In un presente che ha perso, almeno in parte, l’interesse per le vie tradizionali di trasmissione culturale, le opere fuggono dai musei e ci stupiscono venendo incontro a noi spettatori, popolando le città di sculture e installazioni. In un incontro tra provocazione culturale e intento divulgativo, l’arte contemporanea s’infiltra all’improvviso nella pianificazione urbana, regalando scorci e visioni del tutto particolari. Troppo abituati a guardare la metropoli con occhi poco attenti, però, spesso non ci accorgiamo della sua presenza, privandoci di un’interessante esperienza artistica.
Tornando a guardare Milano con lo sguardo curioso di chi va alla ricerca della novità, ho quindi deciso di setacciare il tessuto urbano del capoluogo lombardo e di esplorare la città alla ricerca di esempi (celebri e non) d’arte contemporanea. In uno sterminato museo composto non da sale e corridoi ma da piazze e vicoli, non serve un biglietto d’ingresso per incontrare grandi capolavori e piccole perle; la visita guidata sta per iniziare, alla scoperta di tre di queste opere.
PRIMA TAPPA: “L.O.V.E.”, provocazione a portata di… mano
Il tour inizia da Piazza degli Affari, facilmente raggiungibile a piedi una volta scesi dalla linea rossa della metropolitana in Piazza Duomo. In un luogo conosciuto principalmente per essere la sede della borsa milanese ci aspetta una sorpresa non indifferente: entrando nella piazza da Via della Posta, infatti, ci troviamo davanti a un’enorme mano di marmo, alla quale sono state “amputate” tutte le dita, ad esclusione del medio. Quello che osserviamo è dunque un gesto eloquente, entrato ormai nel linguaggio non verbale comune, che ci lascia però davanti a un interrogativo: a chi, o a cosa, è rivolto l’insulto?
Per quanto a primo impatto sia di difficile lettura, è la stessa opera, e soprattutto il suo legame con il contesto che la circonda, a fornire spiegazioni in merito al suo significato. Collocata nel piazzale antistante a un’istituzione economica quale quella della borsa, la colossale mano in marmo pare ricalcare gli stilemi architettonici che caratterizzano l’intero spazio, sul quale si affacciano architetture razionaliste e dalle forme classicheggianti edificate sotto il regime fascista. Ecco allora rivelarsi la doppia provocazione che Maurizio Cattelan, uno degli artisti più in vista della nostra epoca, vuole destinare all’istituzione economica, ma anche alla prevaricazione politica sull’individuo. Realizzata nel 2010, divenuta ormai un’icona delle tendenze odierne dell’arte e di gran lunga la più conosciuta delle opere incluse in questo breve itinerario, “L.O.V.E.” di Cattelan lascia però nell’osservatore un’impressione di piccolezza e mistero implementata dal confronto con le dimensioni della scultura site-specific (termine che indica un’installazione artistica con un profondo legame al luogo in cui essa è posta) e dall’enigmatico acronimo che ne costituisce il titolo, leggibile come “Libertà, Odio, Vendetta, Eternità”. Nonostante la tecnica di realizzazione, dunque, questa scultura evidenzia e incarna il carattere sociale e anticonvenzionale dell’arte contemporanea, sempre più intrinsecamente legata al contesto con cui essa convive. Investiti dalla carica critica del Dito e con un occhio ancora rivolto alla violenta mano che si erge, ci lasciamo alle spalle la piazza e ci dirigiamo verso il Duomo, passando da Piazza Cordusio; solo aguzzando la vista lungo il tragitto, però, ci renderemo conto della presenza di opere d’arte tutt’intorno a noi.
SECONDA TAPPA: gli sfuggenti cartelli di Clet
Prestando particolare attenzione all’ambiente circostante, infatti, potremo accorgerci di un particolare che riguarda alcuni tra gli elementi che più diamo per scontati all’interno dell’urbanistica attuale, ovvero i cartelli stradali. All’angolo tra Via Santa Maria Segreta e Via Cordusio, ad esempio, osserviamo uno strano cambiamento apportato a un cartello che indica il divieto d’accesso: la barra orizzontale bianca rappresenta ora un mare, nel quale una barca colma di persone pare affondare. Un’ulteriore modifica è stata effettuata su un segnale di senso unico – questa volta trasformato in una simpatica figura umana – che potremo trovare al termine della zona di fermata dei taxi in piazza Duomo. Ma cosa è successo esattamente a questi cartelli, e chi è lo stravagante autore di queste modifiche?
Figura sfuggente e avvolta nel mistero proprio come le sue opere, prive di cartellino identificativo, Clet è un artista singolare, che ha fatto della reinterpretazione degli “arredi urbani” la propria bandiera. Presenti, oltre che all’estero, in varie città italiane, i suoi interventi di street art si rendono riconoscibili per la propria semplicità e immediatezza. Rinnovati tramite l’applicazione diretta di decalcomanie, i cartelli sono resi perfettamente riconoscibili, mantenendo la propria funzione: si rivestono però di ulteriori significati, talvolta legati a intenzioni di critica sociale – come nel caso del divieto d’accesso esaminato in precedenza, da intendersi come un appello riguardante le morti dei migranti in mare. Presenti su una vasta area del centro della città, inoltre, i segnali si “nascondono” agli occhi più distratti, lasciando ai nostri occhi attenti il compito di scovare la presenza di queste sorprendenti opere. Nel caso in cui non vogliate affidarvi ciecamente alla fortuna, alcuni esempi di queste opere possono essere trovati al pittoresco incrocio delle Cinque Vie, in Via Urbano III, e all’incrocio di Via Marconi e via Dogana. Tramite i propri segnali, dunque, Clet riesce ad esemplificare il carattere universale del contemporaneo, che si concretizza in un’arte non più relegata all’esposizione nei musei, ma sempre più vicina e aderente alla quotidianità. È giunto però ora il tempo di abbandonare il centro della città e di spostarci verso la periferia sud, sfruttando la linea rossa della metropolitana fino a Loreto. Cambiando poi direzione e salendo sui vagoni della linea verde, ci dirigiamo verso Piazza Abbiategrasso.
TERZA TAPPA: la luce del divino in Chiesa Rossa
Giunti fino al capolinea, risaliamo in superficie e ci troviamo improvvisamente in un contesto molto diverso dal precedente. Gli edifici storici del centro lasciano spazio a palazzi residenziali e larghi viali trafficati; contrariamente alle apparenze, però, l’arte contemporanea riesce a rompere ogni confine e a giungere fino all’estremità della metropoli. Camminando lungo Via Montegani, infatti, ci imbattiamo in un edificio apparentemente privo di specificità; l’esterno della Chiesa Parrocchiale di Santa Maria Annunciata, realizzata in laterizio (caratteristica che ha garantito al quartiere in cui sorge il nome di Chiesa Rossa) non presenta infatti alcun carattere tipico del contemporaneo. Una travolgente sensazione aspetta di coglierci impreparati però all’ingresso dell’edificio (a patto di visitarlo tra le 16 e le 19). A illuminare la struttura non sono infatti fonti di illuminazioni tradizionali, ma delle luci al neon colorate. Ideata dall’artista americano Dan Flavin, questa installazione site-specific è definita semplicemente Untitled è stata realizzata nel 1996 ed è amministrata dalla Fondazione Prada, importante istituzione culturale milanese. Composta da una grande quantità di tubi al neon di colore blu, ambra e magenta, l’opera fa uso di materiali relativamente semplici per creare un ambiente del tutto particolare. Camminando tra le navate e il transetto della chiesa, infatti, la sensazione che si avverte è quella di muoversi all’interno di uno spazio surreale e onirico, del tutto estraneo al contesto dell’edificio religioso in cui ci si trova. Investiti dalle luci di vario colore, infatti, gli spazi e gli oggetti presenti nella struttura danno vita a spettacolari riflessi e riverberi luminosi. È peraltro interessante notare come, secondo alcune interpretazioni critiche, l’artista riesca a rinnovare l’estetica della luce, tipica della rappresentazione cristiana del divino, offrendo un’interpretazione del tutto nuova. Solo la tecnica realizzativa, e non l’intenzione, distinguerebbe lo sfondo dorato dei mosaici bizantini e un altare illuminato da una luce ambrata artificiale. Attraverso l’uso del colore e della luce, Flavin è dunque in grado di mostrarci un ultimo e importante valore dell’espressione artistica contemporanea, ovvero quello della sensorialità e dell’immersività, che superano la semplice osservazione. Si accorcia, così, la distanza tra spettatore e artista: ci viene lasciata la libertà di far parte dell’opera.
CAPOLINEA: continuare la ricerca
Giungiamo così alla fine di questo breve viaggio nell’arte contemporanea milanese, che ci ha visti toccare con mano tre esempi, accomunati però dalla libertà di accesso e incontro tra spettatore e opera. La visita guidata termina qui, ma alla curiosità non devono essere posti freni; ecco, dunque, una breve lista di altre opere d’arte contemporanea visionabili gratuitamente e presenti sul territorio di Milano, corredate della propria ubicazione:
- “Ago, filo e nodo” di Claes Oldenburge Coosje Van Bruggen (Piazzale Luigi Cadorna)
- “La mela reintegrata” di Michelangelo Pistoletto (Piazza Duca d’Aosta)
- “Grande Disco” di Arnaldo Pomodoro (Piazza Filippo Meda)
- “Egg (Voci e Suoni della città)” di Alberto Garrutti (Piazza Gae Aulenti, palazzo Unicredit)
Per approfondire la conoscenza delle opere di arte contemporanea a Milano e per effettuare nuove scoperte, inoltre, può essere utile consultare il sito https://luoghidelcontemporaneo.beniculturali.it.
Qui potrete trovare una vasta selezione di fondazioni e musei, ma anche una serie di installazioni inserite nel contesto urbano.
Non resta dunque che lasciarsi ispirare e partire alla scoperta di nuovi luoghi e opere, alla ricerca di un’arte tanto sfuggente quanto inaspettatamente vicina.
Matteo Capra
Nato a Concorezzo (andate pure a cercare su Google, vi giuro che esiste) nel 2002 e mai davvero cresciuto, mi divido tra mille interessi diversi senza mai saper scegliere. 24 ore al giorno con le cuffie nelle orecchie, salgo e scendo dal mio skateboard mentre scrivo poesie e cerco l’opera cinematografica definitiva. Mi diverto a fare l’esteta; colleziono qualsiasi oggetto o ricordo in cui io possa riconoscermi, vantandomi di possedere qualsiasi disco o libro che si possa ritenere “vecchio”. Emotivo al 200%, con la mia scrittura cerco di fissare la bellezza che trovo intorno a me. Ah, nel tempo libero studio Scienze Umanistiche per la comunicazione alla Statale di Milano.