Con questo articolo si chiude un percorso che, partendo dalla storia dello skateboard come disciplina e come sottocultura, è proseguito attraverso un’analisi più specifica delle dinamiche che legano lo skate all’architettura urbana; ciò che è emerso è un’immagine sfaccettata di un movimento articolato e difficile da incasellare, ma ancor oggi interessante da indagare da vicino. Quel che resta, a questo punto, è spostare il pensiero verso il futuro, cercando idee e proposte concretamente attuabili che possano permettere alle città di continuare ad essere un riferimento geografico importante per ogni skater.
Come si è detto nei precedenti capitoli di questo ideale racconto (Breve storia urbana dello skateboard e I luoghi urbani dello skateboard, n.d.r.), i contesti fisici occupati dalla tavola nel contesto cittadino sono molti: accomunabili tra loro per caratteristiche architettoniche, essi evidenziano notevoli differenze nelle dinamiche di utilizzo che li riguardano. Ritorna ora utile la categorizzazione stabilita per separare gli spazi autorizzati da quelli non autorizzati: tramite il confronto fra queste due tipologie, si può comprendere quale apporto positivo queste due categorie possano fornire nell’ottica di comprendere possibili sviluppi futuri. Ciò che emerge, ripensando alle caratteristiche peculiari di ambienti come gli skatepark e gli spot urbani, è come i rispettivi punti di forza e di debolezza possano, almeno in parte, compensarsi fino a creare una sintesi virtuosa. Se, ad esempio, è vero che una piazza cittadina non garantisce lo stesso livello di sicurezza di uno skatepark, è altresì possibile dire come un contesto “spontaneo” e meno regolamentato possa costituire un’interessante sfida per lə skater che si allontana dalla comfort zone del proprio park di riferimento. Questa stessa contrapposizione può poi essere ribadita anche da un punto di vista architettonico e urbanistico: la sicurezza e l’isolamento degli spazi autorizzati si scontra con l’imprevedibilità degli spazi non autorizzati, “legalmente” meno sicuri ma interessanti proprio perché immersi nella realtà della città.
Come arrivare, dunque, a una sintesi delle potenzialità di queste realtà così diverse fra loro? Quel che è importante sottolineare, in quest’ottica, è la necessità di non distanziare mai la teoria in maniera eccessiva dalla pratica. Ciò che ci interessa, infatti, è riuscire a incentivare la presenza della cultura dello skateboarding all’interno di un tessuto cittadino non solo sociale, ma anche fortemente concreto. Sebbene lo scenario più interessante per questo tipo di riflessione sia quello futuro, è necessario notare come la realtà presente possa fornirci esempi virtuosi e casi di studio da cui prendere spunto.
Un primo esempio proviene dalla Francia, e più nello specifico dalla città di Parigi. È qui che, negli ultimi anni, ha trovato spazio una tendenza che pone le sue basi su quelli che potremmo definire come “skatepark urbani”, anche se la dicitura francese (espaces de glisse, letteralmente “spazi di scivolamento”) conserva una poesia difficile da eguagliare. Quel che è accaduto è che, in vari quartieri della metropoli, infatti, l’istituzione locale ha voluto investire nella costruzione di nuovissime strutture adibite allo skating, scegliendo peraltro di posizionarle in luoghi centrali per importanza e posizione geografica. La distribuzione sul territorio è proprio la chiave che permette di comprendere il ruolo di queste strutture nelle dinamiche di utilizzo del suolo pubblico. L’esempio di Rue Cladel, nel cuore del quartiere della borsa, ci permette di visualizzare al meglio l’impatto che questa iniziativa ha avuto: situate in una ex-via pedonale, infatti, le strutture che sono state costruite risaltano rispetto alla superficie stradale, creando così un’interessante colpo d’occhio. La contrapposizione visiva che si crea fra gli edifici storici e le rampe sembra lanciare infatti una provocazione alle tradizionali nozioni urbanistiche che vedono spazi con finalità differenti nettamente separati tra loro. Del resto, però, la stessa azienda che ha curato la progettazione dello spazio, Constructo Skatepark, rende esplicita la propria aspirazione alla realizzazione di «una struttura coerente, attraente e originale, capace di unire un pubblico eterogeneo»1. Si crea, insomma, una situazione positiva su due fronti: da una parte, lə skater trova un nuovo contesto accogliente che lo legittima, mentre dall’altra i passanti più curiosi possono incontrare (magari per la prima volta) una disciplina precedentemente confinata in zone idealmente inaccessibili agli sguardi esterni.
Vi è però un’altra gamma di luoghi che rappresenta, in qualche modo, il punto di congiunzione fra l’intera narrazione seguita fino ad ora e le prospettive future che riguardano il mondo dello skateboard. Finora, infatti, si è parlato in modo alternato di spazi autorizzati e non autorizzati, escludendo a priori la possibilità di una terza categoria che superasse ogni differenza fra le due precedenti. Ecco allora che, proporre una nozione come quella dello “spot istituzionalizzato”, rappresenta un completo sovvertimento degli schemi che hanno fin qui contraddistinto il discorso. Com’è possibile che il concetto di spot si unisca al concetto di istituzione in modo da creare un ambito geografico di cui sia possibile cogliere le peculiarità? La risposta passa dall’importantissimo concetto del repurposing, che definisce il riutilizzo di un oggetto o – nel nostro caso – di una struttura architettonica, in modo da stravolgerne l’uso designato e imporre un nuovo utilizzo, con una finalità del tutto rinnovata. È esattamente quanto accade agli elementi di arredo urbano e alle architetture sfruttate dallə skater nelle loro escursioni cittadine: la novità assoluta, in questo caso, è però la posizione che decide di assumere l’autorità ufficiale riguardo a questo processo. Se nella maggior parte dei casi le forze politiche e amministrative non condonano e non permettono l’utilizzo del suolo e degli elementi architettonici interessati, vi sono esempi di spot e contesti divenuti veri e propri “luoghi protetti” adibiti alla pratica dello skateboarding. Dal MACBA di Barcellona ai South Banks di Londra, sono infatti molti i luoghi che, col passare del tempo, sono passati da semplici punti di ritrovo per le community cittadine a “tappe di pellegrinaggio” per migliaia di ragazzə che vi riscontrano la possibilità di praticare la propria attività senza essere disturbatə o additatə di deturpare il suolo cittadino.
Come si arriva a questo tipo di situazione? La storia dei luoghi con questo tipo di caratteristiche testimonia la presenza di molti fattori che si saldano nel corso del tempo, superando le iniziali difficoltà e gli inevitabili contrasti. Nella maggior parte dei casi a giocare un ruolo fondamentale è la contemporanea presenza di un’estesa comunità di skater radicata sul territorio e di una classe politica attenta (almeno in parte) nel cogliere esigenze e richieste. Questo connubio fa sì che si possa creare un dialogo iniziale che scongiuri gli inutili pregiudizi e le sterili accuse reciproche, fino ad arrivare a una reciproca collaborazione dalla quale entrambe le parti ricavano evidenti benefici. In questo modo il repurposing viene legittimato come importante pratica, ispirando nuove community a scendere in campo nel tentativo di veder ripagati i propri sforzi di rivitalizzazione del territorio. Degli effetti positivi gode anche l’architettura in sé, grazie alla valorizzazione di spazi altrimenti dimenticati o abbandonati: il potenziale delle immagini e dei video ricavati dalla presenza dello skateboard, in questi luoghi può riportare il valore concreto della città al centro di un discorso culturale ampio e sempre più ricco.
Gli effetti concreti di queste politiche oculate sono incredibili: lo testimonia, fra gli altri, il caso di Eduard Wallnöfer Platz (chiamata anche Landhausplatz) ad Innsbruck, in Austria. Questa antica piazza del centro cittadino, soggetta a una riprogettazione radicale fra il 2008 e il 2010, è diventata, all’indomani dei lavori di ammodernamento, un punto di riferimento importantissimo per la scena locale e internazionale di skateboard. Grazie alla diversità degli elementi architettonici presenti e alla fluidità della loro disposizione, la tavola trova in questo luogo un vero e proprio paradiso: la costante presenza di skater, peraltro, ha spinto le istituzioni austriache ad annoverare la piazza nelle strutture sportive cittadine, includendola persino nell’elenco presente sul sito ufficiale della città.
Uno status simile, anche se frutto di contestazioni più accese, è quello che è stato raggiunto, ormai da qualche anno, dal gruppo di MC, Milano Centrale. Dopo anni di violenti contrasti con le forze dell’ordine schierate a protezione della stazione ferroviaria, infatti, la più importante community del capoluogo lombardo si è vista riconoscere (anche se in via solo parzialmente ufficiale) il benestare dell’autorità locale. Ciò garantisce, ad oggi, una buona presenza giornaliera di ragazzə provenienti fin dall’estero, ma anche lo svolgimento di alcune competizioni non ufficiali.
E in futuro, cosa accadrà? È difficile dire con certezza se lo skateboard continuerà ad avere la forza di imporsi, almeno in certi luoghi, come sottocultura rilevante e capace di riaffermarsi davanti agli ostacoli e alle difficoltà. Quel che è certo è che le possibilità non mancano, e la sfida per garantire un riconoscimento dei luoghi cari allo skate è più aperta che mai. L’auspicio è che per tuttə permanga la possibilità di far capire davvero la bellezza di vedere lo spazio che ci circonda in modo diverso e non convenzionale, con l’unica intenzione di lasciare una testimonianza del nostro passaggio. Perché, in fondo, si tratta ancora, prima di tutto, di lasciare un segno sul suolo sopra cui passano le ruote.
Una conclusione personale.
Queste poche righe vogliono essere un ringraziamento a chi si è preso il tempo di leggere per intero questa serie di articoli, provando a cogliere le idee e la passione che ha alimentato il processo di ricerca, riflessione e scrittura. Questo progetto, nato come elaborato d’esame per un corso di Urbanistica Generale, è diventato molto di più e vuole rappresentare un tributo sentito a una cultura che negli ultimi anni ho avuto la fortuna di toccare con mano. Lo skateboard mi ha accolto al di là dei miei limiti atletici e mi ha fatto sentire parte di qualcosa, fino a farmi scoprire nuove frontiere portandomi fino allo sport a cui mi sto dedicando ora, l’aggressive inline. Le parole possono fare solo una parte del lavoro necessario a raccontare discipline di questo tipo, quindi credo sia giusto includere anche alcune testimonianze video autoprodotte che tentano di fissare le sensazioni e le emozioni tipiche di questa realtà. Il mio augurio è di essere riuscito a tenere fede ai miei propositi e, magari, di aver stimolato l’interesse di chi si approcciasse per la prima volta a questo genere di argomenti.
Video di Matteo Capra
Un grazie va anche a:
Eleonora, per condividere e supportare la mia passione (alcune delle foto che avete potuto vedere e le riprese dei miei video sono opera sua);
Francesco (Checco) Faini e tutta la community dell’Hill Park Skatepark di Agrate;
La community dello skatepark di Vimercate;
La community di MC;
Il professor Ruben Baiocco per aver sovrinteso la fase iniziale di questo progetto.
Note
- Dal manifesto “NOTRE PHILOSOPHIE” di Constructo Skatepark (consultabile qui)
di Matteo Capra
Nato a Concorezzo (andate pure a cercare su Google, vi giuro che esiste) nel 2002 e mai davvero cresciuto, mi divido tra mille interessi diversi senza mai saper scegliere. 24 ore al giorno con le cuffie nelle orecchie, salgo e scendo dal mio skateboard mentre scrivo poesie e cerco l’opera cinematografica definitiva. Mi diverto a fare l’esteta; colleziono qualsiasi oggetto o ricordo in cui io possa riconoscermi, vantandomi di possedere qualsiasi disco o libro che si possa ritenere “vecchio”. Emotivo al 200%, con la mia scrittura cerco di fissare la bellezza che trovo intorno a me. Ah, nel tempo libero studio Scienze Umanistiche per la Comunicazione alla Statale di Milano.