Siamo luce che cade dagli occhi
Dal banco di nebbia siamo usciti; attirati da profumi di luce, dinnanzi ad essa, squarci di buio rimangono attoniti.
Eccoci qui per l’ultimo Almanacco col quid in più dell’anno 2021.
Siamo finalmente a dicembre, uno dei mesi più belli dell’anno, ovvero il periodo natalizio, un periodo che ci mette quasi sempre di buon umore, anche se, di recente, ho avuto una impressione che mi ha abbastanza rattristato, rispetto agli altri anni. Basta guardarsi intorno o scambiare quattro chiacchiere con chiunque: quest’anno ho percepito un’atmosfera natalizia più spenta, sottotono, come se si sentisse meno l’esigenza di voler festeggiare il Natale.
A prescindere dal fatto che, rispetto a tanti anni fa e con l’avvento dell’età adulta, il Natale ricopra un’importanza sempre meno forte nella nostra vita, negli anni passati, complici anche le logiche di mercato, arrivavamo a dicembre che del Natale eravamo letteralmente saturi. Sia per i negozi natalizi già addobbati dai primi di settembre, sia per le strade illuminate a festa già ad ottobre, in una certa ottica, questo fatto annientava il senso stesso del Natale che ci viene insegnato da bambini, ovvero il godersi l’attesa, segnata anche dalla consuetudine del calendario dell’avvento, o quella coccola chiamata famiglia.
Che sia una delle tante conseguenze dell’“effetto pandemia”, mi sono chiesta. Forse, lo scorso anno, in un certo senso, vivevamo ancora nell’incertezza, chiusi tra le quattro pareti delle nostre case, e attraverso la riscoperta del Natale, degli affetti e dell’affetto, abbiamo trovato un motivo per galleggiare o uno scopo per rimanere in equilibrio. Quest’anno, avendo riacquistato più o meno tutti l’osannato e sospirato diritto di uscire, non ne sentiamo più così tanto il bisogno. La logica che sta alla base di tutto è: “se posso uscire a festeggiare fuori, chi se ne importa se è o non è Natale”. È una logica molto triste, soprattutto se pensiamo che, da bambini, aspettavamo con ansia il Natale.
Nella mia vita, il Natale ha sempre rivestito un ruolo importante (e ancora lo riveste). Si trattava principalmente dell’attesa non tanto di Babbo Natale, ma di partire per raggiungere i miei nonni materni nella ridente e fredda località di Abbadia San Salvatore, alle pendici del Monte Amiata, in quel di Siena. Natale, quindi, era famiglia, freddo, neve, ma soprattutto luci, per le quali Abbadia è particolarmente nota: non luminarie, sia chiaro, ma fiaccole.
Le fiaccole sono delle cataste in legno di faggio, a forma piramidale, poste per i vari sestieri della città nuova e del borgo vecchio. Accese la sera del 24 dicembre, intorno alle 18:00, bruciano tutta la notte fino al mattino seguente, dove resta solo cenere. È una tradizione antica, quasi ancestrale, nata circa contemporaneamente alla costruzione dell’Abbazia del Santissimo Salvatore, avvenuta intorno all’anno 743 d.C.. Intorno alla chiesa, è venuto a formarsi tutto il nucleo vecchio del paese, per cui, durante la notte della vigilia, la gente si riuniva davanti ad essa e, per scaldarsi, accendeva un grande fuoco lì e negli altri angoli del borgo, illuminando la città. E così i fuochi divennero fiaccole.
Le fiaccole segnano una sorta di legame indissolubile tra uomo, terra e fuoco, infatti è proprio la luce a fare da legante non solo con la montagna, ma anche tra diverse generazioni, perché quella del fiaccolaio – i cosiddetti “figli del fuoco”- è una tradizione tramandata di tempo in tempo, di generazione in generazione.
Quindi, se mi chiedessero quale sia per me il senso del Natale, risponderei proprio parlando delle mie amate fiaccole. Credo che, in generale, sia proprio la luce ad essere la ratio di dicembre, in quanto dicembre, come ci dice Cosmo, vede «il buio alle sette di sera, la sconfitta della primavera»1. Dicembre è un mese buio, molto buio ed è un mese freddo, molto freddo, dove «uomini e cose lasciano per terra esili ombre pigre»2, e quindi noi esseri umani cosa facciamo? Cerchiamo qualcosa che rischiari tanto il freddo quanto il buio, da qui, la luce.
Le fiaccole di cui parlavo all’inizio sono proprio una delle soluzioni che l’uomo ha trovato per esorcizzare la paura del buio e sconfiggere il freddo. La ricerca di luce è alla base dell’atmosfera di dicembre, soprattutto per sconfiggere le tenebre dell’inverno, diventando una sorta di illuminismo personale, poiché la luce fa subito pensare alla ragione e alle tenebre dell’ignoranza.
Quando andai a Recanati, la guida di casa Leopardi mi raccontò che il “giovane favoloso” aveva un’abitudine assai curiosa, legata alla luce: Leopardi era un grafomane, scriveva sempre, viveva la scrittura come un fatto viscerale, così si accomodava al suo scrittoio, che si trovava nel lato più estremo del corridoio della biblioteca della loro casa, e, per non sprecare alcun momento della giornata, si spostava seguendo l’inclinazione del sole, così da non avere bisogno di ricorrere sempre alle candele, di cui usufruiva solo al calare della sera. Leopardi è un maestro della luce e, se penso all’idea che il poeta aveva di essa, intesa come luce che rischiara il chiarore delle tenebre, la possiamo ritrovare proprio nei versi iniziali della sua meravigliosa e potente La sera del dì di festa, in un cammeo descrittivo che ben si distacca da quell’idea di Natura matrigna a cui ci abitua fin da subito il recanate:
Dolce e chiara è la notte e senza vento, E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti Posa la luna, e di lontan rivela Serena ogni montagna.3
La luna, o meglio, la luce della luna, serena, rivela un elemento paesaggistico: le montagne; quelle stesse montagne che la nebbia, su cui abbiamo filosofeggiato il mese scorso, oscuravano alla vista. Se ci pensiamo, è proprio la luce a squarciare la fitta coltre di nebbia di certe mattine.
Le fiaccole di cui ho parlato in precedenza sono solo uno dei tanti simbolismi legati alle luci. Dicembre è il mese delle feste delle luci, ma non solo del Natale e tutte le feste ad esso legate. A dicembre, ad esempio, si conclude la festa delle luci per eccellenza, festività molto cara alla cultura ebraica, ovvero l’Hanukkah (più correttamente, Chanukkah). L’accensione delle candele della menorah, che sembra ricordare l’accensione dei ceri delle quattro domeniche d’avvento che precedono il Natale, è la metafora della vittoria della luce sulle tenebre, che simboleggia la liberazione del popolo ebraico dai soprusi subiti dalle popolazioni elleniche.
Nella tradizione cristiana, invece, abbiamo la festa di Santa Lucia, il 13 dicembre. Mi risuona ancora nella mente la voce di mia nonna, che recitava il detto popolare “Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia”, ma, facendo delle ricerche, ho scoperto che, in realtà, il 13 dicembre non è il giorno più corto che ci sia, anzi, questo cade qualche giorno più avanti, il 21, giorno del solstizio d’inverno. È una festività celebrata un po’ in tutta Europa, anche da noi in Italia, soprattutto in Sicilia e nella bergamasca, ed è una festa che ricorda il Natale, in quanto si dice che la santa porti i doni ai bambini.
Santa Lucia è una santa con una storia molto particolare e anche lei ha a che fare con la luce, di cui è, in effetti, la protettrice e, secondo la rappresentazione classica, è spesso raffigurata in modo un po’ macabro, ovvero tenente in mano una coppa o un piatto con sopra i propri occhi, perché, oltre ad essere la patrona della luce, è anche la patrona della vista. È la santa che, in un certo senso, ha il compito di portare la luce in questi giorni di grande buio.
Anche su santa Lucia vi è un aneddoto interessante, legato questa volta al Sommo poeta, che alla luce ha dedicato tutta la Commedia (basti pensare che questa si apre con lo smarrimento di Dante nella selva oscura). Nel corso della Commedia, in particolar modo nel II canto dell’Inferno, Dante dedica soprattutto a Santa Lucia, così come ad altre due donne (Rachele e Beatrice, per la precisione), alcuni versi: Virgilio racconta al poeta dell’intercessione di queste presso di lui, affinché il mantovano giungesse in suo soccorso (II, 75-120, Inf., Com.). Dante era molto devoto alla santa a causa di alcuni problemi che aveva avuto, in giovinezza, alla vista e, come ci spiega anche Marco Santagata, «siccome la peculiare devozione a un santo dipende quasi sempre dal tipo di patrocinio che la tradizione gli attribuisce, quella di Dante per Lucia sarà dipesa dal fatto che la santa viene invocata, a causa del collegamento tra il suo nome e la luce, come protettrice della vista».
Così come Dante, anche De Gregori, legato a Santa Lucia per motivi simili (raccontò che la madre aveva avuto grossi problemi alla vista4), scrisse una vera e propria preghiera laica nei confronti di Santa Lucia, i cui primi due versi della prima strofa sono densi di quella religiosità laica tipica del “principe” e che ricordano i versi stessi di Dante:
Santa Lucia, per tutti quelli che hanno occhi E un cuore che non basta agli occhi5
Lucia contiene al suo interno la parola luce, ovvero la luce che riempie gli occhi, ma soprattutto il cuore, permettendo agli occhi di vedere “con altri occhi”, per usare un gioco di parole. Così come De Gregori parla con la santa, Alda Merini, in Luce, poesia datata, per un ironico gioco della sorte, 22 dicembre 1949 (esattamente un giorno dopo il solstizio d’inverno), dialoga con una luce divina interiore, quella stessa che ricercava affinché le desse una risposta e acquietasse i suoi tormenti:
Chi ti scriverà, luce divina che procedi immutata ed immutabile dal mio sguardo redento? Io no: perché l’essenza del possesso di te è “segreto” eterno e inafferrabile; io no perché col solo nominarti ti nego e ti smarrisco;6
Pur essendo solo il suo primo componimento (il quale, tuttavia, l’ha fatta conoscere al grande pubblico), si percepisce già una luce oscura, che non sarà in grado di rischiarare quei suoi tormenti. Credo, però, che la sua arte le abbia reso giustizia e l’abbia riscattata da una vita difficile. La sua poesia è stata ed è luce in grado di illuminarci interiormente.
È stato un altro anno lungo e difficile il 2021, dove, in effetti, tutti e tutte abbiamo dovuto trovare una nuova luce, in grado di indicarci una strada nuova e un nuovo senso per questo strano periodo di vita, che stiamo ancora vivendo.
Quest’anno torneremo a vedere i fuochi d’artificio e ad esprimere desideri spegnendo le stelline in mano. Essendo questo pur sempre un Almanacco, mi sento di lasciarvi con un mio augurio, usato sempre dai latini, e che, con la luce, ha molto a che fare: per aspera ad astra, “attraverso le difficoltà per le stelle”, perché l’oscurità di ogni singolo problema trovi, nel nuovo anno, una luce che illumini la soluzione.
Un abbraccio (a distanza) da me e ci rivediamo il prossimo anno (ovvero tra un mese esatto).
…parlo tanto, non mi dire,
tra versi e canzoni,
tra emozioni e riflessioni;
al prossimo mese, tutto da sentire.
Bibliografia
- Dicembre, Cosmo, 2016.
- Canzone dei dodici mesi, F. Guccini, 1972.
- Leopardi, G., La sera del dì di festa, in Il piacere dei testi. Inserto su Giacomo Leopardi, a cura di Baldi, Giusso, Pearson, Milano, 2015.
- Santagata, M., 20 finestre sulla vita di Dante, Mondadori, Milano, 2012, p. 16.
- Santa Lucia, F. De Gregori, 1976.
- Merini, A., Luce, da La presenza di Orfeo, Schwarz, 1953.