Domani 13 maggio esce al cinema Una donna promettente (in lingua originale Promising young woman), opera prima di Emerald Fennell, che potreste aver già visto nei panni di Camilla Parker-Bowles nella serie Netflix The Crown.
Il film, candidato a sei premi Oscar, tra cui Miglior Film, e vincitore di quello per la Miglior Sceneggiatura Originale, racconta la storia di Cassie (la bravissima Carey Mulligan), una ragazza che ha misteriosamente lasciato la facoltà di Medicina, nonostante i risultati eccellenti, sette anni prima dei fatti del film. Ogni settimana, Cassie, all’insaputa dei suoi genitori e della sua unica amica, Gail (Laverne Cox), va in qualche locale e finge di essere ubriaca. Ogni settimana, qualche uomo le si avvicina e cerca di approfittare di lei. A questo punto, cala la maschera e Cassie rivela di essere sempre stata sobria…
Di più non mi sento di rivelare, perché il film è pieno di colpi di scena e gioca con le nostre aspettative continuamente. Posso solo aggiungere che, nonostante il filo conduttore della trama sia piuttosto dark, non mancano momenti di commedia e neanche una sottotrama romantica (grazie al personaggio interpretato dal comico Bo Burnham).
Le tinte pastello e la zuccherosa colonna sonora pop nascondono un lato oscuro, proprio come Cassie, un angelo vendicatore con le unghie arcobaleno e i vestitini a fiori. Proprio qui sta la forza del film: finalmente, abbiamo un’eroina forte e determinata, ma che non per questo deve rinunciare al suo lato più stereotipicamente femminile.
Non più un uomo in gonnella, ma una donna vera, sfaccettata, piena di contraddizioni e, perché no, di femminilità.
Come notiamo ben presto, non solo Cassie, ma anche tutti gli altri personaggi del film nascondono una doppia faccia. In questo caso, si rivelano particolarmente brillanti le scelte di casting: molte delle parti più ambigue sono affidate a volti ben noti al pubblico (soprattutto americano), per via di sitcom o serie in cui interpretavano beniamini del piccolo schermo. Da Adam Brody, ovvero Seth Cohen di The OC, a Max Greenfield, il goffo e sensibile Schmidt di New Girl, ad Alison Brie, che abbiamo imparato a conoscere ed amare in Community e GLOW, le nostre aspettative legate ai loro precedenti ruoli vengono completamente ribaltate.
Una donna promettente, grazie a questo gioco di contrasti, si rivela in grado di svelare come il problema della cultura dello stupro sia, appunto, culturale e sistemico. In questo senso, questo è il film di cui avevamo bisogno, un film per la quarta ondata femminista e l’era post-#MeToo.
Rispetto ad altri film del sottogenere cosiddetto “rape and revenge”, questo non è una fantasia vendicativa rivolta verso un unico, particolare stupratore, ma una missione che ambisce ad una presa di coscienza – e di responsabilità – collettiva.
La pellicola ci costringe a guardarci allo specchio e a chiederci se noi stessi saremmo migliori dei suoi personaggi. Nel mondo anglofono si è detto che il film è arrivato un po’ “in ritardo” rispetto al movimento #MeToo, che nel frattempo ha già smascherato il sistema culturale alla base della violenza di genere, ma secondo me in Italia molte persone devono ancora aprire gli occhi. Per inciso, vi esorto, durante la visione, a notare come vengano mostrati quasi tutti gli elementi della piramide della violenza di genere (in caso non la conosceste, ve la lascio a questo link).
In conclusione, anche se Una donna promettente non è un film perfetto, mi sento di spingere tutti alla sua visione al cinema, non solo per gli indubbi meriti artistici, ma anche per la conversazione culturale e intellettuale che sono sicura innescherà (o che, quantomeno, meriterebbe di innescare).
di Valentina Oger
Nata a Bologna nel lontano 2002, ha girato l’Italia (e, per dieci mesi, la Corea del Sud) prima di approdare al DAMS dell’Università di Torino. La sua ossessione principale è il cinema (per farla apparire basta dire davanti allo specchio “Martin Scorsese” otto volte e mezzo), ma è abbastanza eclettica: le sue ultime celebrity crushes includono Orson Welles, Magnus Carlsen, Farinata degli Uberti e Paul McCartney nel ’66.
Ha due gatte e molti dubbi.