La musica dei diavoli blu
Il blues nasce dall’isolamento, dalla solitudine, dalla tristezza; è un canto di dolore, una preghiera, un grido. Il blues è l’anima di un popolo, quello africano, costretto nei campi di lavoro nel sud degli Stati Uniti. Il genere musicale, ormai diventato di massa e che ha posto le basi per lo sviluppo dell’R&B, del Rock and Roll, del Rock e di molti altri stili musicali, ha le sue radici nella sofferenza di un popolo, nella sua resilienza e nel suo coraggio di riscattarsi. Il blues esprime l’isolamento degli schiavi dal resto della società, ma anche la loro unione, il senso di collettività. È un canto di gruppo, basato sul call and response. Questa musica nasce intrisa di senso religioso, sentimento comunitario, appartenenza a un popolo. Non è possibile rintracciare una data né un luogo precisi in cui nasce e, allo stesso modo, è complesso inseguire le strade e le traiettorie in cui si sviluppa e si evolve. Il blues, infatti, nasce come un lamento spontaneo, privo di testi scritti, senza una struttura musicale rigida. Assumerà caratteristiche più definite solo negli anni ’30 del ‘900, quando inizieranno ad essere registrati i primi brani di questo genere con l’etichetta race records.

Nonostante il blues nasca e si sviluppi in America, l’origine del nome rimanda a un modo di dire inglese: avere i “blue devils”, i diavoli blu, espressione affermatasi in Inghilterra nel corso del XVII secolo, indica la sensazione di tristezza e disagio causata da astinenza da alcool. Nel corso del tempo l’espressione ha iniziato ad indicare anche stati di delirio e agitazione. Per alcuni esperti il termine deriva dalle blue laws che impedivano la vendita di alcool durante la domenica in alcune zone degli USA. Il termine è stato registrato per la prima volta nel 1912 da William Christopher Handy, che da quel momento ha assunto l’appellativo di padre del blues, ma molto probabilmente era già diffuso precedentemente. Handy pubblica The Memphis Blues, un brano in cui sono inserite dodici battute che diverranno note come le dodici battute del blues, caratteristiche della struttura musicale del genere. Nonostante il grande successo del brano, durante i primi decenni del ‘900, il blues resta una musica ascoltata ed eseguita solo da neri.
A differenza della musica occidentale, questo genere predilige gli strumenti a percussione, sottolinea gli accenti ritmici, spinge chi canta, ma anche chi ascolta, a muoversi e a ballar, liberando dalla rigidità e dalla compostezza imposta dalla musica “bianca”. Il blues si sviluppa come musica itinerante, eseguita dai bluesmen nel corso dei loro viaggi dal sud degli Stati Uniti verso New York, Chicago, Detroit, Filadelfia, oppure vengono suonati nei juke points, dove le comunità nere si riuniscono per ballare. Lo schema rimico è semplice (AAB): il primo verso è uguale al secondo, così da dare tempo al cantante di pensare al terzo verso. Le performance sono improvvisate e possono durare anche ore.

Fino al 1929, anno di crisi in America e nel mondo, i dischi di musica blues vengono acquistati dalle comunità nere, ma in seguito al crollo della borsa, queste comunità si troveranno in una forte difficoltà economica e il mercato dei race records crolla. A mantenere in vita il mercato della musica afroamericana saranno gli etnomusicologi come John e Alan Lomax, che porteranno avanti un’attenta ricerca sugli stili e sulle forme musicali della comunità nera. A loro si deve la scoperta di Huddie Ledbetter, uno dei maggiori esponenti del blues negli anni ’30. In questo periodo, le comunità afroamericane sono emarginate e non godono dei diritti civili.
I bluesmen si esibiscono in locali dove dilaga la criminalità e circolano droga e alcool. La gente va ad ascoltare queste esibizioni per dimenticare le proprie ansie, per condividere con qualcuno la propria condizione esistenziale. L’universo rappresentato è quello degli emarginati, costretti al viaggio continuo in cerca di un lavoro o di un posto in cui vivere. I canti blues raccontano le sofferenze del popolo nero e le terribili condizioni in cui si trovano a vivere, senza assumere il carattere di una denuncia sociale o politica. L’aura di astrattezza che assume l’ansia rappresentata nel blues sarà uno degli elementi fondamentali che permetterà al genere di superare le barriere sociopolitiche, culturali e geografiche.
Da un punto di vista tematico, sono sempre presenti situazioni di violenza o disagio, ma queste vengono narrate da una prospettiva individuale e soggettiva il canto quindi assume la forma di un dialogo interiore. L’io si trova sempre da solo ad affrontare il proprio dolore. L’unica soluzione per sfuggire a questa condizione di sofferenza continua e persistente è quella del viaggio, che rappresenta una nuova forma di libertà, di riscatto dopo anni di segregazione nei campi di cotone e di schiavitù. La scelta del viaggio si lega certamente a questioni materiali, come la ricerca di un lavoro, o di un’occasione, ma metaforicamente simboleggia la libertà conquistata: non solo per gli uomini, ma anche per le donne. Nei canti blues le gerarchie tra uomo e donna sono simmetriche: si assiste a una vera e propria guerra dei sessi, in cui entrambi sono in competizione. Tra gli esponenti del blues ci sono anche molte donne che ottengono un grande successo come Bessie Smith o Gertrude “Ma” Rainey. Oltre al viaggio, per superare la propria sofferenza si ricorre alla droga e all’alcool. La dipendenza viene rappresentata dall’universo blues in maniera cruda e realistica, senza essere edulcorata in alcun modo. La violenza attraversa ogni aspetto, anche l’amore, che viene raccontato come qualcosa di brutale, doloroso, un sentimento che spinge a gesti aggressivi. Le uniche gioie che dà sono riconducibili al sesso. Nel panorama della musica blues viene rappresentato anche l’amore omosessuale, tematica censurata nella musica degli americani bianche. In Prove It on Me Blues, la cantante “Ma” Rainey racconta la sua bisessualità. Hanno grande successo anche i canti delle prigioni, in cui i bluesmen raccontano le vessazioni subite nelle carceri. Qualsiasi tipo di istituzione viene additata come la responsabile di tali trattamenti: esse sono rappresentate come aguzzini che abusano del loro potere.

Un’evoluzione tematica e in parte anche musicale si ha negli anni ’40, quando viene abolita l’etichetta race records e la musica popolare afroamericana viene inserita sotto un nuovo genere, il Rhythm and Blues. Il superamento della crisi ha permesso ad alcuni afroamericani di acquistare radio e televisioni ed entrare in contatto con la cultura di massa americana. L’innovazione più importante è rappresentata dall’introduzione della chitarra elettrica. Si entra, quindi, nella fase del blues elettrico: le tematiche e la forma rimangono le stesse, ma il ritmo viene accelerato, si fa più vivace. L’esibizione è ancora più performativa e richiede il movimento di ogni parte del corpo. Sebbene i temi non cambino, questi vengono affrontati in maniera diversa, attraverso l’esaltazione dell’edonismo.
La musica afroamericana inizia a circolare anche tra i bianchi, ma il superamento della linea del colore avverrà solo negli anni ’50 con il rock and roll, una forma accelerata del R&B. Cantanti bianchi come Elvis Presley iniziano a cantare e diffondere la musica dei neri tra la popolazione bianca. Il rock and roll ha un grande successo e influenzerà moltissimi artisti del panorama musicale statunitense e mondiale come i Beatles o Bob Dylan, facendo entrare il blues nel panorama della musica mainstream.

Jimi Hendrix sosteneva che “il blues è una musica facile da suonare, ma molto difficile da sentire”. Dalla fine dell’800, quando i canti blues venivano eseguiti nei campi di cotone in America, fino ad oggi in cui si è affermato tra il grande pubblico, il blues ha cambiato forma, ha dato vita a nuovi stili e nuove forme di ibridazione con altri generi. Nel corso del tempo ha superato la linea del colore, ha attraversato e influenzato generazioni diverse, si è affermato come un tipo di musica rivolto a tutti, ma non ha mai cambiato la sua anima. Ancora oggi il blues rimane una forma di espressione del dolore, della solitudine, di un disagio esistenziale. Ha conquistato anche il pubblico bianco, ma non ha mai perso la sua anima nera (o blue).
Bibliografia e sitografia
https://www.ondarock.it/speciali/blues.htm.
https://www.huffpost.com/entry/blues-music-history_b_2399330.
Alberto Mario Banti, Wonderland. La cultura di massa da Walt Disney ai Pink Floyd, Laterza, Roma-Bari, 2017.
di Marta Tucci