Il cibo in TV: dove mangiare diventa un’arte
Fin dall’alba dei tempi, passando dai terreni fertili della Mesopotamia babilonese agli enormi campi di riso cinesi, il cibo è sempre stato considerato come una fonte di guadagno. La sua importanza economica, insieme alla produzione energetica, è il pilastro su cui si tiene in equilibrio l’intera economia del nostro pianeta: basti pensare alla complessa situazione che stiamo vivendo tra la carestia di grano a causa della guerra in Ucraina e la mancanza di acqua per la produzione agricola per colpa dell’estrema siccità di questo mese.
Tuttavia, oggi non siamo qui per cercare i motivi e le ragioni della natura economica e capitalista del cibo, bensì dedicheremo le prossime righe nel riflettere su come il cibo sia stato utilizzato nell’Elettrodomestico per antonomasia: la televisione. Grazie alla Tv, il cibo non viene visto più unicamente come semplice fonte di energia e piacere, ma anche come strumento per la somma arte delle vivande, ovvero la cucina.
Partendo da questa presa di coscienza, andremo a narrare la storia dell’evoluzione dei programmi televisivi a sfondo culinario, successivamente analizzeremo come il cibo venga trattato nei suddetti programmi.
Come spesso accade, le idee nascono casualmente, perfino durante i momenti più disparati della nostra quotidianità, che sia in bagno, a tavola, per strada o sul divano. Proprio su quest’ultimo giorni fa, mentre mi davo al classico zapping da italiano medio, ho notato l’ennesimo spot di un nuovo cooking show: Home Restaurant. Condotto dallo chef italiano Giorgio Locatelli (conosciuto principalmente per essere uno dei giudici di Masterchef), il suddetto show culinario è la classica sfida tra cuochi impegnati tra le mura di casa.
Home Restaurant è l’ultimo tassello che si va ad aggiungere all’enorme mosaico delle trasmissioni legate al mondo culinario italiano. Per analizzare rigorosamente l’onda lunga degli show culinari nello stivale, dobbiamo però partire dal passato.
L’inizio degli anni ‘70, decennio cardine della storia del nostro paese, segna il debutto del primo prototipo di cooking show: A Tavola alle 7, condotto dall’attrice Ave Ninchi e dal critico enogastronomico Luigi Veronelli. Il programma consisteva in due partecipanti che si sfidavano a suon di portate, per poi essere giudicati da una giuria di esperti. Se togliessimo l’ambiente scarno dello studio e la tradizionalità dei piatti (lontana è la moda di reinventare piatti tradizionali in portate al passo coi tempi ), A Tavola alle 7 sarebbe potuto diventare un programma tagliato perfettamente per i nostri anni.
La Rai resuscitò il format nel 2000 con La Prova del Cuoco, programma condotto storicamente da Antonella Clerici, ma che ha chiuso dopo un ventennio due anni fa, lasciando spazio a È Sempre Mezzogiorno, copia carbone dello show culinario precedente e sempre condotto dalla Clerici. Nonostante la Rai abbia il primato storico, non possiamo affermare con esattezza che i programmi sopra elencati siano stati i creatori del vorticoso movimento dei cooking show. Difatti, mentre la Clerici bacchettava i suoi concorrenti e Benedetta Parodi su La7 spadellava nel suo I Menù di Benedetta (2011-2013), Sky, emittente privata approdata nel 2003 in Italia, acquistava i diritti di un cooking show britannico che, nato negli anni ‘90, ha vissuto un’esplosione clamorosa agli inizi degli anni 2010 grazie alla sua versione americana: il suo nome è Masterchef.
Nel settembre 2011, Sky sgancia la bomba che cambierà totalmente la figura del cuoco e del cibo in Italia. Paradossalmente, la prima stagione è un flop di ascolti, sfiorando a malapena il 2.2% di share, ma il tutto si risolve nel giro di due anni: infatti, mentre Sky vive l’apogeo di abbonamenti, Masterchef inizia a raggiungere le forme che oggi conosciamo bene.
Ma qual è stata la spinta per il successo di questo programma? Passando da soli 350.000 spettatori nel 2011 a ben 1 milione nel 2013, non sono stati né i partecipanti (persone comuni provenienti da ambienti lavorativi diversi con la passione per la cucina) né le varie prove (prova esterna, pressure e invention test), bensì i carismatici giudici a rubare la scena. Carlo Cracco, Bruno Barbieri e Joe Bastianich hanno conquistato in poco tempo il pubblico grazie alla costruzione di veri e propri personaggi amati da tutta Italia. Ognuno di loro è caratterizzato come in una serie tv: Cracco diventa l’irascibile e temuto giudice, Bastianich lo “spacca piatti” e Barbieri l’estroverso e strampalato giudice rigoroso. Nel corso degli anni, arriveranno nuovi giudici (Cannavacciuolo e Locatelli fra tutti) e nuove vie narrative del programma che, più che far sembrare lo show incentrato sul cibo e sulla cucina, lo rendono un Beautiful in salsa culinaria con pianti, rivalità, comicità da sit-com e ancora pianti.
Il Big Bang che ha al suo centro Masterchef crea un’onda d’urto tellurica talmente intensa da sconquassare i palinsesti di tutte le emittenti televisive, sia private che pubbliche. Tra tutte, però, è sempre Sky la punta di diamante dei cooking show, così, pochi anni dopo il successo della loro prima scommessa, arriva nel 2014 Hell’s Kitchen (versione italiana con Cracco dello show americano condotto da Gordon Ramsey), nel 2015 4 Ristoranti (con l’allora semi sconosciuto Alessandro Borghese) e tutti gli spin off di Masterchef (Junior, Celebrity e All Stars). Tuttavia, anche altre reti iniziano a puntare sulla cucina e su altri show culinari, tra cui Gambero Rosso con Giorgione, Real Time con Cucine da Incubo e Tv8 (costola di Sky sul digitale terrestre) con Family Food Fight.
Analizzando questo trend ormai decennale, credo sia doveroso fare una distinzione tra il contenuto culinario e quello del talent.
Masterchef arriva al successo non per il proprio contenuto di base, cioè il cibo, bensì proprio grazie al suo essere talent. Utilizzando maldestramente termini psicologici, possiamo analizzare questa situazione in poche righe: se il contenuto manifesto (quello che affiora di primo acchito) è la sfida culinaria basata sulla bravura dei concorrenti nell’utilizzare al meglio i prodotti che hanno a disposizione, il contenuto latente (quello che non affiora, ma si trova al di là del contenuto manifesto) non è tanto la sfida in sé, ma la creazione di un mondo staccato dalla realtà, fatto di storie, personaggi, racconti e colpi di scena cinematografici. Se questo all’inizio non era immediatamente evidente agli occhi dello spettatore ancora inesperto, oggi il contenuto latente ha soppiantato quello manifesto, divenendo manifesto a sua volta. Ora, niente è nascosto agli occhi dello spettatore e lo show va sempre avanti, dimenticando talvolta la base da cui è partito: la cucina.
Molto probabilmente, come tutte le mode che si sono susseguite nel corso degli anni, anche quella dei cooking show si spegnerà un giorno. L’eccessiva saturazione dei contenuti culinari e il ripetersi degli stessi meccanismi porterà l’onda, creatasi nel 2011, ad affievolirsi. Certamente i cooking show non scompariranno del tutto, ma saranno più contenuti e a basso budget, come il casalingo Home restaurant di Giorgio Locatelli.
Se la mercificazione del cibo ha raggiunto il punto massimo nel mondo dell’intrattenimento, è doveroso chiedersi se il cibo ne abbia giovato. Se, da un lato, la figura del cuoco ne ha goduto fino a un certo punto, dall’altro il cibo esce da questo decennio come assoluto vincitore. Il riavvicinamento del popolo alla passione per la sperimentale cucina casalinga portato da Masterchef, la valorizzazione dei prodotti tipici locali mostrata da 4 Ristoranti, la popolarizzazione della cucina stellata, la produzione degli alimenti narrata da Linea verde e la continua sensibilizzazione sulla giusta alimentazione sono tutti elementi che rendono quella del cibo una fusione di scienza, passione, creatività e disciplina.
La lezione da impartire ad ogni spettatore, però, è sempre la stessa: portare sempre rispetto al cibo. Ricordiamoci di come adesso la nostra alimentazione sia strettamente legata alla crisi mondiale che viviamo da anni: mi riferisco non solo a quella climatica, ma anche a quella sociale e produttiva.
L’utilizzo televisivo ha dato sicuramente tanto al cibo sia come prodotto consumistico sia come bene da custodire. In questo senso siamo ottimisti, tuttavia la figura del cuoco ne esce più fortificata rispetto al passato, ma con qualche insospettabile risvolto negativo.
Ora, quella del cucinare è divenuta una vera e propria arte che, trasformata in lavoro, può avere anche risvolti quasi gloriosi: basti pensare all’importanza che viene conferita agli chef stellati, considerati quasi delle star a livello mediatico. Inoltre, come prova inconfutabile di questa nuova concezione è l’aumento delle iscrizioni agli istituti alberghieri nel nostro paese.
Non ci stanchiamo di ripetere, però, che, a causa degli eccessivi trionfalismi da show televisivo, la figura dello chef rischia di essere privata della sua natura primigenia, ovvero quella di cucinare piatti. Gli stessi chef stellati tentano di mostrare la propria professione cercando di allontanarsi dalla cattiva lettura che potrebbe mostrare la televisione. Difatti, il rischio di scollegare chef come Barbieri o Cracco dallo loro realtà culinaria, vedendoli solamente come macchiette che giudicano e urlano, rischia di essere fuorviante per chi inizia il percorso da cuoco.
Dalla Prova del Cuoco a Masterchef, da A Tavola alle 7 a Cucine da Incubo, abbiamo visto come lo show culinario sia diventato un tema di costume e, come ogni trend che si rispetti, abbia lati positivi e negativi del suo essere fenomeno di massa. Del resto, la nazione culinaria per antonomasia non poteva esimersi nel rendere la propria cucina un vero e proprio spettacolo.
Dopo questi ragionamenti profondi sui media, la cucina e (esagerando) la società, non mi resta che salutarvi… tra poco inizia 4 Ristoranti!
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