Calarci nel mondo del sacro
Dune e Il Signore degli Anelli
Quando si è deciso che questo editoriale avrebbe parlato di finzione e del rapporto fra la realtà e la finzione, le due opere di fantasia (che rappresentano cioè una realtà che non è, e che non potrebbe essere) che mi sono immediatamente venute in mente sono state Il Signore degli Anelli, il capolavoro che ha concluso la mia infanzia letteraria, e il recente Dune, per la regia di Denis Villeneuve, che, sebbene su un medium diverso, sembra essere proiettato a diventare il (capo?)lavoro che concluderà qualcosa (la mia infanzia cinematografica, forse, o la mia adolescenza).
Naturalmente, il primo desiderio che ho avuto è stato di mettere in rapporto queste due opere1. Non sarei il primo a farlo; anzi, alcune recensioni del film hanno già messo questi due classici a confronto, come quella di Anonima Cinefili, che cita Arthur C. Clarke: «Dune mi sembra un unicum tra i moderni romanzi di fantascienza, in termini di profondità delle caratterizzazioni e di straordinarietà nella definizione del mondo che crea. Non conosco nulla a cui paragonarlo se non Il Signore degli Anelli». La recensione usa un termine che è stato applicato a più riprese sia all’una sia all’altra opera: “epico”. “Dune mette in scena un mondo epico”; “il Signore degli Anelli è pervaso da un’atmosfera epica”, abbiamo sentito dire da più parti.
Il termine richiama immediatamente nelle nostre menti l’autore principe del genere, Omero, che studiamo a scuola approfonditamente, talvolta con il supporto di appositi libri di epica. Tuttavia, il collegamento fra le trame e lo stile del massimo poeta e di queste due opere è, a mio parere, decisamente flebile. Più e più grandi menti hanno ragionato sul collegamento fra Tolkien e Omero2, concludendo infine che ci sia poco dell’autore dell’Odissea nell’autore de Lo Hobbit.
L’apparente punto di collegamento fra il mondo di Dune e quello dell’epica omerica è invece il cognome della casata del protagonista, il Duca Paul Atreides. Il collegamento con gli Atridi dell’Iliade è evidente, ma la vicenda di Dune ha ben poco a che vedere con l’epopea di Agamennone. Così commenta, in un paragrafo intitolato “Epic or Novel?”, uno dei primi commentatori accademici di Herbert, William Touponce: «Ora, possiamo trovare certi elementi epici in Dune, ma direi che Herbert li abbia “romanzati” […] Quando Paul e il suo presente diventano il centro narrativo dell’orientamento umano nel tempo, tutto ciò che riguarda Paul perde la sua completezza e finalità […] La profezia epica è realizzata interamente nei limiti del passato remoto; non tocca il lettore né il suo tempo reale»3. Denis Villeneuve sembra voler ulteriormente allontanare questo paragone. Il passato della famiglia Atreides è richiamato diverse volte da una serie di inquadrature interessanti, come i frequenti primi piani della testa del toro ucciso dal nonno di Paul, del suo ritratto o della statuetta raffigurante un torero; così come dalla sequenza ambientata nel cimitero della famiglia sul loro pianeta natale, Calladan. Questo rimando è a tutti gli effetti un’epica della stirpe aristocratica di cui Paul fa parte: il racconto delle gesta eroiche degli avi, confinate in un passato remoto a cui non è più possibile tornare, ma da cui possiamo comunque trarre lezioni morali (come si può evincere dal dialogo fra Paul e suo padre Leto davanti alle loro tombe).
In questo contesto, possiamo facilmente osservare una radicale differenza fra il passato eroico degli Atreides, in cui il nemico era chiaro e quindi facilmente individuabile e attaccabile, e il loro presente in cui non è tutto oro ciò che luccica; ma anche una chiara somiglianza fra gli antenati e i discendenti, accomunati dall’amore per le sfide apparentemente impossibili e dalla capacità di gettarsi in situazioni in cui un solo passo falso li separa dalla morte certa. L’epica è già finita nel mondo di Villeneuve e il tempo presente della narrazione è moderno, ancor più che futuristico.
L’aggettivo “epico” è dunque assolutamente inadatto a descrivere il collegamento letterario che dovrebbe indicarci. Sembrerebbe che sia stato trasformato, nella scrittura comune e anche in quella accademica, in un sinonimo di “grandioso”. Eppure, l’aggettivo “grandioso” non sembra adattarsi esattamente a quei momenti dell’una e dell’altra opera che mantengono un carattere di austerità, di completezza, di predestinazione, pur non essendo per nulla grandiosi. Detto fuori dai denti: Avengers è “grandioso”, Dune no. Dietro questo scollamento semantico, possiamo individuare però un testo, familiare ma progressivamente dimenticato, che avvicina, nel linguaggio e nelle atmosfere, Dune e il Signore degli Anelli: il testo religioso, e precisamente quello a noi più noto, la Bibbia.
D’altra parte, che entrambi abbiano una qualche matrice religiosa è evidente. Tolkien era un cattolico estremamente devoto e la lettura cristiana dei suoi lavori, benché scoraggiata dallo stesso autore4, ha chiaramente evidenziato i motivi e le allegorie insite nella sua opera. Per quanto riguarda Dune, Villeneuve, educato in una scuola cattolica, non si fa alcuno scrupolo di nascondere la forte componente religiosa del film. Le sorelle del Bene Gesserit, l’ordine religioso di cui fa parte la madre di Paul, vengono intenzionalmente raffigurate simili a suore velate. L’intera vicenda di Paul è ovviamente un viaggio messianico, in cui il profeta sperimenta enigmatiche visioni del futuro, che lo guidano; e alcune scene, come quella finale nelle formazioni rocciose, suggeriscono un collegamento con l’episodio di Davide che fugge dall’invidioso re Saul (1 Samuele 23, 24). Paul è circondato da pellegrini che si riferiscono a lui con un nome che significa “lingua delle cose nascoste”, ovvero “profeta”, Lisan al Gaib. Alcune scene, non necessarie all’avanzamento della trama, testimoniano la chiara attenzione del regista ai temi religiosi del libro: per esempio, il momento in cui uno dei comandanti dell’esercito degli Atreides, Gurney Halleck, inizia a recitare un brano della “Bibbia Cattolica Arancione”, il testo religioso più diffuso nell’universo di Dune.
Più che sulle tematiche, comunque, di cui si può parlare all’infinito, mi interessa qui concentrarmi sulle atmosfere particolari che i due lavori evocano tramite il loro linguaggio, letterario l’uno, cinematografico l’altro. Il linguaggio di Tolkien viene frequentemente accostato a quello biblico, soprattutto nel lessico, ma anche nella caratteristica attenzione ad un fraseggio breve, intenso e anche difficile da decifrare; il confronto risulta immediato: «Come labbra lusinghiere sopra un coccio di creta sono le labbra lusinghiere con un cuore maligno» (Proverbi 26, 23) fa facilmente coppia con «ad occhi storti il volto della verità può apparire un ghigno» (Le due Torri, cap. 6); altrettanto si dica per «ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà; non c’è niente di nuovo sotto il sole. […] Non resta più ricordo degli antichi, ma neppure di coloro che saranno si conserverà memoria presso coloro che verranno in seguito» (Ecclesiaste 1, 9-11) e «le stagioni fuggenti non sono che ombre sempre di ritorno nel lungo corso del tempo. Eppure sotto il sole ogni cosa è destinata è scomparire» (La Compagnia dell’Anello, cap. 9)5.
Lo stile di scrittura di Herbert è lontanissimo da quello biblico, eppure mi sembra che, nel trasportarlo sul grande schermo, Villeneuve abbia voluto consciamente avvicinarsi a quel modello, con, a far da tramite, la trilogia di Peter Jackson. Mi ha colpito particolarmente la laconicità dei dialoghi del film, la loro secchezza. I ritmi del Dune letterario sono molto diversi da quelli del Dune cinematografico: tanto prolisso il primo quanto arido il secondo. Le frasi lapidarie si susseguono. Mi piacciono soprattutto alcune, poste all’inizio del film: quelle pronunciate durante i dialoghi su Giedi Prime fra i membri di casa Harkonnen, e quelle che si scambiano Paul e la Reverenda Madre.
In queste due scene, pur seguendo estremamente da vicino la lezione narrativa ed emotiva del libro, Villeneuve sembra aver preso alla lettera il famoso detto “show, don’t tell”, lasciando che siano le atmosfere e le performance degli attori a comunicare ciò che le lingue non dicono. Interi dialoghi vengono lasciati alla mercè di sguardi e sottintesi, per fortuna con risultati tutto sommato gradevoli6.
Un altro punto interessante è la scena dell’apparizione del verme del deserto, che ingoia tutta intera la macchina estrattrice di spezia; un passaggio che ha una tonalità profondamente diversa da quella del libro. Eliminati i dialoghi pragmatici e secchi dei lavoratori, rimangono le frasi della leggenda e le preghiere di Kynes; eliminate le discussioni su come salvarsi la pelle, viene inserita invece la prima interazione fra Paul e la spezia, avvolta di mistero, accompagnata da un sottofondo musicale medio-orientaleggiante. L’esperienza profetica è stata resa il punto focale del film e della vicenda, a scapito delle vicissitudini politiche che, centrali nel libro, sono invece confinate a scene di secondaria importanza.
Certo, il riferimento maggiore per Herbert (come possiamo sentire nella colonna sonora di Zimmer, e vedere nella scena ambientata su Salusa Secundus, il pianeta natale dell’esercito speciale dell’Imperatore, i Sardaukar) è chiaramente il mondo islamico e il Corano; ma questa radice non viene a mio parere propriamente esplorata, perché il suo intermediario è la tradizione religiosa occidentale alla luce della quale ci risulta naturale considerare anche i riferimenti ad altre religioni. (D’altra parte, il sincretismo religioso dell’universo narrativo di Dune, in cui tutte le forme di religione sono collegate fra di loro, non può non corrispondere ad un sincretismo reale che mischia elementi di diversa derivazione). Il fatto stesso che l’esperienza profetica sia posta in così grande risalto non collima pienamente con la lettura coranica della religione “rivelata” una volta per tutte, e appare invece intimamente più connessa con il dialogo continuo con Dio vissuto dai Nevi’im7.
Se in una delle due opere la religione è il fil rouge che tiene insieme tutta la storia, nell’altra è il “grande assente” che si rivela piano piano, nelle scelte lessicali, nello svolgersi della storia, nei ruoli dei personaggi. Paradossalmente, è proprio la prima opera che ci indirizza verso i rischi delle credenze mal riposte e dell’errore di affidare ogni cosa al soprannaturale, e nel contempo ha una visione secca e arida del pensiero religioso. Conoscendo appieno questa prospettiva, possiamo esplorarne i riferimenti, la pervasività culturale, seguirne i passi attraverso migliaia di anni di storia della letteratura e del cinema, aprendo una finestra interpretativa nuova e diversa che escluda, una volta per tutte, il termine “epico” da queste narrative, per rivalutarle alla nuova luce del sacro.
- In realtà, le parole di Tolkien sembrano a tratti scoraggiare questa chiave di lettura: “In fact I dislike DUNE with some intensity”, scrisse il maestro (come possiamo leggere in O. Cilli, Tolkien’s Library: An annotated checklist, Edimburgo, Luna Press Publishing, 2019). Salvo precisare, subito prima, che “It is impossible for an author still writing to be fair to another author working along the same lines”. Ad ogni modo, il mio collegamento fra Arrakis e Arda ha come punto di riferimento principale la versione cinematografica di Villeneuve, non quella letteraria.
- Ad esempio: D. Eaton, Homer, in M.D.C. Drout (a cura di), J.R.R. Tolkien Encyclopedia. Scholarship and Critical Assessment, New York, Routledge, 2007, pp. 284-85; oppure W. G. Hammond, C. Scull, The Lord of the Rings. A reader’s companion, New York, HMH, 2005; contra, H. Parry, Classical epic in the works of J.R.R. Tolkien, Wellington, Victoria University, 2012, che comunque non può fare a meno di notare, in uno dei molti passaggi sull’allineamento imperfetto fra i due stili, che “the world of the hobbits in particular bears little resemblance to the world of “the glorious deeds of men of old and the blessed gods who inhabit Olympus” (p. 6). Le volute somiglianze stilistiche che l’autrice riscontra sono riconducibili alla sicura familiarità di Tolkien con i lavori dell’epica classica, ma le somiglianze tematiche sono più difficili da riscontrare, come nota Eaton.
Più forte il collegamento invece con Virgilio, come evidenziato da C. Barella, Virgil, in Drout, op. cit. Nel lavoro di Parry, trovo egualmente più calzante il paragone con Enea che quello con Achille o Odisseo. - William F. Touponce, Frank Herbert, Boston, Twayne Publishers, 1988. La traduzione è mia.
- Ancora una volta, ci viene particolarmente in aiuto la Tolkien Encyclopedia già citata, specialmente alle voci Bible, Roman Catholicism, Christian Readings of Tolkien con le loro fonti. Il Reader’s Companion, anch’esso già citato, contiene delle interessanti dissertazioni su punti specifici del Signore degli Anelli, specialmente alle pp. 629-30, in cui viene citato L.E. Startzman, Golberry and Galadriel: The Quality of Joy, in Mythlore, vol.16 (1989), n. 2: «[La lingua del Ritorno del Re] trasmette la vera natura della gioia provata durante la vittoria del Portatore dell’Anello. Il sole, ad esempio, non emerge semplicemente da dietro le nuvole: viene “svelato” […] Il punto e virgola dopo forth […] [dà] enfasi finale al significato della luce». Naturalmente, è semplice ad un lettore italiano trovare un paragone con un’altra trilogia nostrana che comincia nella lingua colloquiale della Contea e termina con il disvelamento di una grande luce «che volgersi da lei per altro aspetto è impossibil che mai si consenta» (Paradiso XXXIII, 100-102), innalzando progressivamente lo stile nel corso delle tre sezioni. Sul collegamento fra Tolkien e Dante ho trovato particolarmente interessanti il collegamento con il Purgatorio contenuto in D. Stride, Abandon Hope All Ye Who Enter Here: Tolkien, Dante, Shakespeare and Andrew Dagher, in A Phuulish Fellow, 2019; L. J. Efron, Tolkien’s Brief Allusion to Dante’s Selva Oscura, in Dante Notes, The Dante Society of America, 2019; e B. Colucci, Dante, Tolkien e il viaggio, in Eldalië.
- L’idea del collegamento fra la Bibbia dei proverbi e il Signore degli Anelli, e in particolare quest’ultimo paragone,è debitrice di due opere: M. E. Gustafson, But Where Shall Wisdom be Found? The Lord of the Rings and the Wisdom Literature of the Hebrew Bible, in Mythlore, vol. 40 (2021) n. 1, e T. Shippey, A Fund of Wise Sayings: Proverbiality in Tolkien, in T. Shippey, Roots and Branches: Selected Papers on Tolkien, Walking Tree Publishers, 2009, pp. 303-319. Le citazioni dal Signore degli Anelli provengono dalla traduzione, non riveduta, di Quirino Principe edita da Rusconi nel 1970.
- Naturalmente, questi espedienti sono resi necessari anche dalla necessità di riassumere un tomo come Dune in un film.
- I profeti.
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[…] sono le serie animate ad essere adattate (o proseguite) in formato cartaceo, come Cowboy Bebop o Neon Genesis Evangelion, intramontabili classici per gli appassionati del genere. Anche il fumetto europeo, comunque, vanta […]
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