Fotografie dall’apocalisse
Distopie e mondi paralleli in musica
Il tema della distopia, trattato in questo editoriale, è presente anche in alcuni album musicali come, ad esempio, Drones, dei rockers britannici Muse, e Dystopia, dei thrashers americani Megadeth, che affrontano, appunto, il tema della distopia in modalità altamente diversificate. Il primo ne parla in forma di storytelling, dando al tema un aspetto completamente nuovo, quello del sogno in un mondo parallelo, quasi un metaverso. I Megadeth invece indagano sull’argomento tramite il sentimento della paura, prettamente made in USA, della rivolta generalizzata, che porta alla distopia dello Stato corrotto, della Polizia di Stato e del crollo dei valori.
Tra i lavori di maggior successo nella carriera dei Muse, Drones si presenta come un ibrido musicale che sintetizza una vasta gamma di influenze, creando un prodotto finale dalle sonorità variegate. L’album, pubblicato nel 2015, presenta infatti elementi apparentemente contraddittori, con sperimentazioni elettroniche affiancate da riferimenti tipici della musica classica; tramite la propria – immancabile – attitudine rock, però, la band riesce a trovare un fattore unificante che chiude il cerchio, costruendo così un album unico. A un massiccio ricorso a riff di chitarra (tra cui quello – poi rimasto celebre – di Psycho) e prepotenti assoli (come quello di Reapers), si affianca un utilizzo di synth e campionamenti digitalizzati (presenti in Dead Inside e nell’alienante The Handler), al quale si accompagnano arrangiamenti di stampo orchestrale e classico (utilizzati sul finire della traccia Aftermath oltre che nella seguente, The Globalist). La sperimentazione raggiunge infine il culmine in Drones, sviluppata come una traccia corale liberamente ispirata da una messa polifonica cinquecentesca.
L’intero compartimento musicale diviene, in questo caso, veicolo di espressione di un intento artistico, che spinge l’ascoltatore a cogliere un significato altro in grado di rivelare la presenza di un fil rouge che unisce tra loro tutti i brani; l’intero album è infatti concepito come una narrazione progressiva focalizzata su una figura umana, di cui segue le vicende, all’interno di una vera e propria distopia. Il soggetto in questione – secondo l’interpretazione del frontman Matthew Bellamy, “una donna di nome Mary”1 – deve fare i conti con una società dominata da un potere militare, che impone la propria forza sui popoli, attraverso il ricorso alla violenza e all’uso di tecnologie belliche avanzate (i “droni” appunto, che danno il nome all’album) in grado di trasformare gli esseri umani stessi in macchine da guerra. Si pone inoltre l’attenzione sulla sensazione di terrore, e costante tensione, che lo stato di guerra genera nella società, mentre la protagonista è seguita nel suo percorso, che la porta dalla subordinazione fino a una effettiva ribellione al potere.
La vicenda narrativa si interrompe formalmente con il brano Aftermath, che lancia un messaggio di speranza, ricordando come, anche nella sofferenza, sia possibile ritrovare l’amore e l’affetto reciproco; le ultime due tracce, però, paiono contraddire questa svolta positiva, con Drones a segnare un epilogo lapidario che sembra trovare nella distruzione totale e nella catastrofe l’unica possibilità. Implementata da un artwork di alto livello, realizzato dal graphic designer Matt Mahurin, la narrazione utilizza metafore ed espedienti letterari (la stessa “grande mano” del manovratore, che appare in copertina, pare ricordare la potente individualità del Big Brother orwelliano), senza però mai allontanarsi dal riferimento a fatti reali passati e attuali, aprendo così la strada a una prospettiva pessimistica sulla contemporaneità.
In contrasto con l’apparente positività di Drones, l’album Dystopia della band americana è dominato da un intenso utilizzo di pesanti riff di chitarra e di forme musicali, tipiche del thrash metal, tra le quali assoli e speed dell’eterno Dave Mustaine, coadiuvato, in una formazione rinnovata, dal bassista David Ellefson, dal chitarrista degli Angra Kiko Loureiro e dal batterista dei Lamb of God Chris Adler, che riecheggiano l’atmosfera, cupa e quasi post apocalittica, presente nei pezzi scritti dal leader Dave Mustaine.
Ritmica serrata e tecnicismi estremi tipici del tech-thrash, effettuati con precisione chirurgica, portano quest’album di diritto tra i più “heavy” della band: pubblicato a gennaio 2016, si tratta di una narrazione tragico-apocalittica di un mondo sconvolto, e in particolare di un’America sottomessa ad un immaginario governo autoritario, che ritrova i suoi valori e la sua difesa in movimenti di resistenza, come viene raccontato anche nella title track Dystopia e a sua volta ripreso da una serie di film come Total Recall o Terminator; in Fatal Illusion, un ribelle al regime, condannato alla pena capitale, viene eseguito e abbandonato in una fossa comune tra i cadaveri degli altri dissidenti e pariah; ma è ancora vivo e, quasi metaforicamente, risorge per cercare vendetta. In mezzo alla narrazione cruda e dettagliata di questa catastrofe, Mustaine riesce ad inserire una serie di quadri in parallelismo con gli Stati Uniti del presente: in Lying In State analizza le menzogne e i voltafaccia dei politici, citando, in un’intervista a Louder Sound 2, tra le tante ispirazioni «di 54 anni di interesse verso la politica»1, le dichiarazioni del Segretario di Stato John Kerry sull’attentato alla rivista satirica francese Charlie Hebdo, che a sua detta «aveva in un certo modo legittimità e fondamento logico»2, per le sferzate all’Islam e all’ISIS, salvo poi ritrattare queste dichiarazioni in patria. Tramite una toccante riflessione, il brano Bullet To The Brain tenta di svelare i reconditi sentimenti dei soldati americani, “programmati per combattere e uccidere”2, che tornano in patria portandosi il germe del disturbo post-traumatico da stress: nell’intervista a Louder Sound 2, Mustaine fa notare come «non reintegrarli nella società non sia solo disonorevole, ma anche pericoloso per loro stessi e chi li circonda» 2.
La copertina è stata realizzata dall’artista newyorkese Brent Elliott White e raffigura uno scenario post-apocalittico in cui la mascotte della band, Vic Rattlehead, è raffigurata «come un cyborg, con un visore VR al posto della visiera rivettata, cuffie, invece di elementi metallici, a coprire le orecchie e una sorta di museruola. Vic tiene in una mano la testa di un cyborg, che ricorda la Statua della Libertà, e una katana, omaggio a I Sette Samurai. L’ambientazione rende omaggio a L’Esercito delle 12 Scimmie (12 Monkeys) con una città deserta e distrutta, Mad Max con Vic sotto il Sydney Harbour Bridge e The Walking Dead con i droni» 3.
Attraverso la narrazione di vicende differenti, dunque, i due album delineano due “mondi paralleli” profondamente diversi tra loro, ma accomunati dall’intento creativo di costruire una realtà alternativa solo apparentemente immaginaria; in entrambi i casi, sono infatti espliciti i riferimenti a vicende realmente accadute e a realistiche previsioni future.
Nonostante venga utilizzato a tratti come un semplice background che sorregge la vicenda narrativa, infatti, l’universo elaborato dai Muse ha profonde radici in una critica all’uso della tecnologia in contesto bellico e, in ultima analisi, alla stessa esistenza delle guerre in periodo contemporaneo. In un contesto in cui la presenza militare americana – nonostante il ridimensionamento rispetto all’epoca passata – continua a rappresentare un elemento determinante, nel quadro geopolitico globale, la band esprime tutto il proprio disappunto nei confronti della persistenza dei conflitti armati; rappresentandone gli effetti sulla psiche umana, attraverso la vicenda di Mary, e sottolineandone implicitamente l’asservimento alla brama di potenza della classe dirigente, i testi di Bellamy esprimono un rifiuto categorico della guerra. Sebbene soggetti a libera interpretazione, sono inoltre molti i riferimenti all’esercito statunitense: le urla del comandante in Drill Sergeant, ad esempio, ricalcano quelle del Sergente maggiore Hartman di Full Metal Jacket, pellicola del 1987 diretta da Stanley Kubrick ed inevitabilmente interpretata come una critica alla dura disciplina tipica delle gerarchie dei Marines; la traccia JFK include, invece, un estratto di un discorso del presidente J. F. Kennedy vòlto a criticare l’azione militare dell’URSS durante la Guerra fredda, che può però in egual modo rappresentare la linea d’azione degli USA.
Un ulteriore tema messo in discussione dall’album è poi quello dell’utilizzo di armi tecnologiche altamente sviluppate che possano deresponsabilizzare gli esecutori della violenza rispetto al fatto compiuto; attraverso i droni, infatti, i comandanti e i generali possono lanciare attacchi senza alcun limite, contribuendo a quella “guerra totale” che è alla base della narrazione. Tale prospettiva, solo in apparenza futuristica, si è già in realtà verificata: velivoli radiocomandati, a scopo bellico, sono stati utilizzati, infatti, fin dai tempi della Prima guerra mondiale. Attraverso questi strumenti, il carnefice è in grado di uccidere, senza assumersi la diretta responsabilità di fare fuoco contro altri esseri umani; immerso in una dimensione “virtuale”, all’interno del quale il drone appare quasi come un tremendo giocattolo manovrabile in maniera virtuale, l’esecutore perde dunque il contatto con il riscontro reale della propria azione. La conseguenza è l’origine di una sorta di dimensione parallela, un “metaverso” che rischia di monopolizzare la vita umana tramite il suo elemento virtuale, finendo per farci dimenticare dell’esistenza di una realtà tangibile soggetta alla nostra diretta influenza.
Pur contenendo contraddizioni ed opinioni politiche opinabili, la base dietro a Dystopia è la critica, da parte di Mustaine, ad una società sottomessa a uno Stato-Padrone orwelliano che però, in maniera quasi paradossale -viste le posizioni politiche del cantante-, probabilmente inconscia e inconsapevole di ciò che sarebbe avvenuto, si può trasporre alla figura di Donald Trump e alla sua presidenza, dal 2017 in poi: nonostante i Repubblicani siano la frangia meno toccata da Mustaine, il mandato del Tycoon e le azioni/reazioni del suo partito hanno reso ancora più chiari i problemi di un’America che, da molto tempo, porta in seno una serie di stimmate sociali, tra le quali annoveriamo il razzismo sistematico, i problemi legati alle forze dell’ordine e alla sicurezza interna e, in conclusione, la divinizzazione della figura di un Uomo Forte con pieni poteri, che ha portato agli scontri di Capitol Hill del 6 gennaio 2021.
Si rende dunque evidente l’ampia possibilità che la musica rappresenta nell’intento di creare universi alternativi; attraverso la scrittura e la conseguente elaborazione dell’intento narrativo, tramite la sua trasposizione in suoni, gli artisti riescono a dare forma a realtà parallele che vivono di dinamiche e principi propri. Nei due esempi qui riportati (come nel resto dei simili esperimenti condotti in vari altri generi musicali), rimane però determinante il continuo riferimento alla realtà contemporanea e tangibile. Attraverso la rappresentazione negativa di quel che potrebbe essere, le band riescono infatti ad esprimere, in maniera diretta, il proprio pensiero critico sulla contemporaneità, nella speranza che le sofferenze, di cui è intrisa la realtà distopica, non divengano parte di una tragica verità.
- Intervista di Radio X a Matthew Bellamy
- Intervista di Louder Sound a Dave Mustaine
- Descrizione cover di Dystopia (Album Cover)
di Matteo Capra e Michele Carenini
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[…] sono le serie animate ad essere adattate (o proseguite) in formato cartaceo, come Cowboy Bebop o Neon Genesis Evangelion, intramontabili classici per gli appassionati del genere. Anche il fumetto europeo, comunque, vanta […]
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