Le divoratrici
Le Divoratrici di Lara Williams (titolo originale: Supper Club) è un romanzo del 2021 che non passa inosservato. Copertina rigida, di un rosa denso ed opaco, adornata da un disegno centrato che raffigura quelle che sembrano lasagne trangugiate voracemente.

Definito come un “Fight Club femminista”, Le Divoratrici è il graduale e tortuoso percorso di riappropriazione degli spazi femminili, fin troppo travalicati da stereotipi e da una performatività di genere, come avrebbe detto Judith Butler, nota filosofa post-strutturalista statunitense, che passa attraverso la recitazione di una “corretta femminilità”, che è silenziosa, composta, slanciata, compiacente, mai troppo affamata.
È proprio attraverso una fame insaziabile che la protagonista, Roberta, recluterà affiancata dalla sua migliore amica e coinquilina Stevie, un circolo di donne arrabbiate ed affamate, con le quali si riunirà nella consumazione saltuaria di cene devastanti, esuberanti ed afrodisiache. Proprio durante e grazie a queste, le donne avranno l’occasione di riappropriarsi dei loro istinti e desideri, di una natura selvaggia e sensuale, che le porterà ad esplorare anche i confini del loro corpo, tenuto per troppo tempo sotto controllo, strizzato e nascosto, che evade gloriosamente i suoi limiti, occupando lo spazio necessario ad una vera e propria liberazione catartica femminile. Citando direttamente dal libro: “Volevamo espanderci ed essere sfamate, volevamo sapere cosa si provava. A sentirsi piene come un uovo, anziché avide e fameliche, tutto il tempo”.
La narrazione del presente si intreccia con il passato doloroso della protagonista, che di tanto in tanto sospende il racconto per descrivere minuziosamente ricette culinarie, rendendo la storia ancora più verosimile e più prossima a chi legge, come se le donne nel libro potessero direttamente entrare a casa e sedersi al tavolo della cucina.
È centrale nel romanzo il tema del nutrimento: nutrire sé stesse dopo aver trascurato il proprio desiderio famelico, nutrimento quindi come atto d’amor proprio, ma anche d’amore per l’altro, le altre, che si concretizza nella necessità di nutrire altre donne, di liberare anche loro, attraverso l’elaborazione di pietanze saporite. Nutrirsi correttamente porta quindi ad una diversa forma fisica, che viene lasciata libera di fluttuare. L’accettazione di questa, inoltre, viaggia parallela all’accettazione della protagonista del passato sofferente che si porta dietro. Come la stessa Roberta riferisce: “mi resi conto che si poteva essere piene e leggere allo stesso momento”. È interessante anche la modalità con la quale le donne divorano ciò che viene preparato: sono grossolane, passionali, ricercano il contatto fisico diretto con la consistenza di ciò che le sta nutrendo, lasciando che il cibo macchi i loro visi ed i loro vestiti, abbandonando definitivamente una secolare “etiquette” femminile.
L’importanza di uno spazio femminile perduto, da riconquistare, potrebbe anche ricordare una voce femminile e femminista più anziana, quella di Virginia Woolf, che in Una Stanza Tutta Per Sé, saggio del 1929, reclama la necessità di uno spazio proprio, lontano dagli obblighi famigliari, oltre che di denaro, per rendere una donna libera (libera, in questo caso, di fare della scrittura una professione). Questo stesso spunto sarà poi ripreso da un’altra eccellente scrittrice, statunitense, Joanna Russ, che nel suo saggio How to Suppress Women’s Writing, del 1983, esplora le strategie utilizzate dagli uomini (e non solo) per soffocare ancora una volta la voce femminile, rendendola obsoleta, contestandone la qualità, riducendone ancora lo spazio vitale.
Le Divoratrici è un romanzo diretto, ironico (“Che ne pensi dei vegetariani?” “Oh non riuscirei a divorarne uno per intero”), femminista ed essenzialmente uno schiaffo in pieno viso a qualsiasi pratica sociale messa in atto che preveda silenzio, restrizione o acquiescenza femminile. E se ancora non convince, si aspetti di arrivare al contrasto tra Roberta ed un tipico caso di “mansplaining”: “Non rimasi zitta un secondo. Diedi fiato a ogni singolo concetto che mi saltava in mente. (…) Quando mi interrompeva dicevo: Non ho ancora finito. Quando mi parlava di cose che già conoscevo, dicevo: Grazie, ma ovviamente lo so già”. Oh, se solo Virginia Woolf fosse ancora in vita.
di Clara Femia