Un nuovo metaverso
Di recente, Facebook ha voluto modificare il suo brand e il logo, dando così vita a Meta. Chiariamo una cosa però: è l’azienda di Zuckerberg che ha cambiato “faccia”, non il social network che viene usato da circa il 36% della popolazione mondiale, corrispondente, secondo le ultime stime1, a 2.9 miliardi di utenti. Sul vostro smartphone rimarrà l’icona blu con la F bianca, quindi nulla di cui preoccuparsi. A quasi vent’anni dalla sua fondazione (risalente al 2004), il gruppo sembra dunque essere pronto per l’avvio di una nuova fase, slegando, almeno a livello di facciata, la propria identità da quella dei servizi che l’hanno fin qui reso uno dei più importanti colossi del mondo online. Il raggio d’azione del suo business è andato via via espandendosi e una mossa di questo tipo potrebbe aver senso, ma esploriamo meglio questo nuovo “mondo virtuale”.
Il nome Meta fa proprio riferimento allo sviluppo futuro dell’azienda, cioè il “metaverso”, termine coniato nel 1992 da Neal Stephenson nel suo romanzo di fantascienza post cyberpunk “Snow Crash”. Esatto, Zuckerberg, quindi, non si ispira ad un trattato scientifico o ad uno studio, bensì ad un lavoro di science fiction. Il metaverso viene descritto come una specie di realtà virtuale condivisa tramite Internet, dove si è rappresentatǝ attraverso il proprio avatar. Per la precisione, Stephenson immagina il metaverso come un’immensa sfera nera di più di 65 mila km di circonferenza, tagliata in due all’altezza dell’equatore da una strada percorribile su una monorotaia con 256 stazioni. Su questa sfera, ogni persona può realizzare in 3D qualsiasi cosa desidera, a partire da negozi, uffici, nightclub e molto altro, il tutto potenzialmente visitabile dagli utenti. Quella di Stephenson è una visione futuristica e moderna dell’Internet di oggi, dove la differenza tra le classi sociali è rappresentata dalla risoluzione del proprio avatar (da quelli in bianco e nero dei terminali pubblici, a quelli con un’ottima resa 3D delle persone agiate) e dalla possibilità di accedere a luoghi esclusivi. Esempi di metaverso sono considerati i MMORPG2 e le chat in tre dimensioni come Second life3.
Grazie all’acquisto di Oculus da parte di Facebook nel 20144, si è dunque avviata una fase di transizione verso un nuovo concetto dell’esperienza social. Zuckerberg ha intenzione di portare il focus dei servizi di Meta sulle generazioni più giovani (addirittura, uno dei testimonial per questa campagna è il famoso tiktoker italiano Khaby Lame, con un seguito di 111 milioni). Il vero passo in più rispetto alle piattaforme di gaming come “Fortnite” (che già permettono un certo livello di interazione online e la creazione di un avatar) è stato l’andare oltre la bidimensionalità dello schermo: Facebook ha iniziato a lavorare al suo spazio di lavoro in VR (virtual reality), ovvero “Horizon Workrooms” per Oculus. Questo sistema vuole ricreare l’esperienza lavorativa di gruppo in un mondo virtuale, dotato di avatar, uffici e così via. Questo, però, non è ancora definibile come “metaverso”.
Oculus e Facebook hanno investito moltissimo in termini di ricerca, sviluppo e capitale per rendere la realtà virtuale qualcosa di accessibile e fruibile al grande pubblico. Grazie a questo immenso lavoro, la VR si slega da un’etichetta – esclusiva, fino a quel momento, del gaming – per abbracciare altri aspetti più “social”: ad esempio, quest’anno è previsto l’arrivo di un Active Pack con degli accessori aggiuntivi, quali una nuova interfaccia per il visore, asciugabile e che non crei problemi a seguito di contatto prolungato, pensati per svolgere attività di fitness e allenamento.
L’aspetto cruciale del Metaverso, però, è proprio la parte social e interazione col resto del mondo virtuale. Il sistema operativo sarà quello di Horizon Home (ex Oculus Home), ovvero un nuovo centro di controllo costituito come una casa, fornita anche di mobilio. L’aspetto interattivo sarà dato dall’arrivo dei nostri conoscenti con i loro avatar, quindi si proveranno esperienze in compagnia senza neanche doverci spostare nel mondo reale. Un’altra feature interessante in arrivo saranno le chiamate Messenger in realtà virtuale, il che contribuirà a diffondere ancora di più la comunicazione “tra mondi”, oltrepassando il limite tra virtuale e fisico.
Ci sono tantissime altre aggiunte che arrivano su Horizon: la possibilità di un’esperienza lavorativa con Oculus (Horizon Workrooms), l’integrazione di Zoom e l’arrivo di lavagne virtuali (Zoom Whiteboards), una nuova piattaforma professionale pensata appositamente per le aziende (Quest for Business) e, ovviamente, nuovi strumenti e miglioramenti per i gamers. Forse, la parte più divertente sarà personalizzare il nostro avatar, con un nuovo sistema in grado di acquisire i nostri tratti biometrici per riprodurre una copia di noi stessi il più verosimile possibile5.
L’idea di una realtà virtuale si basa proprio sul fatto che noi possiamo abitare questi nuovi spazi e mondi artificiali e che, per interagire con essi, basti semplicemente il gesto di una mano. La prima invenzione di questo genere proviene dalla NASA6: si tratta di guanti che ripropongono i movimenti della mano nello spazio virtuale, con un visore che permette di vedere questo spazio. Siccome è molto costoso costruire sia questi strumenti che gli ambienti digitali, si cerca di creare spazi limitati a campi di applicazione specifici, come, in questo caso, l’addestramento per astronauti. Di conseguenza, si apre un mondo intero di possibilità, limitato solo dall’immaginazione: è proprio a questo mondo che il metaverso fa riferimento.
L’industria dei videogiochi, da sempre redditizia, ha subito approfittato di questa nuova narrazione virtuale. Negli anni ’90, sono state create delle strutture di cyber gaming, per ora presenti solo negli arcade, in cui si è isolatǝ fisicamente per favorire l’immersione nel gioco e anche per evitare di vagare per la sala giochi. Gli spazi tridimensionali ricostruiti sono, però, ancora rigidi e il rendering7 poco realistico, quindi le applicazioni di settore vanno avanti, mentre per il largo pubblico la produzione si ferma per un po’.
Dal 2010 inizia a esserci più attenzione da parte dei ricercatori sulla realtà immersiva, anche grazie alla ormai alta qualità della resa. In questo ambito aumenta la sperimentazione e uno dei tentativi di “immersione” sono i Google Glasses, il cui intento è di portare la realtà aumentata nell’esperienza quotidiana, come, ad esempio, utilizzarli come strumento di ripresa e realizzazione di foto digitali. Tuttavia, questa innovazione ha sollevato dei seri problemi di privacy, poiché non si riesce a distinguere quando l’utente stia filmando o fotografando. Inoltre, un altro problema non indifferente è l’affaticamento: la sovrapposizione dello spazio virtuale a quello reale necessita di un periodo di adattamento per i nostri cinque sensi, perchè ci dobbiamo abituare al nuovo hardware, all’interfaccia e alle funzionalità che dobbiamo imparare a utilizzare. Proprio per questo motivo, il valore aggiunto rispetto ad uno smartphone dotato di fotocamera deve essere evidente e, purtroppo, nel caso dei Google Glasses, si possono tranquillamente compiere le stesse azioni con il proprio cellulare, senza incappare in problemi di privacy o adattamento.
La realtà del metaverso viene catturata molto bene in un episodio della famosa serie Black Mirror di Charlie Brooker: “San Junipero”, stagione 3, episodio 4. In questo futuro alternativo, le uniche persone ad aver accesso al mondo virtuale (molto simile al metaverso promesso da Facebook) sono anziani prossimi alla morte e malati terminali. Il concetto di portare l’essere umano in una dimensione parallela è paragonabile ad un dolce accompagnamento verso la morte, dando la possibilità al nostro corpo di fare cose che in “vita” non avremmo potuto fare.
Ma noi saremmo davvero in grado di vivere nel metaverso? O saremmo “paralizzatǝ” a metà tra il fisico e il digitale? Il problema di avere la facoltà di dividere la vita reale da quella virtuale è già fin troppo presente. L’interazione interpersonale sta diventando sempre più complessa e stratificata e aumentano sempre più i casi di depressione e dipendenza digitale, arrivando ad “una sorta di ipnosi cosciente”8. Inoltre, non siamo ancora coscienti della regolamentazione del digitale: i cosiddetti terms of service non sono poi così trasparenti sugli algoritmi e sulla gestione della privacy, come invece ce lo fanno credere le piattaforme. Il progresso tecnologico non si ferma mai, quindi starà a noi decidere se parteciparvi o rimanere indietro.
Ci vediamo su Meta!
- https://quifinanza.it/innovazione/video/zuckerberg-utenti-whatsapp-facebook-instagram/549487/#:~:text=Niente%20a%20che%20vedere%20con,tutto%20rispetto%20quelli%20di%20Instagram
- https://www.britannica.com/topic/Second-Life
- https://www.britannica.com/topic/Second-Life
- https://www.editoria.tv/facebook-compra-oculus-societa-leader-realta-virtuale/#:~:text=Il%20colosso%20dei%20social%20network,nella%20tecnologia%20della%20realt%C3%A0%20virtuale
- https://tech.everyeye.it/articoli/anteprima-oculus-cambia-tutto-pilastri-facebook-metaverso-55062.html
- https://geekitbase.info/content/65676
- Nella computer grafica, la conversione mediante apposito software del profilo di un’immagine bidimensionale in un’immagine dall’aspetto realistico e percepibile come tridimensionale, grazie al calcolo accurato della prospettiva e all’aggiunta di colori, luci e ombreggiature. (Oxford Languages)
- https://www.tpi.it/tecnologia/people-not-avatars-esseri-umani-vivere-tecnologia-20211031838611/
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[…] sono le serie animate ad essere adattate (o proseguite) in formato cartaceo, come Cowboy Bebop o Neon Genesis Evangelion, intramontabili classici per gli appassionati del genere. Anche il fumetto europeo, comunque, vanta […]
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