Walter Moers, lo sconosciuto genio del fantasy
Da sempre, ci sentiamo ripetere che il fantasy è un genere “per ragazzinǝ”, che non insegna nulla e la cui lettura non è che una perdita di tempo; con la sua prodigiosa penna, Walter Moers è l’autore in grado di confutare quest’opinione.
Nato in Germania nel 1957, Walter Moers, scrittore, sceneggiatore e fumettista, è divenuto uno degli autori più originali del panorama fantasy. Oggi, conduce una vita molto riservata ad Amburgo, a parlare per lui sono però i suoi libri, costellati di personaggi che ci raccontano di una persona colta e dotata di una fantasia prodigiosa.
Associato dalla critica letteraria al genio di Tolkien in un numero del settimanale tedesco Die Zeit, Moers è in grado di reinventare il genere fantasy sfuggendo da ogni canone: i suoi libri sono ambientati nella strepitosa “Zamonia”, nella quale convivono un’enorme quantità di creature diverse, rappresentate in ogni volume dalle particolari illustrazioni realizzate dall’autore stesso. In questo universo fantastico, in cui culture e tradizioni si fondono, ogni regione della mappa ha le proprie usanze ed un proprio folklore, dimostrando la grande cura dei dettagli che l’invenzione di un mondo richiede.
Ma se la grande fantasia di Moers lascia a bocca aperta il lettore ad ogni pagina, è soprattutto la quantità sorprendente di riferimenti culturali che egli cita a completare l’opera:
«La fantasia è come la marmellata, bisogna che sia spalmata su una solida fetta di pane.»
Recita così aforisma di Italo Calvino, stando a significare che è proprio sulla concretezza e sulla conoscenza che si basa la fantasia, ed è esattamente questo ciò che rende così unico ogni libro di Moers.
Sebbene molte delle pagine da lui scritte siano disseminate di citazioni tutte da scoprire, basta esaminarne una sola per essere rapiti dal suo genio: nel suo primo successo, intitolato Le tredici vite e mezzo del Capitano Orso Blu, egli riesce a conciliare perfettamente, in una sola facciata, mitologia e filosofia, nominando le menadi, seguaci di Dioniso ed i satiri:
«Anch’esse di origine greca, ma di tutt’altro temperamento, le menadi folli, seguaci di Dioniso, amavano vestirsi di pelli e ballare per le strade fino allo svenimento. Avevano corpi femminei e facce da gatte selvagge. Erano sempre accompagnate da branchi di satiri, abilissimi suonatori di flauto e sbevazzoni incalliti, dai tratti umani e con robuste zampe di caprone.»
Sempre nella stessa pagina, l’autore cita la città di Atlantis, nei quali caffè gli abitanti danno vita ad accesi dibattiti filosofici – chiaro riferimento all’Atlantide di cui per primo ci parlò Platone. Secondo il filosofo, Atlantide era una potente isola marinara situata al di là delle Colonne d’Ercole, divisa in dieci regioni, ognuna governata da un discendente di Poseidone: e quale divinità, se non Poseidone, poteva essere inserita da Moers in un libro il cui protagonista è nato, forse, dalla schiuma di un’onda del mare?
Le tredici vite e mezzo del Capitano Orso Blu racconta, infatti, il viaggio dell’omonimo protagonista, il quale, non conoscendo precisamente l’origine della propria vita, ritiene di essere nato direttamente dal mare, in quanto il primo ricordo che ha di se stesso è l’immagine del suo piccolo corpo dalla pelliccia blu, cullato dallo sciabordio delle onde all’interno di un guscio di noce. Delle sue ventisette vite, il Capitano Orso Blu ne passerà tredici e mezzo viaggiando alla scoperta dei luoghi più impensabili, come, ad esempio, all’interno del cervello di un gigante, oppure nell’isola dei ghiottoni: un’isola completamente fatta di cibo, nel quale le patate, cadendo dalla loro pianta in un laghetto d’olio, si friggono. Infine, la tredicesima vita del protagonista si svolgerà a bordo di una nave chiamata Moloch, ennesima citazione, la quale rimanda al nome di una divinità comune a più civiltà, che fa la sua comparsa anche nei testi biblici e che viene citata persino da Dan Brown nel suo libro Il simbolo perduto.
Uno dei suoi personaggi più amati da Moers è Ildefonso de Sventramitis, un simpatico dinosauro poeta che aspira, come la maggior parte degli esemplari della sua specie, a diventare un autore di fama mondiale. A questo curioso protagonista l’autore dedica una trilogia, il cui ultimo volume è stato recentemente pubblicato in Italia da Salani Editore (Il dragolibro). Nel primo volume della trilogia, intitolato La città dei libri sognanti, Ildefonso de Sventramitis si ritrova a compiere un viaggio sino alla città di Librandia, capitale di Zamonia, nella quale i tetti delle case assumono addirittura la forma di grandi tomi aperti. Il motivo che lo spinge ad affrontare questo viaggio è la ricerca del misterioso autore del manoscritto lasciatogli dal suo “padrino poetico”, Danzelot lo Spaccasillabe: si tratta di un manoscritto talmente prodigioso da diventare la causa dei dubbi sulla sua futura carriera. Nella sua ricerca, Sventramitis entrerà a contatto con i più intimi segreti di Librandia.
Anche in questo romanzo, Walter Moers è in grado di deliziare il lettorǝ più attentǝ con una sorprendente serie di sottili citazioni, come, ad esempio, ciò che afferma il protagonista mentre assiste al concerto delle famose “trombuccine”:
«E a quel punto capii se non altro il mistero della musica, capii perché la musica è così immensamente superiore a tutte le altre arti: perché è incorporea. Una volta staccatasi dallo strumento, è una creatura del tutto autonoma fatta di suono, senza gravità, senza corpo, perfettamente pura e in perfetta armonia con l’universo.»
Questo breve estratto sembra, infatti, alludere a ciò che Arthur Schopenhauer affermava sulla musica: il filosofo innalzava la musica come arte massima, in quanto completamente distaccata dal mondo concreto e, per questo motivo, rappresentazione della volontà stessa. La musica, secondo Schopenhauer, ha un proprio linguaggio universale ed in essa risiedono i diversi gradi dell’armonia.
E ancora, in un capitolo dello stesso libro, Moers descrive un luogo particolare nella città di Librandia, chiamato le “fosse della vergogna”, dove i poeti dimenticati, tra cui un personaggio che assume il nome di Ovidio, vivono sul fondo di buche scavate nel terreno, recitando versi ai turisti che lanciano loro degli spiccioli.
Tuttavia, se le citazioni culturali non bastano a definire Moers come un autore universale, ovvero in grado di soddisfare ogni fascia d’età, non manca, però, un’aspra, per quanto velata, critica sociale:
«”Noi erigiamo con massimi sforzi torri altissime che svettano nell’aria” disse il librinauta, “torri che potrebbero crollare al minimo terremoto o durante un uragano. Costruiamo a ridosso del mare oppure lungo grandi fiumi città che potrebbero essere spazzate via da maree anomale o da alluvioni. Costruiamo città sui pendii di vulcani assopiti! Oppure nel deserto dove un sole spietato ci inaridisce. Scaliamo del tutto insensatamente vette di montagne dove l’aria è troppo rarefatta per poter garantire un’adeguata respirazione. E dove possiamo sopravvivere soltanto per pochi momenti. Eppure, nessuno mette in discussione queste cose.”[…]»
Questa citazione, tratta dal secondo volume della trilogia, Il labirinto dei libri sognanti, fa emergere tra le righe una chiara critica alla presunzione umana di poter superare ogni limite, la stessa presunzione che spinge Icaro verso il sole, divenendo poi la causa della sua rovinosa caduta.
Infine, una delle tematiche principali dei romanzi di Moers è l’importanza della lettura, intesa come strumento di conoscenza e di crescita personale, ma anche come arma per poter sconfiggere i mali dell’ignoranza: in più occasioni, egli si esprime, attraverso i suoi personaggi, in un elogio alla letteratura. Non a caso, egli inventa i “librovori”, ovvero piccoli nanetti monocoli che si nutrono memorizzando i testi del loro autore prediletto, per evitare che essi vengano dimenticati, perché, come afferma l’autore attraverso le parole di Ildefonso:
«Leggendo avevo vissuto più intensamente che mai, avevo pianto e riso, amato e odiato. Avevo sofferto tensioni insopportabili, orrore da far rizzare i capelli, pene d’amore, dolore dell’addio e paura della morte. Ma c’erano stati anche momenti di felicità assoluta e di gioia trionfale, di esaltazione romantica e di entusiasmo isterico.»
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Altrove- Ai confini della realtà
Editoriale · L’Eclisse
Anno 1 · N° 9 · Gennaio 2022
Copertina di Laura Maroccia.
Hanno partecipato alla realizzazione di questo editoriale: Greta Beluffi, Tommaso Brambilla, Matteo Capra, Michele Carenini Anna Cosentini, Chiara Cresta, Joanna Dema, Francesco Fatini, Alice Fenaroli, Eugenia Gandini, Marta Gatti, Chiara Gianfreda, Andrei Daniel Lacanu, Nikolin Lasku, Silvia Loprieno, Matteo Mallia, Valentina Oger, Alessandro Orlandi, Elisa Paccagnella, Arianna Savelli, Viola Spreafico, Tommaso Strada, Vittoria Tosatto, Marta Tucci, Marta Urriani, Francesco Vecchi, Adriano Zonta.
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