contessa Lara, e biblioteche casalinghe da riscoprire. Puoi trovare, ad esempio, gli epistolari spedibili editi da L’Orma (casa editrice che ha portato sugli scaffali italiani le opere del premio Nobel Annie Ernaux), opere che nascono con l’intento di far conoscere alcuni aspetti della vita privata e letteraria di scrittori e personaggi del panorama culturale soprattutto del secolo scorso, da Louisa May Alcott a Leopardi, da Marina Cvetaeva a Baudelaire o Prévert.
Puoi trovare l’Accento edizioni, casa editrice di recente apertura per mano di Alessandro Cattelan (con lui abbiamo già fatto una chiacchierata come redazione allo scorso Salone del Libro di Torino), che, come linea editoriale, pubblica soprattutto nuove proposte. Un aspetto che ho molto apprezzato è stata la presenza massiccia di case editrici dedicate alla letteratura per infanzia e adolescenza, come la Tenuè, che propongo libri che riescono a proporre che propongono libri anche su grandi temi di riflessione, da quelli più attuali a quelli più introspettivi, ma con un linguaggio adatto ai piccoli lettori, ossia i futuri lettori di domani. I lettori meno esploratori possono trovare anche case editrici medie e già note, come Sellerio, Fazi, Minimum Fax, Carocci, Laterza, che spaziano tra prosa creativa, saggistica e specialistica. Insomma, ce n’è veramente per tutti i gusti.
Il vero punto forte di questa edizione 2023, rispetto a quelle degli anni precedenti, sono stati gli eventi. Vari, variegati, intensi ed incisivi. Ad esempio, quelli professionali, rivolti soprattutto ai lavoratori del mondo dell’editoria, piccoli spazi di riflessione per fare il punto sullo stato attuale dell’editoria e delle biblioteche, che ci danno notizie e dati confortanti: secondo le indagini annuali sulla lettura realizzate dall’AIE, l’Associazione Italiana Editori (che è anche il partner ufficiale di PLPL), sono aumentate le vendite di libri cartacei rispetto agli stessi in formato digitale (molto più fruiti rispetto agli anni precedenti, invece, dai giovanissimi lettori e lettrici, complice anche i fenomeni del booktok e del bookstgram, che stanno creando una piccola ma grande nuova comunità di lettori digitali), ma anche di lettrici e lettori forti.
Variegati anche gli eventi culturali che hanno navigato tra tematiche più attuali, come i tanti conflitti con i quali stiamo facendo i conti gli ultimi anni (Ucraina, conflitto israelo-palestinese, sul quale hanno tenuto una lectio magistralis inviati come Cecilia Sala o Paolo Giordano) o la riflessione sul patriarcato, le sue conseguenze nel nostro paese, le tematiche di genere e il rapporto tra letteratura e intelligenza artificiale, ad un passato da recuperare e leggere con occhiali nuovi. Ad esempio: voi avete mai sentito parlare di Fleur Jaeggy? Prima della lectio del premio Strega Mario Desiati, neanche io, ma grazie alle sue parole ho conosciuto un’autrice nuova, dallo stile stringente e dagli incipit fulminei, che non vedo l’ora di approfondire, che tanto mi ricorda lo stile della mia amata Alice Ceresa. Ho anche scoperto, grazie a Djara Kan, che Joseph Conrad in Cuore di tenebra ha aspramente criticato e condannato il colonialismo inglese come azione condotta da ignoranti incapaci di accettare l’esistenza del diverso. Oppure immaginereste mai che due scrittrici temporalmente lontane come Jane Austin e Margaret Atwood possano avere in comune tantissimi tratti stilistici come la riflessione sui corpi delle donne e la critica sociale? Nadia Terranova e Gaja Cenciarelli, in un animato passo a due, mi hanno condotto tra le oscure trame di queste due scrittrici inglesi, facendomi scoprire come, l’una con ironia e l’altra con amarezza, abbiano descritto due mondi diversi, uno reale, l’altro distopico, ma dove, tutto sommato, la subordinazione delle donne è sempre presente. Molto interessante anche la lectio su Calvino, dove Carlotta Vagnoli, Marcello Fois e Vera Gheno ci hanno messo a parte, come ha detto Chiara Valerio presentandoli, “delle loro fisse su Calvino”, ovvero il rapporto di Calvino con la resistenza, con l’avventuroso e con la lingua. Scopriamo così un Calvino inedito, attualizzato (per quanto Calvino risulti sempre attuale), che ci parla di una resistenza che unisce grazie alle diverse esperienze di vita di chi si univa, più o meno consapevolmente, alla lotta stessa, quella lotta di cui veniamo a conoscenza dallo sguardo di Pin, il bambino protagonista de Il sentiero dei nidi di ragno; oppure scopriamo un Calvino colto che usa la lingua di uso comune in modo estremamente icastico, all’insegna del principio letterario quasi pasoliniano, per cui è la lingua che crea l’azione e la narrazione. Una lingua, quindi, che parla da sé, tattile, da vivere con tutti i sensi, non unicamente con la vista. Ultima ma non ultima la lectio magistralis, nel ciclo delle Rivoluzioni Copernicane, della già citata Carlotta Vagnoli che, attraverso un lungo excursus storico ha cercato di rispondere ad un grande interrogativo: “dove ha origine la violenza sulle donne?”. Dalla preistoria, dove con il baratto si scambiavano animali con donne e le donne era meglio che rimanessero nelle caverne affinchè non si spegnesse mai il focolare, all’antica Grecia che ha prodotto illuminate menti filosofiche come Aristotele, che ha stabilito che un sesso fosse superiore all’altro. Dall’antica Roma, dove vengono introdotti ius corrigendi e delitto d’onore, primi strumenti di controllo dei corpi delle donne, al 1500, con il movimento delle maddalene, ovvero le prostitute “riabilitate” alla vita sociale, al 1600, dove venivano a formarsi i primi monasteri di clausura. Da Artemisia Gentileschi, la prima nella storia che ha affrontato un processo per stupro, ai veri processi per stupro del 1975, Franca Viola e Donatella Colasanti, Vagnoli risponde in modo aspro ai detrattori del patriarcato, arrivando così all’oggi, al discusso post su instagram della Polizia di Stato caricato a seguito del femminicidio di Giulia Cecchettin, sotto il quale 10.000 donne hanno denunciato di non essere state credute quando si sono affidate alle forze dell’ordine per denunciare una violenza o una molestia subita. Probabilmente è stato, di quelli che ho seguito, l’evento più bello e che ho sentito più vicino al mio sentire. Ultimo ma non ultimo, ho fatto un salto allo stand di Bao, dove ho trovato la gentilezza del mio amato Giacomo Bevilacqua, il fumettista che ha creato il personaggio di A Panda piace, che ha speso un pochino di tempo in autografi e disegni “pandosi”.
Più Libri più Liberi per me è casa, è una piccola pausa dalla frenesia della vita. È un luogo del cuore, per me, per i più disparati motivi, sacri e profani. È quel posto dove, tra gli stand, puoi ritrovarti a chiacchierare con Chiara Valerio o Mario Desiati, dove Vera Gheno ti fa i complimenti per la sacca di tela o dove potresti finire a prendere un caffè con Silvio Raffo o Corrado Augias e dove, quando c’è Alessandro Barbero, Zerocalcare e Serena Dandini, non trovi un posto in auditorium neanche se invochi tutto l’Olimpo. E, mentre la fiera era ancora nel vivo, negli alti strati della Nuvola si pensava già al tema del prossimo anno, che sarà “La misura del mondo”, “perché le storie sono il mondo in cui misuriamo la nostra distanza e la nostra vicinanza con gli altri”, come ha dichiarato Chiara Valerio nella conferenza stampa di fine fiera con Fabio Del Giudice, Innocenzo Cipolletta e Annamaria Malato, responsabili della Curatela di PLPL. Il tema mi incuriosisce, quindi non ci resta che aspettare con impazienza il prossimo anno.
Con ancora il profumo di carta nelle narici.
di Marta Urriani
Mi chiamo Marta Urriani, classe ’98, e studio Lettere Moderne all’Università La Sapienza di Roma. Ho una folta chioma di capelli ricci, tanto che tutti mi chiamano Mafalda, come la bambina dei fumetti di Quino, con la quale ho molto in comune (e non solo i capelli). Cercando di sopravvivere alla vita universitaria, con il caffè di giorno e la camomilla di sera, leggo e scrivo. Mi interesso soprattutto di letteratura italiana e temi femministi.
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