Simposi e simposiasti

Il banchetto è un topos letterario che ci accompagna fin dall’antichità: più che un semplice pasto, il convivio ha rappresentato da sempre un momento di condivisione, una pratica sociale ed ha fatto da sfondo per la riflessione su alcune delle tematiche più importanti della letteratura antica e moderna.
Nel suo Satyricon, Petronio racconta minuziosamente la cena che si tiene a casa del ricco, anzi ricchissimo, Trimalcione, un liberto che possiede talmente tante ricchezze da non conoscerne neanche lui stesso la quantità. Il racconto costituisce la parte centrale del romanzo, nonché il frammento dell’opera più lungo fra quelli sopravvissuti. Trimalcione entra in scena a cena ormai iniziata, dopo che i commensali hanno già iniziato a servirsi. La prima parola che viene in mente pensando alla cena di Trimalcione è “eccesso”: nei modi del protagonista, nelle forme con cui si esprime, nei gioielli che indossa, nelle portate. Sembra di assistere a uno spettacolo teatrale piuttosto che a una cena. Nel Fellini Satyricon, il regista del film riproduce con estremo realismo il banchetto: sdraiati sui triclini i convitati gioiosi si lasciano andare a danze sfrenate e a risate tutt’altro che eleganti, sotto l’effetto del vino.
Durante la cena, le portate hanno un aspetto sensazionalistico: viene portato un enorme vassoio con i dodici segni zodiacali e ad ogni segno viene assegnato un particolare cibo, la cui associazione viene spiegata dal padrone di casa; un cinghiale con cestini di datteri circondato da porcellini di pasta frolla; un maiale ripieno di salsicce; e molte altre pietanze, la cui complessità stupisce gli invitati.

Durante l’episodio, Trimalcione racconta la sua vita e le sue esperienze: nato schiavo, era stato acquistato da un padrone molto ricco il quale, alla sua morte, lo aveva nominato coerede di tutti i suoi beni insieme all’imperatore. Per mantenere le sue ricchezze, Trimalcione era stato disposto a tutto: praticare l’usura ed essere l’amante sia della sua padrona che del suo padrone. Dai discorsi che l’uomo pronuncia durante il banchetto emerge il forte materialismo che lo caratterizza: l’uomo vale quello che possiede, e quindi lui, che possiede molte cose, vale molto. Viene, inoltre, presentata la moglie di Trimalcione, Fortunata, la cui più grande fortuna è stata sicuramente sposare un uomo ricco come il marito. Durante la cena non mancano discussioni tra i due coniugi che terminano con il lancio di una coppa di vino.
La volgarità del padrone di casa viene sottolineata più volte nel corso del romanzo: innanzitutto, Trimalcione si allontana più volte dalla tavola (gesto alquanto scortese); inoltre, i continui riferimenti alle sue ricchezze e abilità oratorie lo fanno apparire un rozzo agli occhi di Encolpio, narratore della storia e protagonista del romanzo.
A rendere ancora più ridicola la situazione è la costante presenza della morte, che contrasta con la vitalità del banchetto: uno dei liberti affronta il tema della morte compiangendo il defunto Crisanto, conoscente di alcuni invitati; un servo porta in tavola uno scheletro d’argento e, inoltre, prima di salutare gli invitati, Trimalcione mette in scena il proprio funerale con tanto di lamenti funebri e pianti delle donne.
Più che un banchetto, quello di Trimalcione sembra essere uno sfoggio di ricchezze, che oggi definiremmo pacchiano (e anche decisamente kitsch). Tra un eccesso e l’altro, i convitati assistono a una serie di riflessioni sulla vita, la morte, la schiavitù, la ricchezza e il materialismo.
Anche ne I Promessi Sposi, Manzoni utilizza il del banchetto per presentare Don Rodrigo, antagonista del romanzo. Alla tavola di Don Rodrigo sono seduti anche il Conte Attilio, Azzecca-Garbugli, Podestà e, inoltre, viene invitato a partecipare anche Fra Cristoforo:
Quivi un gran frastono confuso di forchette, di coltelli, di bicchieri, di piatti, e sopra tutto di voci discordi, che cercavano a vicenda di soverchiarsi.

Fra Cristoforo era giunto al palazzo di Don Rodrigo per convincerlo a permettere il matrimonio di Lucia e Renzo; tuttavia, il frate si trova costretto ad accettare l’invito a tavola del signorotto, nella speranza che al termine della cena possa parlargli.
Durante la cena nasce una forte disputa riguardo una questione cavalleresca: è giusto bastonare un ambasciatore che porta un messaggio di sfida? Attilio e il podestà si fanno portavoce di due punti di vista opposti, mentre Azzecca-Garbugli, che dovrebbe fare da giudice, affida la responsabilità di fare da arbitro a Fra Cristoforo. La futilità dell’argomento trattato diventa l’occasione per mostrare l’atteggiamento violento e pretenzioso sia del padrone di casa che dei suoi amici. I convitati rappresentano, infatti, la maschera sbiadita e deformata dei valori che dovrebbero incarnare. Il vero protagonista della scena, Don Rodrigo, resta in disparte nel corso della disputa e prende la parola solamente per mediare le posizioni dei convitati. In realtà, le poche volte in cui parla, Don Rodrigo lo fa in maniera provocatoria, cercando di aizzare gli invitati alla sua tavola e di coinvolgere anche Fra Cristoforo, che ancora non ha preso una posizione. Come per Trimalcione, anche per il signorotto, il banchetto rappresenta sia un’occasione per presentare il personaggio ai lettori, sia un modo per mostrare il fasto e la ricchezza della sua casa:
(…) don Rodrigo, ch’era lì in capo di tavola, in casa sua, nel suo regno, circondato d’amici, d’omaggi di tanti segni della sua potenza, con un viso da far morire in bocca a chi si sia una preghiera, non che un consiglio, non che una correzione, non che un rimprovero
Don Rodrigo, gode, inoltre, dell’appoggio, almeno apparente, degli amici seduti a tavolo con lui: infatti, Azzecca-Garbugli, alla fin della serata, afferma: “(…) dichiaro e definisco che i pranzi dell’illustrissimo don Rodrigo vincono le cene d’Eliogabalo”.
La disputa sulla carestia, iniziata da Azzecca-Garbugli, mostra la meschinità dei commensali: fuori dal palazzo dilaga la carestia e il grano scarseggia, ma piuttosto che occuparsi della questione, gli uomini di potere preferiscono mangiare e bere nelle loro abitazioni, incuranti della popolazione.
Come Petronio, anche Manzoni racconta, attraverso il banchetto, uno spaccato della società che sta rappresentando. In entrambi gli autori, i padroni di casa che organizzano il banchetto assumono una valenza negativa e sono soggetti ad aspre critiche: Trimalcione è un povero arricchito, ma per quante ricchezze potrà accumulare, avrà sempre dei modi rozzi e poco di classe, mentre, Don Rodrigo viene rappresentato come un uomo nobile di sangue, ma violento e provocatorio.

Inizia con la descrizione di un banchetto anche Il barone rampante di Calvino. Un piatto di lumache è la causa di un atto rivoluzionario: Cosimo Piovasco di Rondò, seduto a tavola con i genitori ed il resto della famiglia rifiuta la pietanza che gli viene servita. Come afferma l’autore stesso “mai s’era vista disubbidienza più grave”. Dopo aver rifiutato il piatto di lumache, Cosimo sale su un albero dal quale non scenderà più. Nella sala da pranzo della villa d’Ombrosa si era consumato l’ultimo pasto del piccolo barone. Cosimo e il fratello erano stati ammessi al tavolo degli adulti da poco tempo, da quando Cosimo aveva compiuto dodici anni. In realtà, i due fratelli preferivano di gran lunga i pasti in compagnia dell’Abate Fauchelafleur il quale gli permetteva di mangiare con le mani e anche di tirarsi il cibo. Ora invece, mentre erano seduti al tavolo dei grandi “prendevano corpo i rancori familiari, capitolo triste dell’infanzia”.
È proprio descrivendoci i comportamenti a tavola della nobile famiglia che l’autore svela i rapporti e le relazioni che legano i componenti ed è nel loro modo di mangiare e tagliare la carne che si può trovare l’essenza del loro modo di essere:
Si capisce quindi come fosse la tavola il luogo dove venivano alla luce tutti gli antagonismi, le incompatibilità tra noi, e anche tutte le nostre follie e ipocrisie; e come proprio a tavola si determinasse la ribellione di Cosimo. Per questo mi dilungo a raccontare, tanto di tavole imbandite nella vita di mio fratello non ne troveremo più, si può esser certi
Il padre e la madre impongono ai due ragazzi di utilizzare in maniera corretta le posate e sono fissati con le buone maniere; la sorella Battista sgrida in continuazione i fratelli. Il padre è un uomo noioso e faceva vivere la famiglia “come si fosse alle prove generali d’un invito a Corte”; osserva con attenzione se i ragazzi tagliano e spolpano il tacchino nel modo giusto. Il Cavalier Avvocato Carrega, timoroso di sbagliare nell’eseguire tale pratica, porta nella manica degli ossi già spolpati e fa sparire dalla tavola i cosciotti di pollo, che poi mangia nel modo che preferisce. La madre, la generalessa Corradina, ha dei modi bruschi, militari nel servirsi a tavola, mentre l’unica a sentirsi a suo agio nel tagliare e sminuzzare ogni fibra del tacchino è la sorella Battista.
Prima che Cosimo salisse sull’albero, la tavola era l’unico luogo in cui grandi e piccoli si incontravano e i loro mondi, a dir poco incompatibili, si scontravano. Ed è in questo frangente, tra cerimoniali di corte ormai obsoleti, coltelli e cibi vari che nasce la ribellione di Cosimo.
Così il barone Cosimo Piovasco di Rondò è diventato il barone rampante per un piatto di lumache.
Le caratteristiche dei protagonisti dei tre romanzi ci vengono mostrate attraverso i loro comportamenti a tavola e i loro atteggiamenti non solo verso gli altri commensali, ma soprattutto verso il cibo: come viene portato a tavola, come viene tagliato, come viene mangiato.
Davvero cosa mangiamo, e soprattutto come lo mangiamo dice agli altri chi siamo?
di Marta Tucci
Bibliografia
- Manzoni, Alessandro. I Promessi Sposi (le citazioni sono prese dal cap V)
- Calvino, Italo. Il barone rampante, Oscar Mondadori, Milano, 2010 I edizione (le citazioni sono prese dal cap. I)